“Il successo non si misura solo con le medaglie, ma con la capacità di rialzarsi dopo ogni caduta.” Con queste parole, Alex Schwazer riassume la sua straordinaria carriera, caratterizzata da grandi trionfi, sfide insuperabili e rovinose cadute. Nato il 26 dicembre 1984 a Vipiteno, in Alto Adige, Schwazer è uno dei marciatori italiani che ha scritto una delle pagine più controverse dello sport.

Fin da giovane il marciatore alto atesino ha dimostrato una straordinaria determinazione e talento, fino a raggiungere l’apice del successo alle Olimpiadi di Pechino 2008, vincendo la medaglia d’oro nella marcia 50 km. Tuttavia, la sua carriera è stata segnata anche da momenti difficili. Ma dopo le luci arrivano presto le ombre. Nel 2012, una squalifica per doping lo allontana dalle competizioni, senza mai fargli perdere la voglia di lottare per tornare a gareggiare.

Nel 2016, dopo aver espiato le sue colpe, un’altra accusa di doping, questa volta del tutto infondata, lo ha costretto a una nuova battaglia legale, che si è conclusa solo recentemente con il riconoscimento della sua innocenza.

Oltre alla sua carriera sportiva, Alex Schwazer ha maturato esperienze significative anche al di fuori delle competizioni. Un esempio su tutte la partecipazione al reality show Grande Fratello, una gara, questa volta solo contro i propri limiti, che gli ha permesso di mostrare al grande pubblico un lato diverso di sé utile per raccontare la sua storia e il suo impegno nel dimostrare la propria innocenza.

Oggi, la sua vita e carriera sono state raccontate in un biopic su Netflix, che offre uno sguardo approfondito sulle sue sfide personali e professionali toccatondo i cuori di molti spettatori, rivelando la complessità di un atleta che non ha mai smesso di lottare, nonostante le avversità.

Abbiamo ospitato Alex Schwazer nel Salotto di Domanipress  qualche giorno dopo la sua ultima marcia ad Arco di Trento che ha segnato il suo ritorno e, nello stesso tempo, il suo addio definitivo alle competizioni, in una Video Intervista Esclusiva che esplora  il suo percorso, le sfide e le sue speranze per il futuro. Un punto e a capo che fa pace con le gioie e con i dolori.

Alex, sei stato protagonista recentemente di quella che è stata la tua ultima marcia, non sei riuscito a portarla a termine dovendo ritirarti in al ventesimo chilometri per una sciatalgia . Colpisce un tuo post su Instagram dove scrivi “per sempre atleta”. Non è andata come speravi…

«Purtroppo, questa gara è stata fortemente condizionata da un infortunio inaspettato. Ho sofferto di sciatalgia e questo  mi ha impedito di allenarmi per circa tre settimane prima della gara. Nonostante tutto, ho deciso di partecipare lo stesso, perché mi sono allenato per tre Olimpiadi che alla fine non ho potuto disputare, e non volevo rinunciare anche a questa gara».

Hai voluto onorare una promessa speciale…

«Avevo promesso alla mia famiglia che sarei tornato a competere quel giorno, indipendentemente dalle difficoltà. È stato un momento di grande emozione e soddisfazione, nonostante la sofferenza fisica».

 Adesso è tepo di bilanci. La tua carriera si divide in tre momenti fondamentali: l’ascesa del grande successo olimpico, la caduta nel 2012 con la squalifica per doping, e poi di nuovo una condanna nel 2016, che recenti vicissitudini legislative hanno rivelato essere ingiusta. Quale di queste fasi ti ha segnato di più?

«Ogni episodio mi ha segnato profondamente. L’ultimo periodo, gli ultimi otto anni, sono stati particolarmente duri perché ho dovuto lottare contro un’ingiustizia. Nel 2012, pur avendo pagato un prezzo altissimo per i miei errori, sapevo di dover accettare le conseguenze. Avevo ceduto al doping era giusto che pagassi. Ho capito e pagato per questo. Ma negli ultimi otto anni ho dovuto difendermi da altre accuse ingiuste, e questo è stato molto più difficile. Ero innocente e volevo far comprendere a tutti di aver pagato e di essere ancora un atleta pulito che ama lo sport».

