Ultimamente il mondo dei videogiochi sta attraversando una fase molto interessante e particolare: una specie di “ritorno al passato”. Nel corso della loro storia, i videogiochi sembrano aver attraversato una curva di innovazione costante. Prima erano pixel su un piano bidimensionale, poi siamo passati alla grafica a poligoni tipica dei primi titoli per Playstation che ha aperto le porte al tridimensionale, a un certo punto ci siamo accorti che il tipico sistema a “livelli” ci stava stretto e abbiamo deciso che era tempo di dare al giocatore intere città da esplorare, e così sono nati gli open-world. Prima erano semplici città (Gta, Saints Row), poi sono diventate intere regioni (The Witcher, Cyberpunk), fino ad arrivare a interi pianeti, ma perché fermarsi? Un solo pianeta è una miseria. Diamo al giocatore interi sistemi solari! Anzi no… un intera galassia (No Man’s Sky, Mass Effect). Questo discorso si può fare per tutti i generi principali. Prendete i giochi di strategia in tempo reale: siamo partiti dalla saga di “Command & Conquer” dove siamo in controllo di una base militare e un numero di truppe contenuto fino ad arrivare a titoli come i Total War, dove dobbiamo gestire intere Nazioni (o anche imperi galattici, come in Stellaris). Per gli RPG (oltre ai già citati mondi sempre più immensi da esplorare) invece, abbiamo visto presentarci una gamma sempre più ampia di opzioni per creare il nostro personaggio e/o un scelta di compagni sempre più vasta per accompagnarci nelle nostre avventure.
Per ogni genere videoludico andrebbe scritto un articolo dettagliato per capire quali scelte hanno compiuto quelli o quelli altri sviluppatori e di come e perché quelle scelte abbiamo avuto più o meno successo. Ma la tendenza generale è chiara ed è sempre la solita: più roba. I videogiochi devono essere più vasti, più dettagliati, più maestosi, la grafica deve essere più definita, le storie più complesse. Fuori il vecchio e dentro il nuovo, bisogna pensare sempre più in grande.
Tutta una strada in salita fino ad oggi, dove siamo arrivati a un punto dove grafica pompata alle stelle e mondi immensi non bastano più.
Questo perché a tutto c’è un limite. Puoi espandere la mappa di gioco quanto vuoi, ma alla fine è sempre la stessa salsa, è sempre la classica formula stile Grand Theft Auto, Assassin’s Creed e compagnia cantante. E la grafica? Dopo essere arrivati al picco assoluto di High Definition cosa rimane? Se un gioco propone sempre le stesse cose… è noioso. Punto. C’è un altro problema: i videogiochi sono sempre più costosi da produrre e le compagnie sono sempre più spaventate di vedere i loro titoloni da milioni di euro/dollari venire lanciati sul mercato e floppare tristemente. Molte compagnie sono spaventate dall’idea di sperimentare nuove idee e sempre più bisognose di un incasso sicuro.
E così è iniziata l’era dei Sequel e delle Remastered: nel primo caso ci si affida a un titolo di successo nella speranza di dare al gioco un appoggio sicuro e nel secondo caso si prende un vecchio titolo e lo si modernizza con grafica all’avanguardia e magari qualche cosa di più, sperando di portare i vecchi fan ad aprire i portafogli in nome della nostalgia e di tirarne dentro di nuovi.
Ora soffermiamoci un attimo sulle Remastered, perché hanno portato a uno strano fenomeno che trovo estremamente interessante.
Molti giochi re masterizzati, all’epoca della loro nascita, erano costretti a una grafica poligonale e approssimativa, questo perché semplicemente non c’erano le tecnologie di adesso. Però questa approssimazione, questa mancanza di definizione, spesso li rendeva incredibilmente suggestivi.
Prendiamo un perfetto esempio di questo fenomeno: MediEvil.
MediEvil è un classico per PlayStation sviluppato nel lontano 1998 e che ha visto il suo Remake venire lanciato sul mercato nel 2019.
Ora, il Remake è a tutti gli effetti un “buon Remake”, c’è poco da dire. Ma molti dei vecchi fan si sono resi conto di una cosa: il gioco non non faceva più paura. Ora, MediEvil non ha mai voluto essere un gioco dell’orrore, tutt’altro, è colmo di umorismo e personaggi goffi e divertenti. Lo stesso Sir Daniel Fortesque, il protagonista del titolo, è un eroe che a volte dà l’impressione di essere tonto o maldestro per darsi una gradita patina comica. MediEvil è un titolo adatto a tutte le età e i nemici saranno anche demoni, scheletri e zombie, ma sono tutti presentati come potrebbero esserlo dei pupazzi a una festa di halloween per bambini (ci sono perfino delle spassose zucche animate).
