Recensione: Into the Woods

Lo so! Sono quasi certo che molti di voi staranno pensando di essere arcistufi di questo eccessivo riciclaggio delle fiabe classiche da parte della Disney e non solo in ambito cinematografico. Ma così è, e dunque, dobbiamo iniziare a farcene una ragione, visto e considerato che tale formula sta diventando il trend del momento, andandosi ad aggiungere a quello dei cinecomics ed a quello dei prequel, sequel, midquel, reboot e così via dicendo. Quindi, l’unica cosa in cui possiamo sperare è che queste pellicole siano almeno realizzate in maniera dignitosa. Into the Woods, è la trasposizione sul grande schermo dell’omonimo musical teatrale, scritto dai due statunitensi Stephen Sondheim e James Lapine; il primo, fautore delle musiche, il secondo, del libretto. L’opera fu portata in scena per la prima volta nel lontano 1986 al Old Globe Theatre di Los Angeles, riscuotendo in seguito un grande successo sia di pubblico che di critica, sino ad ottenere svariati riconoscimenti, fra cui, molteplici Tony Awards (uno dei premi più blasonati in campo teatrale) l’anno successivo. Dunque, dopo aver acquistato il biglietto alla dogana aeroportuale (perché proprio a questa somigliava la biglietteria), mi sono fiondato in sala non sapendo cosa dovermi aspettare. Ma devo dire, di esserne rimasto alquanto deluso. Però, procediamo con ordine. Il film, come del resto l’opera teatrale, girano intorno a quattro favole cardine: Cappuccetto Rosso, Raperonzolo e Cenerentola, prese in prestito dai fratelli Grimm, e Jack e il Fagiolo Magico, ereditato dallo scrittore australiano Joseph Jacobs. Ed è proprio a causa di questi ingredienti che il trailer si è dimostrato sorprendentemente ingannevole. Giocando con e prendendosi gioco del bambino risiedente nel profondo di ognuno di noi, astutamente, gli ideatore del battage pubblicitario, si sono limitati solamente a mostrarci in modo superficiale i personaggi oltre alle atmosfere che avvolgono la pellicola in questione. Effettivamente, le ambientazioni, i colori ed i costumi, ricordano enormemente gli sfondi generati dalla brillante mente del regista Tim Burton; un’estetica quest’ultima, avente dalla sua il grande vantaggio di colpire a primo impatto l’occhio dello spettatore. Difatti, le scenografie costruite da Dennis Gassner rimandano tantissimo a quelle de Il Mistero di Sleepy Hollow oppure a quelle di Nightemare before Christmas e de La Sposa Cadavere, tra fitte vegetazioni spettrali ed una moltitudine di contesti invasi dall’oscurità. Certo, il lungometraggio si chiama Into the Woods (Nel Bosco), però, a mio avviso, in un prodotto di stampo cinematografico non si possono girare due terzi delle scene all’interno di una foresta. Non sempre ciò che si rivela essere adeguato per il palcoscenico lo è anche per il set. E questo è uno di quei casi in cui lo spettatore in sala, dopo un’ora di proiezione, inizia a sentire la stanchezza della visione, annoiato dalla continua riproposizione degli stessi luoghi. La storia di base potrebbe essere interessante, in quanto si concentra sull’intreccio delle trame di alcune delle fiabe più note, richiamando alla mente per certi versi le intersecazioni narrativo/fiabesche del serial televisivo Once Upon a Time. Tuttavia, i personaggi che popolano la fastidiosissima boscaglia sono poco più che delle figurine bidimensionali delineate da un limitato approfondimento psicologico che a lungo andare tediano e basta. I principi azzurri, chiusa la parentesi del Cenerentola di Branagh, ove il principe era stato maggiormente umanizzato, riassumono le sembianze di stupidi metrosessuali altezzosi, improvvisando anche un balletto imbarazzante per tutto il genere maschile. Le principesse, ritornano a vestire i panni delle piatte fanciulle, brave soltanto ad intonare melensaggini a non finire. Quanto a Cappuccetto Rosso, la

voglia di stampargli un bel calcione sul sedere da quanto fosse irritante era tanta. Tra tutti, salvo il lupo cattivo interpretato da Johnny Deep, palesemente ispirato sia negli atteggiamenti che nel vestiario ai lupi dei cartoni animati tipo quelli alla Loney Toones, con il quale, abbandona miracolosamente dopo tanto tempo le movenze e la parlata alla Jack Sparrow o alla Willy Wonka nelle parti di questo tipo; e, la strega cattiva, a cui ha prestato il volto Meryl Streep. Due caratteri carini, ma niente di più. Mi chiedo come abbiano fatto a candidare agli Oscar la Streep per questo ruolo. A mio parere, in lizza, c’erano attrici più meritevoli per la cinquina di quest’anno…. Mah!…. Vabbè! Da contestare, vi è anche la modesta qualità della computer grafica nella riproduzione digitale dei giganti, come se quasi da un momento all’altro dovesse materializzarsi sul fondo dell’immagine il green screen in tutta la sua verdosità…. Chi avrà mai detto verde speranza poi? È un vero peccato, perché Into the Woods sulla carta si rivelava essere un’idea non male, mostrandoci oltre tutto come erano state concepite in origine le novelle sopracitate, versioni che magari non tutti conoscono. Purtroppo, il regista di Chicago Rob Marshall si è concentrato più sulla forma che sulla sostanza, confezionando un minestrone, o, a meglio dire, una zuppa alla frantoiana, data la pesantezza, dove i protagonisti delle vicende si muovono all’impazzata generando solo tanta confusione in chi li guarda. L’unico dei pezzi cantati che mi risparmio dal buttare giù dalla torre è I Wish, non a caso l’unico leitmotiv musicale adoperato per il trailer…. Furbi loro eh!

Gabriele Manca

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