Dalla gara sul campo alle aule di tribunali, è più difficile vincere un oro o competere con la magistratura?

«Lottare contro le istituzioni è molto diverso dal competere contro avversari in gara. Ovviamente preferisco la seconda ipotesi. Tuttavia, tutto questo percorso mi ha reso più forte e resistente. Mi ha insegnato a non mollare mai e a continuare a perseguire i miei obiettivi, anche quando sembrano irraggiungibili».

Qual è il tuo rapporto con la giustizia oggi? Hai ancora fiducia nelle istituzioni?

«Distinguerei tra giustizia ordinaria e giustizia sportiva. La giustizia sportiva è molto autoreferenziale e spesso l’atleta non ha le stesse possibilità di difendersi. Credo che questo sistema debba essere riformato, coinvolgendo anche i governi che finanziano organismi come la WADA. Non basta solo finanziare, ma è necessario che ci sia un controllo e un impegno più diretto per garantire equità».

Recentemente sei stato protagonista del reality show Grande Fratello. Come ti ha aiutato questa esperienza?

«Ho partecipato al Grande Fratello principalmente per farmi vedere e dimostrare che stavo bene e che ero in forma, combattendo per il mio obiettivo. Quando poi è arrivato il no della WADA per la parte, ho capito che il mio percorso lì era finito».

Alcuni coinquilini non hanno gradito la tua scelta di lasciare la trasmissione…

«Non sono il tipo che litiga o cerca di creare drammi, quindi non mi sentivo del tutto a mio agio in quel contesto. Tuttavia, è stata un’esperienza importante per me per far sentire la mia voce».

Nel tuo percorso professionale, quanto ha inciso la pressione di essere diventato un personaggio pubblico?

«La pressione più grande viene da noi stessi. Gli atleti si fanno pressione perché conoscono i sacrifici che fanno. Quando hai le potenzialità per vincere, l’aspettativa è alta, soprattutto da parte tua. Questo vale per molti sportivi, anche se ovviamente essere sotto i riflettori e avere grandi sponsorizzazioni aggiunge un ulteriore livello di pressione».

Qual è il ruolo degli sponsor e del team?

«Sicuramente spesso si crea anche una pressione a far meglio, perchè dietro di te ci sono delle aspettative molto alte ma personalmente ho sempre pensato prima alla gara contro me stesso, volevo superare i miei limiti. Il resto era un contorno necessario».

 Hai seguito le Olimpiadi recenti? Cosa ne pensi dei nostri atleti?

«Ho seguito con grande interesse e sono rimasto molto colpito dai risultati ottenuti da atleti in discipline meno visibili. È stato bello vedere tante medaglie in sport come la ginnastica artistica e il nuoto. Spero che questi atleti ricevano l’attenzione che meritano anche dopo le Olimpiadi, e che il loro impegno continui a essere riconosciuto».

Quando hai vinto la tua medaglia olimpica, a chi hai rivolto il primo pensiero?

«In quei momenti sei poco lucido, incredulo. La mia aspettativa era di vincere, mi sentivo il più forte, ma quando finalmente ce l’hai fatta, ti senti spaesato. Il primo pensiero va ai sacrifici fatti, ma è difficile pensare in modo razionale quando sei sul podio, è come essere sul tetto del mondo».

Come ultima domanda parafrasiamo sempre il titolo del nostro magazine e chiediamo come vede il “Domani” Alex Schwazer quali sono le tue speranze e le tue paure?

«Per il Domani spero che la mia famiglia stia bene e che i miei figli continuino a crescere sereni. A livello professionale, mi piacerebbe mettere a frutto le conoscenze acquisite in questi anni, magari collaborando con altri sport dove la componente aerobica è importante. Credo che il futuro dello sport sia nel combinare competenze diverse per raggiungere nuovi traguardi».

Intervista esclusiva a cura di Simone Intermite

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Direttore editoriale del portale Domanipress.it Laureato in lettere, specializzato in filologia moderna con esperienza nel settore del giornalismo radiotelevisivo e web si occupa di eventi culturali e marketing. Iscritto all’albo dei giornalisti dal 2010 lavora nel campo della comunicazione e cura svariate produzioni reportistiche nazionali.