Nella notte di capodanno, tra i festeggiamenti generali, nella Piazza del Duomo di Milano sarebbero almeno nove le ragazze che hanno accusato di aver subito violenze, abusi e molestie pesanti.
Le Forze dell’Ordine, attualmente in fase di indagine, hanno fermato 18 presunti responsabili dell’accaduto: i sospettati, tutti uomini tra i 15 e i 21 anni stranieri o italiani di origine nordafricana, sarebbero stati riconosciuti tramite le videocamere di sorveglianza ed all’analisi incrociata dai video trapelati tramite i social network.
Un fenomeno senza dubbio in crescita, quello della violenza sia in forma fisica che verbale, e che ha avuto un notevole riscontro per quanto riguarda l’interesse del grande pubblico ma questo non basta come ci spiega Anita Falcetta, fondatrice del movimento di opinione Women of Change Italia, che da anni si impegna a favore dei diritti delle donne portando a termine iniziative di livello nazionale ed internazionale:
“Le violenze di capodanno – inizia Anita – confermano una tendenza che purtroppo stà diventando una prassi, che è quella della violenza sessuale di gruppo, soprattutto nelle fasce di popolazione più giovani.
Quelli di capodanno sono dei fatti gravissimi, che lasciano aperto un interrogativo molto profondo sulle radici di questa problematica.
Al di là dei singoli casi, va studiata tutta la casistica relativa ai casi di violenza, cosa che noi come WoC stiamo monitorando, e i casi da febbraio 2021 sono in continuo aumento”.
Insomma, una vera e propria spirale di violenza che non risparmia nessuno tra giovani e adulti, ma che vede negli adolescenti una delle categorie più colpite come confermano i dati raccolti dall’Osservatorio Nazionale degli Adolescenti, che evidenziano come 3 adolescenti su 4 non parli degli abusi subiti.
“Nei fatti di Capodanno – Continua la Falcetta – i presunti responsabili sono tutti molto giovani, ma al di là di questo i dati dimostrano che tra le fasce più giovani della popolazione questi problemi ci sono, ed è una diffusione trasversale in tutta Italia.
Sicuramente la pandemia ha aumentato la situazione di stress, visto che nel momento in cui a dei giovani togli tutte le valvole di sfogo, queste situazioni già precarie per via della natura adolescenziale rischiano di trasformarsi in violenza come scarica adrenalinica.
Il vero problema è che gli abusi non si limitano a quelli fisici, forse gli abusi più deleteri a livello psicologico sono quelli invisibili agli occhi ma che portano allo sfinimento chi ne è vittima.
Tra questi sicuramente i sentimenti di gelosia e possesso del partner, quasi come in una regressione “culturale” della vita di coppia che vanno a sfociare molto spesso in atti di gelosia ingiustificati sia nella vita reale che in quella virtuale, come i molteplici casi di stalking o revenge porn”.
Una guerra, quella contro le violenze fisiche e verbali, che Women of Change porta avanti da tempo con l’iniziativa #HELSISTERS sviluppata da una giovane ma consapevole studentessa della NABA, Nuova Accademia delle Belle Arti, Elisa Ferrara, attraverso un racconto fotografico senza filtri.
“In un momento come questo – spiega la fondatrice – in cui si parla molto di women’s empowerment, è importante portare alla luce violenze fisiche, psichice ed emotive che spesso non vengono denunciate; che noi di WoC abbiamo deciso di avviare, nella giornata del 25 novembre già Giornata Internazionale della Donna, questa campagna fotografica creata da una giovane per i giovani, e per sensibilizzare tutti, anche in un ambiente come quello scolastico, che oggi più che mai è importante da tenere sott’occhio.
Infatti è proprio nelle scuole che la questione andrebbe approfondita, sensibilizzando la questione e studiandone tutti i lati più nascosti insieme ai ragazzi permettendo così di eliminare i tabù riguardanti la sfera sessuale, purtroppo ancora presenti.
Le scuole farebbero da ponte anche a tutte quelle realtà in cui la donna è ancora vista come merce, come madre e angelo del focolare, come è stato evidente anche dai recenti fatti avvenuti in Afghanistan.
Il problema vero – conclude Anita – non è il solito capro espiatorio usato dai benpensanti del politicamente corretto, i quali si alzerebbero subito in piedi sulla sedia per urlare al razzismo, bensì a chi in Italia gestisce tutta la filiera dell’immigrazione, per far sì di creare dei percorsi culturali di integrazione e delle piattaforme sociali reali.”