Allora da dove viene questa “paura”? Non è una scusa blanda dei vecchi fan nostalgici e refrattari alla modernità (ve lo garantisco, chi scrive questo articolo rientra ampiamente in tale categoria) ma è un fenomeno che possiamo spiegare scientificamente.
Quando i nostri occhi non vedono chiaramente qualcosa o non sono capaci di decifrarlo, il nostro cervello “riempie” gli spazi vuoti con quello che ha sottomano (o con quello che è “convinto” di dover vedere). E’ la ragione per cui registi come Dario Argento o Alfred Hitchcock sono entrati nella storia. E’ lo straordinario meccanismo della suggestione e della suspance. A volte per ottenere di più devi mostrare di meno.
E quindi tutto questo dove ci porta? Ci porta al fatto che di colpo, la grafica tipica del periodo post-pixel (che potremmo datare tra la fine degli anni novanta fino alla tarda metà della prima decade del duemila, circa) non è più un vecchio strumento del passato, ma una nuova frontiera per gli sviluppatori di giochi indie. Dalla pixel-art si passa alla polygon-art.
Ma anche se sono spuntati qui e là titoli che sfruttano tale grafica, spesso si tratta soltanto di scelte dettate dal budget destinati a titoli di bassa lega, nessuno si è mai cimentato veramente a sfruttarne le possibilità in senso artistico.
Nessuno fino ad oggi.
Ed è qui che entra, a gamba tesa e con il coltello tra i denti, Peripeteia (“Peripeteia”, da quello che ho capito, è una parola greca che significa, più o meno, “sottosopra”) la cui Demo, sviluppata da Ninth Exodus, uno studio indipendente Polacco, ha fatto il suo ingresso su Steam il Giugno dello scorso anno
Partiamo dalla premessa: Peripeteia è un Cyberpunk immersive-sim che calca le orme dei classici del genere come il primo Deus Ex e System Shock 2.
E’ ambientato in un imprecisato futuro subito dopo il crollo dell’Unione Sovietica, in Polonia o, più precisamente, nella “Repubblica di Solidarietà Polacca” un traballante Stato messo insieme alla bene e meglio nel caos dell’immediata era post-sovietica. Confusi? Bene.
La data viene definita 19XX, ma è chiaro che non si parla dei “nostri” anni, così come è chiaro che non stiamo parlando dell’Unione Sovietica del nostro mondo. Forse è un universo parallelo o un futuro alternativo, non si sa e al gioco non interessa precisarlo.
In Peripeteia vestiamo i panni di Marie, una ragazza-Cyborg che ricorda il Maggiore Kusanagi (la protagonista dell’Anime “Ghost in the Shell”), la quale è praticamente una spia/assassina/ladra a noleggio. Ciò che colpisce è lo stile “filo-manga” della protagonista in netto contrasto con l’ambiente urbano post-sovietico dell’Europa dell’est, dando a Marie una strana patina di pesce-fuor-d’acqua e facendola risaltare nell’ambiente.
Non scenderò nei dettagli della storia poiché questa è solo una Demo ed è un tratto ancora poco delineato e viene raccontato in maniera vaga e criptica, quindi è facile scivolare in inutili congetture.
Parliamo dell’estetica e dell’atmosfera. Il semplice termine “immersivo” non rende l’idea. Peripeteia ci risucchia dalla nostra comoda realtà e ci risputa in una metropoli senza nome che mischia la Los Angeles di Blade Runner con l’architettura maestosa, squadrata e opprimente degli edifici popolari dell’era Sovietica. Tutto è enorme, ogni edificio è un grattacielo che si estende fino al cielo, le strade sono strette, il cielo coperto da nubi che fanno filtrare solo un filo di luce e tutto è fatto apposta per farci sentire piccoli e insignificanti. Gli interni sono claustrofobici, sporchi e opprimenti. Che si tratti di una stazione della metropolitana, un bar o un complesso di appartamenti tutto ha un aspetto decadente, deprimente, abbandonato ed estremamente autentico. La grafica, come già specificato, è volutamente datata, ma l’uso delle luci, del sonoro e dello stile è talmente definito da rendere una atmosfera da mondo Cyberpunk-distopico semplicemente perfetta.
Tutti gli ambienti sono inutilmente maestosi, le strade, fatta eccezione per i pochi NPC, sono volutamente deserte. Inizialmente, questa scarsità di umanità sembra una costrizione dettata dal motore grafico ma invece gli stessi sviluppatori hanno spiegato che è una scelta per rendere il tutto ancora più triste, opprimente e solitario.
Il sonoro non è da meno, dalla colonna sonora solenne e minimalista (che si impenna improvvisamente in occasione degli scontri a fuoco) agli effetti sonori dell’ambiente, Peripeteia spinge tutti gli strumenti a sua disposizione al limite e niente è messo lì per caso.
