C’è qualcosa nell’aria di New York che rende il sonno inutile, un’energia impalpabile che seduce chiunque riesca a mettere piede tra le strade di Manhattan per un viaggio turistico o per seguire il sogno americano, quello secondo cui ciascun uomo, qualunque siano le sue origini e il suo status sociale di partenza, possa con il duro lavoro, la fatica e la determinazione riuscire a raggiungere gli obiettivi professionali più alti. Quella chimera teorizzata da James Truslow Adams e raccontata nei film e nelle biografia dei personaggi più importanti del tempo moderno, Piero Armenti, giornalista, scrittore, youtuber influencer e urban explorer di successo l’ha raggiunta partendo con una valigia piena di sogni da Salerno e fondando “Il mio viaggio a New York”, agenzia italiana con sede a Times Square tra le più apprezzate con oltre trenta dipendenti ed un fatturato da capogiro. Il sogno parte da un canale You Tube con oltre sessantaduemila e iscritti ed una pagina Instagram con 450mila followers in cui l’imprenditore campano racconta le meraviglie della grande mela illustrando uno spaccato di vita newyorkese e partendo per mete vicine e lontane alla ricerca del made in italy diventando un punto di riferimento per la comunità italiana in America. Ma non è tutto Piero oltre ad organizzare viaggi e a raccontarli sui social ha anche scritto due romanzi, entrambi editi da Mondadori, “Se ami New York” e “Una notte ho sognato New York” dove la metropoli diventa il correlativo oggettivo per raccontare in maniera profonda ed emotiva la storia di un uomo in cerca della felicità in equilibrio tra cuore e carriera osservando le luci scintillanti dei grattacieli, i silenzi assordanti in mezzo alla folla rumorosa, e gli amori impossibili che uniscono le tante solitudini della metropoli. Noi di Domanipress abbiamo avuto il piacere di ospitare nel nostro Salotto Digitale Piero Armenti per parlare con lui della ripresa post covid di New York e del suo percorso umano e professionale tra intime confessioni e prospettive future.

Questo è un momento particolarmente delicato, siamo reduci da due anni di pandemia che ha paralizzato l’economia mondiale e a questo si aggiunge il timore di un possibile conflitto internazionale….Come si sta reagendo a New York?

«Abbiamo trascorso un inverno lungo due anni e finalmente adesso ci aspetta una primavera attesa come un ritorno alla vita dopo il buio del caos. New York è una città resiliente sembra di essere ritornati ai ritmi pre pandemia anche se ancora ci vorrà qualche mese per tornare a pieno a regime. Quello che manca qui è sicuramente l’ottimismo e la voglia di realizzare progetti».

Ricordi la tua prima volta della grande mela? Quando hai capito di esserti perdutamente innamorato della città?

«La prima volta che ho messo piede da turista a New York ero già adulto, avevo quasi trent’anni ed avevo viaggiato in diversi posti del mondo eppure quando sono emerso per la prima volta dalla metropolitana sono rimasto subito colpito dalle sue vibes, da quell’energia positiva che ti trasmette e che a livello anche inconscio ti induce a lavorare sodo per raggiungere i tuoi obiettivi. La grande mela è così, possiede un senso di libertà e di giovinezza che ti cattura e ti travolge ed è difficile non rimanerne coinvolti emotivamente».

Vivere in un luogo è però differente rispetto a visitarlo da turista. Come hai percepito il passaggio da turista a cittadino?

«Si è vero decidere di vivere a New York è molto differente rispetto all’essere semplicemente turisti. Posso dirti che la città è molto meritocratica, offre opportunità di lavoro e se ti impegni qualcosa di buono riesci a farla. Molti italiani si dedicano principalmente al campo della ristorazione, ma non è l’unico, New York è un luogo creativo dove “nascono le idee”, è facile poter trovare il progetto giusto per crescere professionalmente. Potrei dire che qui è ancora possibile sognare ma ciò che conta è non lasciarsi distrarre e seguire in maniera diretta il proprio obiettivo».

Tornando indietro alla tua “first time” con una macchina del tempo quale consiglio di sentiresti di dare a te stesso?

