La rivoluzione digitale ha radicalmente trasformato il nostro modo di vivere, lavorare e comunicare ridefinendo i contorni lavorativi e vitali. Uno dei maggiori analisti italiani di questo fenomeno è Marco Camisani Calzolari, esperto nel mondo tech da oltre trent’anni e punto di riferimento per tutto ciò che riguarda l’innovazione. Membro del board del Global Online MBA, con la sua vasta esperienza nel campo, oltre ad essere docente universitario, ha scritto numerose pubblicazioni accademiche, saggi e libri sul marketing e la comunicazione digitale, diventando un pioniere del settore sin dal 1995. Camisani ha divulgato la cultura digitale attraverso i mass media, prima che fosse di moda, contribuendo a rendere accessibile al grande pubblico i temi legati alla tecnologia, ai social network, ai videogiochi e all’economia digitale. Dal 2017, Marco Camisani Calzolari è anche approdato su Striscia la notizia, dove ha portato la sua competenza al serivizio dei telespettatori della tv generalista con con una rubrica dedicata che guarda oltre il disincanto delle facili promesse della rete, che continua ad ottenere consensi da parte di pubblico e critica tv. Noi di Domanipress abbiamo avuto l’onore di ospitare nel nostro Salotto Digitale Marco Camisani Calzolari per parlare con lui delle sue prospettive sul futuro del mondo digitale oltre ogni narrazione opinabilmente retorica.
Ti occupi di digital transformation da oltre trent’anni e da qualche anno diffondi cultura digitale anche su Striscia la Notizia. Come è cambiato l’approccio a questa tematica in così rapida evoluzione?
«Sì, sono ormai 35 anni che lavoro nel digitale, e c’è sempre un’evoluzione, un cambiamento sostanziale, ogni volta e in ogni epoca che passa. Ci sono novità, alcune sono importanti e probabilmente hanno già un futuro, a cui viene poi appiccicato un nome, mentre altre si perdono per strada».
E pensare che fino a vent’anni fa le potenzialità della rete erano solo promesse da visionari…
«La cultura digitale e la sua consapevolezza aumenta sempre di più ma quando ho iniziato, pochi sapevano cosa fosse internet, eravamo solo addetti ai lavori. Io ero uno dei pochi a percepire le potenzialità di questo mondo e avevo sempre il pallino di aiutare le persone a capirne di più. Forse deriva dal fatto che volevo che capissero cosa stavo facendo, anche perché, immaginati che nel fine anni ’70 e primi anni ’80, realizzavo già progetti importanti con i computer e dovevo spiegare cosa stavo facendo ai miei genitori che ovviamente non capivano. Ricordo che mi chiedevano che lavoro facessi. E poi vedi come le situazioni sono evolute, con l’avvento di internet e del digitale di massa, si sono sviluppati tanti nuovi posti di lavoro».
A proposito di occupazione oggi si parla anche di un rovescio della medaglia, soprattutto riguardo all’intelligenza artificiale e alla possibile crisi lavorativa dovuta all’adozione delle nuove tecnologie abilitanti…Qual è il tuo pensiero?
«La storia ed il progresso non si possono fermare. È sempre stato un po’ così, noi uomini cerchiamo di creare delle macchine, degli automatismi, a partire dalle prime ruote, allo scopo di semplificarci la vita. Quando hanno inventato la ruota, ad esempio, i trascinatori di carretti non erano più necessari, bastava solo tirarli. È un’evoluzione che continua fino ad oggi. Anche se ci sono ancora lavori di nicchia, come quelli degli zoccolatori di cavalli, ad esempio, è importante definire i mestieri e non confondere le professioni di nicchia con quelle di massa. Continua a esistere una vita anche per i cavalli, ancora oggi, ma occuparsi di loro è diventato un mestiere di marginale appannaggio solo per pochi. La stessa cosa è avvenuta ai venditori di ghiaccio porta a porta scomparsi con l’avvento dei frigoriferi. Guardare l’evoluzione ed adattarsi specializzandosi nel proprio campo è la risposta a questo divenire».
Quali sono i mestieri che resisteranno all’evoluzione dell’intelligenza artificiale?
«L’ IA sta portando via in un colpo solo tutti i vari mestieri che coincidono con una certa ripetitività ma anche quelli intellettuali e creativi. Direi che al netto di questo non si salva nessuno. Quindi, l’autore di contenuti, lo scrittore di libri o si adatta e diventa speciale perché ha una conoscenza straordinaria del tema e quindi è in grado di valutare se i contenuti prodotti dall’intelligenza artificiale sono validi o meno, oppure rischia di essere definitivamente sostituito con un click. Lo stesso discorso potremmo fare per i tecnici ed i i programmatori e peggio ancora per i burocrati o gli analisti. Prevedo per loro un periodo di difficile evoluzione».
Parlando di piano di studi, quale potrebbe essere una scelta consapevole da spendere in un prossimo futuro?
