Un capolavoro che si pensava ormai perduto da secoli è stato finalmente ritrovato e acquistato dalle Gallerie degli Uffizi, il titolo stesso è carico di mistero: “l’Enigma di Omero”.
Dipinto nella seconda metà del Cinquecento dal pittore bolognese Bartolomeo Passerotti (1529-1592), il quadro era noto solo esclusivamente attraverso le descrizioni di alcune fonti storiche e disegni preparatori. Secondo la testimonianza del biografo Raffaello Borghini, l’opera si trovava nella residenza del letterato fiorentino Giovan Battista Deti, tuttavia diversi anni dopo, precisamente nel 1677, fu avvistata presso il palazzo di famiglia del senatore Carlo Torrigiani. Ed è proprio presso la famiglia dei discendenti di Torrigiani che il dipinto è stato ritrovato e sarà presto esposto nelle nuove sale del museo fiorentino dedicate alla pittura del Cinquecento.
“L’acquisto protegge il nostro patrimonio dalla dispersione”, ha spiegato il direttore Eike Schmidt, presentando insieme al dipinto anche un volume monografico dal titolo “Il pittore, il poeta e i pidocchi. Bartolomeo Passerotti e l’Omero di Giovan Battista Deti”, a cura di Marzia Faietti, che contiene studi approfonditi di un gruppo di specialisti dell’arte bolognese provenienti dall’Università degli Studi di Bologna.
Bartolomeo Passerotti era originario di Bologna e si formò a Roma approfondendo lo studio del disegno e dell’incisione. Famoso per essere stato maestro dei Carracci, durante la sua attività pittorica eseguì numerose pale d’altare in cui elementi della pittura nordica si uniscono ai virtuosismi manieristici di Correggio, ma fu soprattutto la sua abilità di ritrattista a garantirgli molte commissioni da parte di influenti personaggi dell’epoca. Uno tra questi fu proprio Giovan Battista Deti, collezionista d’arte e membro fondatore dell’Accademia della Crusca, che gli commissionò “L’Enigma di Omero”.
Nella seconda metà del Cinquecento le scene tratte dall’Iliade e l’Odissea riscuotevano molto successo, tuttavia la scena rappresentata da Passerotti non ha precedenze iconografiche e questo perché è tratta da un episodio riportato nelle edizioni in greco della Vita Homeri dello Pseudo-Plutarco, probabilmente in possesso del committente del dipinto. Nel racconto si narra che Omero, mentre si trovava sull’isola di Ios, sedendo su una roccia in riva al mare vide arrivare una nave di pescatori e chiese loro se avessero fatto buona pesca, ma alla sua domanda gli uomini risposero con un enigma che ritroviamo stampato sulla poppa della barca:
“Quel che abbiamo preso, lo abbiamo lasciato, quel che non abbiamo preso, lo abbiamo tenuto”.
La risposta era senza dubbio i pidocchi, perché alcuni erano riusciti a buttarli in mare mentre altri li avevano ancora attaccati ai vestiti, tuttavia Omero si arrovellò a tal punto sull’indovinello senza trovare una soluzione che alla fine morì. La sua sorte gli era stata predetta da un oracolo che il pittore ha scelto di rappresentare con le sembianze di una zingara con un bimbo in braccio, una propria invenzione che sottolinea il significato emblematico dell’opera e la sua unicità nella storia dell’arte.
Giulia Salome