«Al me stesso di dieci anni fa consiglierei di insistere perché comunque per realizzare i propri progetti ci vuole una buone dose di tenacia e di buona volontà. Ai giovani che vogliono partire per costruire il proprio futuro a New York consiglio di mettere nella valigia la voglia di poter realizzare un futuro professionale senza accontentarsi mai e di rischiare…Le proposte di New York sono molte ed è facile perdersi in qualcosa di accomodante ma eccessivamente sotto i propri standard di partenza. Accettare un lavoro non pertinente al proprio profilo professionale e magari stagionale può andar bene per i primi tempi ma perseverare in quella direzione significa sprecare energie e potrebbe rivelarsi un grave errore. Per esperienza personale posso dirti che in molti seguono questa strada…».

New York è una città precorritrice dei tempi dove realizzare un’attività imprenditoriale è notoriamente  più semplice rispetto all’Italia, oltre il noto lato burocratico più agile come mai c’è questa tendenza?

«In Italia è possibile costruire un progetto d’impresa valido ed esportarlo ma sicuramente è un percorso più tortuoso e pieno di ostacoli perché per natura non abbiamo una propensione attiva alla collaborazione, ognuno cerca di badare al proprio business senza accorgersi che fare rete invece è un’attitudine fondamentale per la crescita. New York riunisce in un fazzoletto di terra relativamente limitato un numero elevatissimo di creativi, bilionaire, intelligenze ed eccellenze accademiche da tutte le parti del mondo che sono propensi a lavorare e a collaborare. Questo meltingpot di culture e competenze crea un mix esplosivo dove puoi realizzare startup e attività che altrove troverebbero impedimenti importanti. Per farla semplice se si dispone di una buona idea ma si hanno pochi fondi a New York è più facile trovare qualcuno che possa investire sul talento anche con qualche rischio che in Italia nessuno si azzarderebbe a prendere. Questo accade perché anche a livello di mero guadagno i numeri che si possono raggiungere in America non sono paragonabili a quelli della nostra economia italiana. Nei primi del novecento con in tasca poco più di un sogno, le persone che fuggivano verso la terra promessa si trovavano di fronte alla Statua della Libertà pronti per rimettersi in piedi e creare un nuovo modello di società composto da self made men. Oggi molte cose sono cambiate ma quell’approccio culturale è rimasto. Cambiare lavoro e cercare uno stile di vita che corrisponda ai propri sogni è un imperativo che si dovrebbe porre chiunque parte dalla propria terra di origine per approdare in America».

In un video sul tuo canale YouTube hai affermato che chi ritiene che New York sia cara è perchè semplicemente non si guadagna abbastanza per New York e questo è anche uno sprono per essere sempre competitivi e pronti a dare il proprio meglio…

«Sicuramente come New York vista dagli occhi di un turista può sembrare cara rispetto al piccolo borgo italiano dove è possibile con pochi euro pranzare o prendere un caffè. Chi vive a NewYork e la trova eccessivamente cara invece semplicemente non guadagna abbastanza per gli standard della city che proprio in vitù della sua offerta ha vissuto un rialzo dei prezzi esponenziale alla domanda e al mercato. A questo però voglio aggiungere che se ci si sposta dai quartieri più ricchi come Manhattan Hudson Yards, TriBeCa e SoHo è facile trovare delle proposte parallele dove è possibile risparmiare. Inoltre ci sono molte attività gratuite, penso alle visite in alcuni musei che per alcuni giorni a settimana sono a costo zero o a una semplice passeggiata per Central Park…Anche guadagnando poco New York ti offre molte possibilità perché è inclusiva e ricca di eventi e di attività extra che possono coinvolgerti ed aprirti nuove possibilità anche quando parti da zero e questo è il motivo per cui chi perde la bussola della propria vita spesso ritrova tra le strade di Time Square e i percorsi della Subway un nuovo stimolo da cui ripartire. A proposito di questo, proprio il sistema delle metropolitane e dei trasporti pubblici organizzati e capillari riesce a collegare anche le periferie più estreme e questo è un altro esempio di inclusione sociale».

Nei tuoi video spesso ricerchi in America i sapori dell’Italia incontrando diversi connazionali all’estero che si sono trasferiti per lavoro…Cosa puoi dirci sulla comunità italiana di New York?

