L’arte di raccontare storie risiede nella capacità di scoprire emozioni nascoste e di restituirle in tutta la loro complessità. È questo uno dei segreti della grandezza di Lunetta Savino, un’artista che ha saputo conquistare il pubblico con il suo talento e la sua straordinaria capacità interpretativa. Attrice di rara versatilità, amata e riconosciuta sia in Italia che all’estero, nata a Bari è tra le interpreti italiane più versatili, capace di dare spessore e profondità anche ai ruoli più complessi e tormentati. Dopo aver frequentato l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico”, si è distinta nel teatro e nel cinema grazie a interpretazioni vibranti e intense, muovendosi agilmente tra commedie e drammi.
La sua carriera inizia negli anni ’80, con ruoli al cinema e in teatro, ma il successo presso il grande pubblico arriva con la serie Un medico in famiglia, dove veste i panni dell’indimenticabile Cettina, una figura popolare e autentica che ha conquistato il pubblico italiano. L’attrice ha dimostrato il suo talento anche in film di grande impatto emotivo candidati agli Oscar, come Mine vaganti di Ferzan Özpetek, in cui interpreta una madre alle prese con le difficoltà legate all’accettazione dell’orientamento sessuale del figlio. Questo ruolo le ha conferito un apprezzamento internazionale, portando avanti la sua reputazione di interprete profonda e capace di esplorare ogni sfumatura della psiche umana.In ambito teatrale, si è distinta per una lunga serie di produzioni di prestigio, come Macbeth e Il mercante di Venezia.
Dagli esordi nella commedia fino ai ruoli drammatici che le hanno guadagnato riconoscimenti e applausi, la sua carriera è un viaggio appassionato attraverso le sfumature della natura umana. In tv è recentemente protagonista per la serie Studio Battaglia legal dramedy con protagoniste tre avvocate divorziste e una futura sposa. L’attrice interpreta Marina, descritta come “elegante, autorevole e temibile, un personaggio distante dai clichè italiani e dal sapore hollywoodiano. Ma la sua carriera nei tribunali televisivi non finsce qui, perchè presto approderà Lunetta approderà sugli schermi con una fiction targata Rai1 intitolata “Libera”. Oggi invece, la vediamo a teatro in un ruolo profondo e potente nello spettacolo teatrale La Madre, scritto da Florian Zeller e diretto da Marcello Cotugno, dove interpreta Anna, una madre che affronta le conseguenze di un attaccamento troppo viscerale verso il figlio.
Lo spettacolo, adattamento dell’opera dell’autore francese Zeller, porta in scena la storia di una donna spezzata dal vuoto lasciato dal figlio e dalla distanza emotiva con il marito. Attraverso un racconto suggestivo e una scenografia che rispecchia il caos interiore del personaggio, l’attrice barese esplora le ferite della maternità e le contraddizioni di un amore che, purtroppo, può diventare distruttivo. Abbiamo incontrato Lunetta Savino nel Salotto di Domanipress e abbiamo parlato con lei delle nostre emozioni che possono diventare invisibili prigioni.
Lunetta, qual è la sfida più grande nell’interpretare un personaggio così complesso come Anna?
«La sfida principale è riuscire a non farsi sopraffare dal personaggio. Anna è una donna fragile, che ha investito tutto nel ruolo di madre fino a dimenticare se stessa. Ogni sera, quando la interpreto, devo trovare un equilibrio per non farmi trascinare da questo vortice emotivo. Interpretare qualcuno come Anna richiede una completa disponibilità, ma anche una capacità di distacco per non restare imprigionata nella sua sofferenza».
Qual è la causa di questa sofferenza?
«Questa madre è intrappolata in un amore possessivo e morboso per il figlio, che finisce per sostituire suo marito, in una dinamica di affetti distorta. La madre si sente tradita e messa da parte dal marito, il quale è probabilmente infedele, e inizia a riversare tutte le sue energie e le sue frustrazioni nel figlio. Il legame con la figlia è completamente diverso. Non c’è amore, ma indifferenza e a tratti ostilità. La black comedy emerge in modo sconvolgente attraverso battute crude, che lei rivolge al marito, interpretato magistralmente da Andrea Renzi, e che rivelano una forma di cinismo che colpisce la nostra percezione della maternità».
Il personaggio sembra ricalcare un modello che, purtroppo, è ancora presente in molte vite reali. Essendo anche tu madre di un figlio maschio, pensi di riconoscere te stessa in qualche aspetto del personaggio di Zeller?
