Nonostante il solo riconoscimento per i Migliori Costumi a fronte di sei nomination agli Academy Awards, Il Filo Nascosto (Phantom Thread) si rivela essere uno dei film più riusciti presenti al festival e un’altra piccola perla da aggiungere alla già nutrita filmografia del regista. Paul Thomas Anderson, infatti, continua a mostrare la propria eccezionale bravura e, dopo i successi di The Master (2012) e Vizio di Forma (2014), confeziona un altro fedele ritratto dell’animo umano e della forza che fa muovere il mondo: l’equilibrio e lo sbilanciamento dei rapporti di potere.
La trama
La pellicola ha come fulcro la vita di Reynolds Woodcock, rinomato stilista dell’alta borghesia inglese di metà Novecento e figura ossessionata dalla ricerca della perfezione artistica. Nel suo mondo non c’è spazio per alcuna distrazione sentimentale, se non la sporadica presenza di fugaci amanti-muse, fino all’incontro con Alma, giovane cameriera di provincia.
L’arrivo della donna nella villa-atelier di Woodcock altera la situazione iniziale e crea uno scontro tra le due anime opposte all’interno della coppia: da un lato la misteriosa e inaccessibile solitudine del sarto, dall’altra la tenacia che porta Alma ad un folle gesto d’amore. Quando l’estrema soluzione della ragazza pare portare la storia verso un classico lieto fine, il regista ci ricorda che il potere non è statico e che non sempre il matrimonio è sintomo di redenzione e felicità.
Aspetti tecnici
Il cast del film convince a pieno sotto la stella dello straordinario Daniel Day-Lewis, all’ultima apparizione sul grande schermo, che da vita ad un personaggio tirannico e fragile. Il suo rapporto malato con la figura materna, magistralmente lasciato sotto un velo di mistero, dona al protagonista un fascino magnetico ma anche minaccioso; forse più meritevole di spazio invece il legame con la sorella-manager Cyril (ottima Lesley Manville), glaciale e minacciosa custode del fratello. Da sottolineare anche la rivelazione Vicky Krieps, capace di rendere il personaggio di Alma credibile nella duplice veste di vittima e carnefice.
La regia di Paul Thomas Anderson si incastona perfettamente all’interno della raffinata ambientazione della Londra degli anni ’50, mentre gli eleganti movimenti di macchina e la ricerca curata delle inquadrature riecheggiano nella morbosità del protagonista. Completano l’atmosfera sfarzosa i costumi/abiti di moda e la colonna sonora di Jonny Greenwood, chitarrista dei Radiohead e ormai collaboratore fisso del regista. L’insieme delle composizioni originali e delle musiche classiche (Brahms, Schubert, Berlioz) è uno degli elementi fondamentali del film, capace di creare un’alternanza continua tra gioia, inquietudine e paura.
Salvatore Basolu