Bandana sul capo, sorriso contagioso e un’irrefrenabile voglia di condividere il proprio mondo con il pubblico. Quella di Alex Wyse, al secolo Alessandro Rina, brillante talento della scuderia di “Amici di Maria De Filippi“, è stata una vera e propria metamorfosi. Partito con un carico emotivo fatto di timidezze e di introspezione, il cantautore brianzolo diplomato a Cambridge e specializzato presso il prestigioso BIMM London Institute, ha imparato a splendere durante il talent show ed è ora pronto per affrontare il grande pubblico, come nel migliore dei romanzi di formazione alla maniera di un moderno “giovane Werther” non teme di affrontare i propri demoni interiorizzati rivelandoli nella loro universalità creando un punto di raccordo con i suoi ammiratori giovani e non che hanno imparato a conoscerlo ed apprezzarlo sul lato artistico ed umano. Il suo nuovo album “Le cose che abbiamo dentro” su etichetta 21co e distribuito da Artist First, anticipato dal singolo “Mano Ferma”, già in rotazione radiofonica e accompagnato da un videoclip diretto da Federico Falcioni, traslittera questo percorso in musica attraverso undici tracce che riescono a cogliere i contorni indefinibili delle relazioni umane e dell’amore in una rilettura che si mantiene dalle parti del pop-rock “suonato” sospeso tra ballad e brani più energici. Noi di Domanipress alla vigilia del debutto sui palchi più importanti d’italia per il suo prossimo tour live abbiamo avuto il piacere di ospitare Alex Wyse nel nostro Salotto Digitale per parlare di lui di musica, interiorità e demoni da combattere.
Partiamo dal titolo del tuo nuovo album “Ciò che abbiamo dentro”…Cosa abbiamo dentro Alex?
«Dentro, ognuno di noi nasconde un mondo nascosto fatto di emozioni, ricordi e vita vissuta. Nello specifico dell’album ci sono anche molte connessioni avvenute in questi mesi, gli incontri e i frammenti di momenti diversi pieni di amore e di passione che si è riflessa nelle undici tracce».
Oltre che interprete sei anche un cantautore, solitamente nei talent show non è comune ritrovarsi con chi scrive i testi e la musica delle proprie canzoni…Com’è avvenuta la scrittura dei brani?
«I pezzi sono nati subito dopo l’EP “Non siamo soli” pubblicato subito dopo la mia partecipazione ad Amici. Il mio habitat naturale è quello della mia camera, con il pianoforte. Mi piace raccontarmi così in maniera diretta e sono grato al pubblico perchè sono riuscito, grazie a tutto il loro affetto, a pubblicare oltre diciassette canzoni in un anno…non è scontato per un autore che possa accadere».
Nell’ambiente “eletto” della scuola di Amici cosa sei riuscito a scrivere?
«Ci sono delle tracce come “Quanto pesa la città” che ho iniziato a scrivere proprio ad Amici ma era solo una bozza che poi ho completato e poi ci sono pezzi che ho modificato come “Non ho paura” che aveva un’ottica diversa…Sono cambiato e con me sono mutati anche i testi e le idee. Il filo conduttore di tutto è quello di essere coraggiosi e di non avere paura di seguire quello che si è veramente. “L’avresti detto mai” parla proprio di questo…».
Hai dichiarato spesso di essere caratterialmente solitario, Amici invece è stata un’esperienza comunitaria, hai vissuto con gli altri un percorso condiviso…Come hai percepito questa dimensione?
«Posso dirti che è stato bellissimo vivere con altri ragazzi che hanno un sogno simile al tuo e con cui puoi condividere ansie, paure, passioni e aspettative ma è stato anche traumatico trovarsi difronte alle telecamere…Relazionarmi in generale è un aspetto che ho trovato sempre difficile ma poi ho deciso di lasciarmi andare. Mi sono detto che nella vita basta essere corretti e poi puoi fare o dire quello che vuoi. All’inizio ho fatto molta fatica ad ambientarmi, era tutto nuovo e mi spaventava ma con lo scorrere delle settimane si è creata una fratellanza che è quasi impossibile creare fuori da un contesto come quello di Amici».