«Fortunatamente, no. Io, grazie a Dio, non mi ritrovo in quel modo di amare. Le sue ossessioni, le sue paure infondate, sono un’altra cosa. Detto questo, alcuni piccoli gesti della quotidianità, come prendersi cura del figlio con attenzioni minuziose, sicuramente li riconosco. Mi è capitato di essere eccesivamente pesante e di dire frasi come “Hai messo la maglietta sporca? Dai, lasciami fare la lavatrice” o “Fai attenzione alla marmellata, non sporcare”, anche per il solo bisogno di donare affetto e non per reali necessità, frasi che, in lei, diventano però un’ossessione morbosa. Le mie restano piccole abitudini, che non sfociano mai nell’intensità emotiva che questo personaggio vive e che credo posso condividere con altre mamme.Alla fine in questo siamo tutte uguali…»
In un’intervista passata, hai parlato di tua madre come di una figura fondamentale, che ti ha permesso di perseguire il sogno che desideravi. La sua figura ti ha influenzato profondamente anche nel tuo percorso culturale. Cosa significa per te il suo insegnamento?
«Mia madre è stata davvero un punto di riferimento. Era una donna piena di energia, un’insegnante universitaria di letteratura italiana, che mi ha introdotto al mondo della lettura e del teatro fin da piccola. Ho trascorso la mia infanzia tra i libri, a guardare spettacoli teatrali, e lei era sempre accanto a me, non solo come madre, ma anche come una guida culturale. Quello che mi ha insegnato di più è stato il valore della libertà e dell’indipendenza. Mi ha sempre detto che una donna, per quanto importante possa essere la famiglia, deve saper camminare con le proprie gambe. In un’epoca in cui per le donne era ancora difficile fare delle scelte indipendenti, lei mi ha mostrato il cammino.»
Dopo tanti ruoli diversi, c’è ancora un personaggio o una storia che sogni di portare in scena?
«Mi piacerebbe affrontare un personaggio storico, una figura femminile che ha combattuto per qualcosa di grande, come Antigone o una regina guerriera. Ma il bello del teatro è che, in fondo, ogni personaggio è un’avventura. Non importa il tempo o il contesto, ciò che conta è la capacità di comunicare emozioni universali.»
Quale messaggio vorresti lasciare agli spettatori attraverso la tua interpretazione di Anna?
«Anna è il riflesso di chi non riesce a lasciar andare. Il suo dramma è il dramma di chi resta prigioniero dei propri sentimenti, senza riuscire a guardare oltre. Vorrei che il pubblico vedesse in lei non solo la fragilità, ma anche la forza di una madre che, nonostante tutto, continua a lottare per il suo amore. È un messaggio di consapevolezza, un invito a guardare oltre le paure, perché solo così si può vivere davvero.»
Molti registi ti hanno visto nei panni di madri forti, come Alice Impastato o la madre nel film Il figlio della luna. Qual è la tua opinione su questa scelta ricorrente?
«Non so se sia una questione di “visto che sei mamma, ti facciamo interpretare una madre”. Credo che sia anche un po’ pigrizia da parte dei registi, che spesso etichettano una donna di una certa età in un ruolo materno, senza esplorare altre possibilità. Detto questo, è anche vero che la figura genitoriale è una delle più complesse e sfaccettate in assoluto da vivere nella vita e ovviamente da interpretare sullo schermo. Nel caso di Studio Battaglia, per esempio, sono madre di tre figlie, ma non si tratta di un personaggio convenzionale. È una donna che lavora come avvocata divorzista, che ha scelto una carriera intensa e impegnativa, eppure rimane una madre presente, anche se il suo ruolo non è solo quello di nutrire e proteggere. Trovo che questa sfumatura aggiunga profondità al mio personaggio.»
Il personaggio che interpreti in Studio Battaglia sembra essere un punto di rottura rispetto a quelli precedenti . C’è un motivo particolare per cui ti sei sentita pronta ad affrontare questo cambiamento?
«Sì, c’era il desiderio di esplorare un ruolo diverso, che fosse più dinamico e meno legato a stereotipi. Volevo allontanarmi dal cliché della donna dolce e protettiva, per abbracciare un personaggio che fosse capace di mettere in discussione i propri valori, di essere complessa e sfaccettata. Quella professionista, che si destreggia tra carriera e famiglia, mi ha dato una nuova energia. Ho sentito che era il momento giusto per fare questo passo.»