Anche Gameplay è particolare e molto dettagliato.
Marie ha a disposizione una vasta gamma di strumenti per navigare l’ambiente, combattere i nemici e raggiungere i suoi obbiettivi. Possiede una serie di potenziamenti cibernetici che gli permettono di saltare più in alto, vedere al buio, diventare invisibile, sollevare oggetti troppo pesanti e possiamo persino rallentare il tempo in stile Max Payne. Ma la cosa più interessante è il sistema di navigazione. Marie, infatti può aggrapparsi e scalare qualsiasi superficie, dandogli una libertà di movimento equiparabile al parkour di Assassin’s Creed ma su una scala molto più elevata. Avete presente i già citati edifici che si estendono fino al cielo? In Peripeteia possiamo (e dovremo) scalarli. Ci sono veramente pochi ostacoli che Marie non potrà superare arrampicandosi su per scale, condotti, balconi, tralicci etc… questo, unito alla maestosità urbana delle mappe, dà una sensazione di vertigine incredibile. Nonostante il gioco sia, di fatto, da giocare in prima persona, usando la rotella del mouse possiamo istantaneamente allontanare la telecamera di gioco da Marie per passare alla terza persona. Questa è inutile e sconsigliata per i combattimenti ma è indispensabile per guardarci intorno e cercare un nuovo appiglio mentre scaliamo la facciata di un palazzo di duecento piani.
Le armi da fuoco sono un altra particolarità. Peripeteia ne ha un ampia scelta, sono tutte coerenti con lo stile est-europeo del gioco.
Abbiamo residui della seconda guerra mondiale e altre armi più moderne provenienti dall’ex-blocco sovietico (fucile Kalashnikov in testa). Tutte quante hanno un sonoro e un impatto differente e realistico. Se volete usare con efficacie un fucile di precisione, dovete appostarvi, prendere la mira con cura e sparare, un azione che richiede un certo lasso di tempo. Se volte usare un arma a raffica dovete stare molto attenti al rinculo e abituarvi a raffiche brevi e controllare o finirete di colpire soltanto il soffitto. Una particolarità davvero insolita, inoltre, è che il gioco fa differenza tra munizioni E caricatori.
Vi spiego: mettiamo che vogliate ricaricare la vostra arma. In un altro videogioco basta la pressione di un tasto, giusto? Al massimo la combinazione di due tasti, giusto? Sbagliato. In Peripeteia dovete aprire il vostro inventario mettere i proiettili dentro il caricatore (o i caricatori, se ne avete più di uno) chiudere l’inventario e soltanto dopo inserire il caricatore nell’arma. Gestire il vostro arsenale in Peripeteia è un operazione complessa che non possiamo effettuare nel bel mezzo dell’azione, quindi se siamo certi di stare per affrontare uno scontro a fuoco, meglio controllare prima che tutto sia in ordine, oppure finiremo per ritrovarci in mezzo a una tempesta di fuoco con un arma scarica.
Naturalmente non siamo obbligati a scatenare un inferno di piombo ogni volta. Come ogni buon Immersive-Sim, agire di soppiatto è sempre un azione valida, in questo caso possiamo sfruttare armi silenziate, lanciare oggetti per fare rumore e distrarre le guardie, sfruttare le zone d’ombra e spegnere le luci per agire coperti dal buio in stile ninja e usare le abilità di hacker di Marie per accedere ad aree riservate e passaggi segreti.
Tutti questi strumenti, una volta padroneggiati, ci permettono di approcciarci a i nostri obbiettivi come più ci aggrada. Ogni opzione è valida ed estremamente soddisfacente.
E vi ricordo che stiamo parlando di una semplice Demo. Una Demo generosa, tra l’altro: in tutto sono presenti quattro livelli (due dei quali particolarmente vasti) con obbiettivi multipli e varie opzioni.
Ovviamente stiamo comunque parlando di una Demo di un gioco sviluppato da uno studio Indipendente polacco. Quindi sono presenti un certo numero di bug: a volte la IA viene presa da un collasso nervoso, certi oggetti nell’inventario spariscono nel nulla, potremmo rischiare di ritrovarci bloccati in certi punti della mappa senza una via d’uscita… insomma, c’era da aspettarselo. Ma complessivamente niente che non si possa risolvere con il buon vecchio Salva/Carica Partita.
Peripeteia è un titolo davvero singolare da tenere d’occhio, se gli sviluppatori dovessero riuscire a tenere fede alla loro visione e a condire il tutto con una storia sufficientemente intrigante, potremmo essere di fronte a un nuovo cult-classic del genere. Consiglio vivamente di provarlo. Lo trovate su Steam e, trattandosi di una Demo, è gratis.