«A New York si trovano diversi strati di italianità. Ci sono i vecchi emigranti, i loro figli che rappresentano la seconda e la terza generazione e poi ci sono quelli che come me da un tempo relativamente breve hanno deciso di trasferirsi a seguito della crisi economica che da più di un decennio ha colpito il nostro paese. Nonostante queste differenze però non ci sono dei limiti, New York è da considerarsi come la casa di tutti, qualsiasi italiano può ritrovare ristoranti, supermercati e centri culturali gestiti da italiani. Per questo è facile non sentirsi estranei rispetto al contesto sociale. Uno dei problemi ricorrenti invece è quello del visto: se non hai un contratto di lavoro in America puoi entrare diverse volte negli Stati Uniti ma ogni soggiorno non deve essere superiore ai 90 giorni e il totale dei giorni non deve superare i 180 in un anno. Questo è uno scoglio inziale che induce molti ragazzi a preferire realtà come Londra o le grandi capitali europee».

Per il primo viaggio a New York quale stagione consiglieresti?

«Per il primo viaggio a New York io suggerisco spesso i mesi autunnali per sfruttare appieno ogni occasione per visitarla e goderla al meglio. Tranne i periodi più freddi come Gennaio e Febbraio in realtà ogni giorno dell’anno meriterebbe una visita New York e periodi differenti nascondono diverse opportunità per vedere la città vestita di una luce sempre nuova. Ad esempio ad Ottobre ci sono le decorazioni di Halloween che sono molto differenti rispetto a quelle a cui siamo abituati. In primavera l’atmosfera frizzante e romantica di Central Park  può far vivere dei momenti di relax cittadino distesi sui prati fioriti, in estate i rooftop offrono delle piscine panoramiche da cui è possibile godere di una vista mozzafiato tra un cocktail ed un’aperitivo all’ombra delle empire state building ed infine c’è il natale che sembra colorarsi proprio come in un film… ».

La città per te è un correllativo oggettivo per raccontare i problemi e le prospettive di un uomo di quarant’anni alla ricerca di se stesso. Recentemente hai pubblicato per Mondadori due romanzi “Se ami New York” e “Una notte ho sognato New York”, la scrittura cosa ti ha fatto riscoprire di te stesso?

«Scrivere un romanzo significa confrontarsi e mettere ordine tra le proprie esperienze. New York è una città dalle mille luci ma anche di molte ombre. Partire e trasferirsi in un’altra realtà ti fa uscire da una confort zone e non sempre è facile affrontare un paese straniero dove le abitudini sono completamente diverse da quelle a cui sei abituato. Partire da zero, in solitudine, ti fa pensare e mettere in discussione quello che sei e le tue scelte. Anche nel secondo romanzo che ho scritto parlo di questa analisi inconscia che ho compiuto su me stesso».

Abbandonare le proprie radici per affermarsi sul lavoro o scegliere di restare mettendo da parte le proprie ambizioni: è questo il dilemma…

La nostra generazione in questo non è stata molto fortunata. Ci troviamo spesso difronte al bivio tra seguire la propria strada professionale, anche con scelte radicali come la mia e riusicre a coltivare gli affetti più cari. Qualsiasi direzione si prenda bisogna fare i conti su cosa si perde e cosa si lascia involontariamente andare via…Personalmente ciò che temevo era restare ingabbiato in un lavoro senza prospettive che non sentivo mio e che mi avrebbe inevitabilmente cambiato e soffocato. Con questo non voglio dire che non bisogna sporcarsi le mani anche con una professione lontana dalle ispirazioni ma questo processo deve essere temporaneo e bisognerebbe  porsi sempre sui binari e provare a vivere delle proprie passioni anche sacrificando qualcosa a livello economico».

A proposito di passioni nel Vlog ci conduci alla scoperta di attici mozzafiato ed appartamenti lussuosi ed irraggiungibili…Ma è questa la vera felicità per te?

«Nella vita può accadere di tutto, credo che niente sia veramente irraggiungibile ma penso che la vera essenza di New York la si possa percepire anche in una normale palazzina di periferia. La mia prima abitazione era condivisa con altri due ragazzi americani, vivevo ad Astoria nel Queens, un luogo dove convivono etnie e culture diverse e dove è presente la comunità greca più grande al mondo al di fuori del Mediterraneo; posso dirti che la ricordo come un’esperienza molto formativa che mi ha insegnato tanto e fatto costruire legami forti. Oggi vivo a Manhattan in un appartamento con una vista mozzafiato ma la mia felicità non è per questo superiore rispetto a quel periodo. In entrambi casi ciò che mi guida è la prospettiva del futuro…quella per cui ho dovuto lasciare il nostro paese.

Se dovessi tornare Italia cosa ti mancherebbe maggiormente dell’America e viceversa cosa ti manca  oggi del bel paese?

