Andresti a trovare una persona che ti ha detto che, per lei, è come se tu fossi morto?
«Dipende in che momento lo ha detto. Nella vita si dicono tante cose. Poi il tempo passa, cambiano le prospettive».
Nella vita si dicono tante cose, una verità che si può adattare a ogni esistenza e che crea un meraviglioso ossimoro con il titolo di questo libro – Silenzi – e forse anche con il suo senso profondo.
Luca Brunoni sa quello che dice quando lo scrive, e infatti in questo libro scrive tante cose. Scrive di vite che non sanno comunicare l’una con l’altra se non tramite il codice comune della sofferenza, scrive di disagio e paura, di separazioni e stravolgimenti, di voci che si sommano e che pur parlando nella stessa lingua, riconoscono spesso solo il silenzio, appunto. Un silenzio che è caloroso, come quello della mamma della protagonista, o inquietante come l’omertà della provincia; scrive di un tempo lento, che procede a singhiozzi, sempre uguale e scandito dalla ripetitività dei lavori nelle fattorie e dal “non detto” – spesso maligno – di un paesello arrampicato sulle montagne.
Non è facile riuscire a rendere tutto questo calandosi perfettamente nelle atmosfere di una realtà di montagna anni 50, descrivendo personaggi perfettamente idonei all’atmosfera, creando un romanzo che è insieme realista, di formazione e corale. Non è facile neanche fare tutto questo con convinzione e abilità, tanto da permettere al lettore, pagina dopo pagina, di accogliere, comprendere e seguire ogni singola voce e soprattutto i loro silenzi.
Tacere non significa solo non proferire parola, ma lasciare spazio alle pause, sacrosante: in musica servono a cadenzare il ritmo, nella pagina scritta servono a tirare il fiato e procedere, così, nella vita di tutti i giorni, hanno un valore inestimabile perché concedono il lusso della riflessione, dell’apprendimento e quindi della crescita.
Il silenzio, la pausa, il vuoto: è quello che non c’è, come l’esistenza di cui si parla, quella della tredicenne Ida, una ragazza “invisibile”, sferzata dall’abbandono e dal sopruso. Eppure, anche nella delineazione di questo personaggio, subentra il silenzio, quando Ida dice a se stessa: “Non oggi, mi dico. Non adesso. […] Piangerai stasera nel letto se proprio devi”. Un silenzio che in questo caso è censura di sé per evitare di cadere nel baratro. Una chiave di lettura molto personale, questa, ma forse l’autore vuole suggerirci l’importanza della sospensione rispetto al pragmatismo asettico, del “fare piano” – in tutti i sensi – per poter comprendere ciò che si vive; e quando ciò che si vive è anche sofferenza, non è detto che sfuggirle sia la soluzione: ci sta di fronte, la vediamo, la incontriamo, la evitiamo per una sera, poi però viviamo con lei e la superiamo. In silenzio.
Stefania De Marco