Prossimamente continuerai nel contesto nel contesto dei tribunali con la fiction Rai “Libera” che ti vede protagonista…
«Libera è un personaggio che non vedo l’ora di farvi conoscere. Una giudice che si troverà a vivere una doppia vita che dovrà nascondere. Si tratta di un personaggio molto complesso, anche lei intrappolata dalle sue emozioni. Sono molto soddisfatta di questo ruolo».
Parlando di femminismo, in passato hai preso parte al movimento “Se non ora, quando?”. In quel periodo, hai scoperto una parte di te che non pensavi di avere. Come mai?
«In effetti, non avevo mai sentito così fortemente il bisogno di rivendicare i diritti delle donne, probabilmente perché il mio vissuto non mi aveva mai fatto sentire oppressa o limitata in quanto donna. Ma partecipare a Se non ora, quando? mi ha fatto capire quanto sia ancora importante lottare per i diritti delle minoranze, soprattutto in un paese dove, nonostante i progressi, la parità non è ancora raggiunta. Con il movimento, abbiamo sollevato il tema della rappresentanza femminile, di come le donne siano ancora troppo spesso marginalizzate nelle scelte politiche, professionali e sociali.»
Secondo te, c’è ancora bisogno di movimenti come questo?
«Sì, assolutamente. Purtroppo, il patriarcato è ancora radicato nella nostra società. La verità è che c’è ancora molta fatica nell’accettare che le donne possano essere protagoniste in tutti i campi, dalla politica alla cultura, fino all’imprenditoria. Continuiamo a lottare per uno spazio che dovrebbe essere nostro di diritto.»
Una delle caratteristiche che emerge con maggiore evidenza del tuo percorso artistico, è la tua straordinaria capacità di rinnovarti costantemente, di adattarti a nuovi ruoli e di abbracciare il cambiamento senza timore. In particolare è accaduto con il personaggio di Cettina in Un medico in famiglia, che hai interpretato per ben cinque stagioni. Cosa ti ha spinto a decidere di chiudere questa esperienza, nonostante l’affetto del pubblico e il grande successo del ruolo?
«Semplicemente, dopo cinque anni dello stesso personaggio, sentivo che avevo dato tutto. Non volevo rischiare di rimanere intrappolata in un ruolo che, seppur bello e apprezzato da tutti, non mi stimolava più. Ho sempre avuto voglia di sperimentare e di mettermi alla prova con ruoli nuovi. Un attore non deve mai dimenticare la propria curiosità artistica, altrimenti diventa troppo facile restare ancorati a un personaggio consolidato.»
Hai avuto la fortuna di lavorare ed incontrare due grandissimi registi come Federico Fellini e Ferzan Özpetek. Cosa ti hanno lasciato questi incontri?
«Fellini era un maestro nel cogliere l’anima degli attori, riusciva a vedere dettagli che sfuggivano agli altri. Mi ha insegnato a prestare attenzione alle sfumature, a dare vita ai personaggi non solo con le parole, ma anche con il corpo, con il silenzio. Özpetek è stato un altro incontro fondamentale, per la sua capacità di costruire storie piene di emozioni autentiche. Entrambi mi hanno permesso di crescere come attrice, di scoprire nuove sfaccettature di me stessa.»
Ti piacerebbe passare dietro la macchina da presa?
«No, assolutamente. Io mi sento un’attrice nell’anima. Ma, mi interessa scrivere, contribuire a una sceneggiatura. Ho già delle idee in mente, progetti che vorrei sviluppare.»
Dopo tanti ruoli diversi, c’è ancora un personaggio o una storia che sogni di portare in scena?
«Mi piacerebbe affrontare un personaggio storico, una figura femminile che ha combattuto per qualcosa di grande, come Antigone o una regina guerriera. Ma il bello del teatro è che, in fondo, ogni personaggio è un’avventura. Non importa il tempo o il contesto, ciò che conta è la capacità di comunicare emozioni universali.
Come ultima domanda parafrasiamo sempre il titolo del nostro magazine e chiediamo come vede il “Domani” Lunetta Savino, quali sono le tue speranze e le tue paure?
«Mi auguro che il Domani riservi uno spiraglio di speranza. Spero che la prossima generazione possa vivere in un mondo più giusto, più equo, dove le donne possano finalmente essere riconosciute per il loro valore, non solo per il loro ruolo sociale, ma per ciò che sono realmente.»
ntervista esclusiva a cura di Simone Intermite