«A Salerno mi mancherebbe l’aspetto internazionale della metropoli, per questo avrei grande difficoltà a tornare a viverci. Dell’ Italia mi manca la nostra cucina e la possibilità di avere accesso a materie prime di qualità senza dover spendere una fortuna. Con quello che pago solo di affitto a New York potrei vivere nell’agio anche in città che in Italia si reputano care come Milano. La qualità della vita per molti aspetti in Italia è ancora alta nonostante i prezzi non siano esorbitanti come in America. Inoltre un altro aspetto che mi manca è la possibilità di vivere in maniera meno competitiva e frenetica. A New York si corre e non è un’attitudine a cui puoi tenere testa per tutta la vita».

Oltre agli itinerari turistici, qual è il luogo di New York dove riesci a fermarti per ritrovare te stesso?

«Ci sono diversi luoghi poco conosciuti in cui mi ritrovo, uno di questo si chiama Red Hook una penisola che si protende nel porto “Upper” di New York dove è possibile ammirare la statua della libertà da una prospettiva particolare e respirare l’atmosfera del porto molto più rilassata rispetto al caos della metropoli che si trova a pochi passi. Vivendo a Manhattan ed avendo vicino luoghi ad alto flusso come Central Park e Time Square certi giorni avverto l’esigenza di ritrovare una dimensione meno caotica in cui puoi immergerti nei pensieri e fare i conti con la tua vita. Mi mancano le passeggiate solitarie per strada quindi le ricerco lontano da casa…

Eppure  la tua dimensione preferita resta quella Big City, ti sei mai chiesto il perchè?

Si, fa parte di me, mi piace vivere il dinamismo della vita, affacciarmi sul balcone e guardare le luci della città…se ci pensi è come vivere in un film. Non so perchè ma mi trovo a mio agio in questo contesto».

A proposito di pellicole se la tua vita a New York fosse un film quale sceglieresti?

«Se fosse un film americano potrebbe essere “Come eravamo” di Robert Redford con Barbra Streisand ambientato alla fine degli anni trenta, una pellicola che narra la tormentata storia d’amore tra un giovane e bellissimo esponente dell’alta borghesia bianca e protestante statunitense  e una ragazza ebrea appartenente alla Lega della Gioventù Comunista in contrapposizione perché lui è conservatore e disimpegnato, lei è progressista e sempre in prima linea. Anche qui c’è un contrasto tra il seguire le proprie ambizioni e trovare spazio per l’amore. Inoltre c’è una relazione con la città di New York sfuggente che mi appassiona molto».

E se New York fosse un romanzo invece quale sarebbe?

«Non ho dubbi, sicuramente Il giovane Holden di Saliger, spesso chi si trasferisce lo fa anche per scappare da una situazione difficile un punto da cui ripartire nudo e spoglio per cercare delle riposte che solo un luogo come questo ti può dare…Per  stare in sella a questa grande giostra colorata piena di luci però devi fare molti sacrifici e spenderti del tutto perché nulla è definitivo e non puoi mai sentirti arrivato».

Quindi a New York niente è per sempre?

Come nelle relazioni umane anche la relazione con New York può essere molto fragile e soprattutto mutevole, per questo per molti non è la città del per sempre ma del qui ed ora. Alla fine di un percorso sono in tanti quelli che la abbandonano per scelta o per necessità».

Come ultima domanda parafrasiamo sempre il titolo del nostro magazine e chiediamo come vede il “Domani”  Piero Armenti quali sono le tue speranze e le tue paure?

«Guardo al Domani sempre con ottimismo, anche se in questo momento sarebbe più facile non esserlo; la storia ci insegna che dopo i periodi di epidemie e di guerre si assiste sempre ad una rinascita che può regalare nuove opportunità per tutti. Io voglio crederci e regalare questa visione soprattutto ai più giovani. Non scoraggiamoci e crediamo in noi stessi, il futuro può ancora essere un un luogo meraviglioso».

Intervista Esclusiva a cura di Simone Intermite

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Direttore editoriale del portale Domanipress.it Laureato in lettere, specializzato in filologia moderna con esperienza nel settore del giornalismo radiotelevisivo e web si occupa di eventi culturali e marketing. Iscritto all’albo dei giornalisti dal 2010 lavora nel campo della comunicazione e cura svariate produzioni reportistiche nazionali.