Oltre ai sogni condivisi c’è anche un contesto di competizione particolarmente sfidante…
«Si, e ne ho percepito la pressione ma considera che all’interno della casetta vivendo insieme, cenando e pranzando insieme e condividendo momenti di up e di down è facile instaurare rapporti umani che vanno al di la della gara in studio. Puoi percepire tutte le sfaccettature…nella vita quotidiana è difficile che possa accadere.
Oltre ai compagni di squadra ci sono anche i coach: Lorella Cuccarini e Raimondo Todaro si sono subito schierati dalla tua parte, quale feedback ti hanno restituito in merito alle nuove canzoni?
«Prima della pubblicazione non ho fatto ascoltare il disco completo a nessuno…mi piaceva l’idea che fosse inteso come un lavoro unico e che l’ascolto fosse completo. Mi è capitato di mandare però due brani ad Ermal Meta per ricevere un suo parere…lo stimo molto».
Sia Ermal Meta che Michele Bravi ti hanno tenuto a battesimo con dei duetti che ti hanno portato in finale. Quali sono i tuoi brani preferiti di questi due big della musica italiana?
«Sicuramente “Avrei un milione di cose da dirti” e “Luci di Roma” di Ermal Meta mentre di Michele Bravi mi emoziona particolarmente “Mantieni il bacio”. Entrami attraverso la musica riescono a veicolare emozioni fortissime. I veri artisti sono quelli che non si curano di emergere ma pensano a stare bene con loro stessi e questo poi emerge anche nelle loro produzioni».
Nella tua biografia si legge che la tua famiglia è divisa tra Londra e Como…Questo dualismo come ha influenzato il modo di comporre musica?
«Quando conosci un altra lingua hai delle opzioni più vaste quando scrivi, puoi ritrovare dei modi di dire e una selezione di parole più ampia. Conoscere l’inglese mi aiuta molto anche se attualmente preferisco comporre in italiano. Sono tornato in Italia per questo motivo ma non nego che anche scrivere in inglese mi diverte…».
Hai raccontato ad amici che in passato hai avuto modo di lavorare come fattorino per Deliveroo, oggi invece sei protagonista dei palchi più importanti d’Italia. Cosa ti porti di quell’esperienza così difficile e complessa?
«Andavo a scuola a Cambridge e per mantenermi agli studi facevo il barista e la sera prendevo la mia bicicletta e consegnavo cibo d’asporto…seguivo tante attività diverse e questo mi ha fatto capire l’importanza della fatica come condizione necessaria per raggiungere i propri obiettivi. Ho capito nel concreto a livello monetario cosa volesse dire guadagnarsi la giornata . Ho imparato ad avere rispetto delle persone che lavorano e che fanno anche mansioni molto umili. Oggi mi sento vicino verso chi svolge mansioni necessarie e faticose. Ad esempio viaggiando in giro per l’Italia provo empatia per il cameriere che magari può avere una giornata storta e dimentica un ordine. Alcuni miei coetanei questi aspetti non li comprendono perché non li hanno vissuti sulla loro pelle. Mettersi a nudo e toccare le cose concrete con mano è un aspetto fondamentale per la crescita umana. In Inghilterra è routine a sedici anni lavorare partime e capire lo spirito di sacrificio…».
Oggi qual è il luogo dove ti senti maggiormente a casa?
«Ora vivo a Milano, ho appena cambiato casa. Fino a poco tempo fa vivevo a casa di mia mamma e nella mia camera c’era un regno incantato. Scrivevo di botto anche quattro o cinque canzoni come se fosse un bisogno, un urgenza di comunicare al mondo il mio stato d’animo. Spesso dico che nelle canzoni mi parlo da solo, mi do forza e quindi nascono come un flusso di coscienza, spontaneamente…».
Come ultima domanda parafrasiamo sempre il titolo del nostro magazine e chiediamo come vede il “Domani” Alex Wyse quali sono le tue speranze e le tue paure?
«Non riesco ad immaginare il Domani ma vorrei essere semplicemente felice e scrivere e poi ancora scrivere…tanto».
Intervista Esclusiva a cura di Simone Intermite