Attore, regista, sceneggiatore ma soprattutto scrittore la carriera di Silvio Muccino è costellata da una serie di esperienze artistiche e comunicative trasversali che l’hanno reso celebre per aver raccontato con estremo realismo le storie della “generazione Y” con le loro passioni, amori sogni ed ideali. Oggi dopo aver diretto film come “Parlami d’amore“, “Un altro mondo“, “Le leggi del desiderio” Silvio depone la macchina da presa per fotografare un altro intenso spaccato di vita attraverso la scrittura con il romanzo “Quando eravamo eroi“, edito dalla casa editrice “La nave di Teseo” basato su la forza dell’amicizia oltre il tempo e le metamorfosi, sul dolore e la meraviglia del diventare adulti, e sulla possibilità di essere, anche solo per un giorno, gli eroi della propria vita. Alex, il protagonista del romanzo, è un ragazzo di 34 anni che ritorna in Italia dopo un lungo periodo trascorso ad Amsterdam per incontrare gli “eroi” amici che aveva abbandonato da un giorno all’altro senza una spiegazione, quindici anni prima, per un weekend fatto di verità e confessioni, pianti e risate. Noi di Domanipress abbiamo avuto l’onore di ospitare Silvio Muccino nel nostro salotto virtuale per parlare di questa sua prima esperienza autonoma di scrittore e per fare un bilancio sulla sua vita e sulla sua generazione tra riflessioni e nuove prospettive.
“Quando eravamo eroi” è un romanzo che esprime la necessità di cambiare…anche nella tua vita ci sono stati dei grandi cambiamenti professionali e umani. La scrittura è stata terapeutica in questa fase di passaggio?
La scrittura è sempre terapeutica. In qualunque momento della vita. È un ponte privilegiato per chi cerca di ascoltarsi e che permette di arrivare al cuore delle proprie emozioni, è una bacchetta magica che sa trasformare anche il dolore in qualcosa di costruttivo e vitale.
Riprendendo il titolo del tuo romanzo: cosa vuol dire per te “essere eroi oggi”?
Gli eroi di oggi per me sono tutte le persone che hanno il coraggio di rimanere loro stesse in questo mondo così dominato dal bisogno di piacere e compiacere a tutti i costi. I social hanno estremizzato questa tendenza e il risultato è che cerchiamo tutti di assomigliare a dei modelli ideali piuttosto che riconoscerci in noi stessi. Ritocchiamo le nostre foto perché dobbiamo “venderle” a chi ci può gratificare con un like. E lo stesso facciamo con la rappresentazione che diamo della nostra vita. Gli eroi per me sono dunque gli outsider, i cosiddetti freak, le persone che tengono in maggior considerazione la propria approvazione rispetto a quella degli altri. Essere eroi per me oggi significa amarsi a prescindere dal giudizio degli altri e vivere di conseguenza.
Gli amici di Alex, Melzi, Eva, Torquemada e Rodolfo il protagonista li chiama Alieni…perchè questa scelta?
Perché quando si sono conosciuti al liceo erano anime fragili e incapaci di integrarsi nel mondo. Crescendo alcuni di loro si sono “normalizzati” e questo processo li ha portati a smarrirsi, a perdere quella scintilla di originaria diversità che li rendeva tanto speciali. Ma per fortuna non è mai troppo tardi per tornare ad essere gli “eroi” della propria vita. Magari anche solo per un giorno. Basta solo un po’ di coraggio.
All’inizio del libro il protagonista afferma “posso dire che non amerò mai me stesso. Perché quando mi guardo allo specchio non riesco a trovarmi”. Recentemente hai affermato di aver vissuto una situazione analoga…Qual’ è il miglior rimedio per ritrovarsi?
In realtà è una sensazione che ho provato intorno ai miei sedici anni, quando la celebrità del cinema mi ha travolto e il mondo era sicuro di conoscermi. Io benedico quel successo, ma crescere significa anche cambiare, e nel mio caso la parte più difficile è stata far capire al mondo che non potevo restare per sempre il ragazzino dei film che interpretavo. C’era una maggiore complessità in me, e per fortuna il mio lavoro mi ha permesso, passo dopo passo di esprimerla. Oggi quando mi guardo allo specchio mi ritrovo, e molte delle persone che mi hanno conosciuto al cinema sono cresciute con me.
Al cinema e in letteratura hai raccontato spesso i problemi dei trent’anni senza filtri…oggi che siamo in un periodo di forte crisi dei valori come vedi la tua generazione?
Più vitale e meno stagnante di come la raccontano. È una generazione di persone che cercano di reagire alla crisi, che vuole trovare un proprio posto nel mondo, e che cerca di individuarsi nonostante sia più facile appiattirsi.
Oltre che scrittore hai alle spalle una carriera importante come attore e regista cinematografico…Quali differenze intercorrono tra lo scrivere un romanzo e dirigere un film?
Scrivere offre una libertà di espressione che il cinema non sempre ti consente. Nella scrittura non ci sono filtri tra te e chi legge. Fare un film invece è un lavoro di gruppo, dove ogni elemento, dallo sceneggiatore al produttore, porta un suo contributo all’interno della storia. E il risultato è per questo più filtrato. Non dico migliore o peggiore, ma diverso.
Quale ruolo senti più tuo? Ti rivedremo nuovamente al cinema?
Il cinema resta un grande amore, ma è cambiato il mio modo di viverlo. Sento che è un gran privilegio fare l’attore e il regista e per questo motivo ricerco dei progetti nei quali posso davvero dare qualcosa allo spettatore. Fare la differenza. Al momento sto valutando dei progetti, ma per ora questo libro è ancora la mia priorità.
A proposito di romanzi questo è il tuo terzo romanzo ma il primo che scrivi senza la firma di Carla Vangelista come co autrice…Come è nata questa scelta?
Non è stata una scelta, quanto un occasione. Lavoriamo bene insieme, e ci saranno altri progetti cinematografici e letterari nei quali collaboreremo.
Da lettore invece qual è l’autore che apprezzi maggiormente?
Dipende dall’umore. Adoro Stephen King, Mathieu Malzieu, Emily Bronthe, Jack London, Ocean Wong, ma anche Marquez e in italia Sandro Veronesi.
Torquemada ad un certo punto dice “i selfie – grazie a Dio – ancora non si usavano negli anni Novanta, ma non li avrei comunque fatti.”
Com’ è il tuo rapporto con la tecnologia?
Necessario. La uso perché è ormai impossibile non usarla per comunicare. E, visto che il mio lavoro è comunicare, alcuni social permettono uno scambio più di altri. Per esempio su Facebook condivido opinioni su musica, cinema e letteratura con chi mi segue. Ed è uno scambio profondo, a volte.
Come ultima domanda parafrasiamo sempre il titolo del nostro magazine e chiediamo come vede il “Domani” Silvio Muccino quali sono le tue speranze e le tue paure?
Sto cercando di smettere di immaginare, organizzare, e pianificare il mio Domani. Un po’ perché l’esperienza mi ha insegnato che non serve a nulla, che le cose più belle che ho fatto sono nate da un impulsivo bisogno di libertà e improvvisazione, e un po’ perché come dice John Lennon “la vita è ciò che ti accade mentre sei impegnato a fare altri programmi”.
Simone Intermite