«Non ci sono ad oggi delle certezze su quanto potrà accadere. Allo stato attuale la creatività e la parte più umanistica paradossalmente acquisisce e prende un valore specifico molto ampio perché se è vero che una macchina potrà svolgere delle azioni meccaniche è altrettanto vero che il valore umano risiede nell’animo, nella cultura e nella creatività. Lo si dice da tempo. Quindi, domani ci sarà bisogno delle Digital Humanities per identificare quella parte culturale e cognitiva che rischiamo di perdere. Ed è molto importante coltivarla perché ci distingue dalle macchine. Rivendico un nuovo e necessario umanesimo…ne parlo spesso».
Ad oggi l’interconnessione tra il mondo umanistico e quello digitale è particolarmente sviluppato, eppure c’è chi ancora fatica a comprendere questo legame
Posso comprendere questa dinamica perché l’ho vissuta sulla mia pelle. Spesso gli amici mi chiedevano: “Ma senti, tu insegni tecnologia all’università in Italia, ma come fai a dire che la strada giusta è quella umanistica?”. Io rispondevo che lo studio delle lettere e della filosofia è ottima e che forse è la strada giusta per il futuro perché ci sarà una carenza di questa competenza. Oggi alla luce dei cambiamenti ne sono certo sarà così, ma dobbiamo investire nelle iper specializzazioni perché per chi scrive un testo su un tema generico svilupparlo con l’intelligenza artificiale ormai è un secondo. Il punto è: quando lo rileggo, so di cosa parla? Cioè, se io dico di scrivere un testo sulle tecnologie legate a internet e incomincia a sparare un po’ di termini, sono in grado di capire se ha scritto tutto giusto o sbagliato, anche nelle sfumature?».
Ci stiamo preparando ad un futuro lavorativo maggiormente specialistico?
«Si, per diventare competitivi è necessario essere molto esperti nella propria verticalità per poter usare l’intelligenza artificiale come mezzo per aumentare la propria potenza di fuoco. Non è solo prendere uno strumento con cui fare leva o le forbici per tagliare, perché con le mani faccio più fatica. Bisogna imparare ad usarli questi strumenti, soprattutto a livello strategico e di questo si deve occupare la scuola e l’università. E ho paura che su questo siamo tutti un po’ più indietro».
Tu abiti da alcuni anni a Londra e puoi avvertire una sensibilità al tema della transizione digitale in maniera diversa…Come si vive questo cambiamento in UK?
«La trasformazione digitale e l’avanzamento dell’intelligenza artificiale stanno portando via molti lavori, anche quelli intellettuali, in maniera più veloce qui in Inghilterra rispetto all’Italia ma ci sono anche delle specifiche competenze che rimangono fondamentali, come la creatività e la conoscenza straordinaria di un determinato tema. Per questo motivo, soprattutto in Inghilterra le digital humanities stanno diventando sempre più importanti e acquisiscono valore anche nel mondo lavorativo. Molti selezionatori in sede di colloquio preferiscono la cultura umanistica a quella informatica o strettamente scientifica».
A livello accademico cosa bisognerebbe potenziare?
«Per quanto riguarda l’istruzione, è necessario investire molto nelle materie sia scientifiche che umanistiche, oltre a quelle STEM, e ripensare l’approccio didattico in modo deciso e coordinato. In Italia abbiamo ancora un grado di scolarizzazione molto basso ed il numero dei laureati è in constante calo. Bisogna saper guidare la trasformazione con competenze nuove, perché ci sono resistenze, soprattutto tra i senior. Tuttavia, è fondamentale farlo per i giovani, per la nazione e per il futuro».
Qual è il futuro dell’intelligenza artificiale?
«L’intelligenza artificiale continuerà a crescere e a migliorare. E’ una tecnologia che ha molte potenzialità ed è già solida anche oggi. Quindi, prevedo un futuro in cui diventerà sempre più diffusa e adottata a livello di massa».
Rispettivamente a questo a livello politico quali sono le azioni che hanno maggiore priorità?
«Penso che ci sia bisogno di un supporto politico importante. In Italia, ad esempio, si sta parlando di una doppia transizione, legando la transizione digitale a quella ecologica. Questo perché abbiamo bisogno di ripensare i nostri consumi e il modo in cui utilizziamo la tecnologia per proteggere l’ambiente. Ma c’è anche il problema dell’etica dell’intelligenza artificiale, e penso che sia importante che ci sia una legislazione che regolamenta le decisioni prese dalla IA».
Ad oggi ci sono stati o paesi che possano essere un modello positivo da seguire?
«In questo momento, non vedo nessuno stato che stia guidando il cammino in maniera davvero efficace soprattutto in Europa. Certamente sono alcuni paesi, come l’Estonia, che stanno facendo un buon lavoro, ma sono realtà molto piccole con esigenze diverse. Ad oggi, sono le grandi aziende del mondo digitale, quelle che sono nella Silicon Valley, ad avere il potere. Hanno più potere della politica e, quindi, la politica per queste decisioni ha perso la sua forza e ha silenziosamente abdicato».
Pistola alla tempia tre temi caldi del momento: Metaverso, Intelligenza Artificiale NFT e blockchain. Quale sarà la bolla che scoppierà per prima?
«Intendiamoci subito, il metaverso inteso come realtà unitaria non esiste. Ci sono delle realtà virtuali un po’ scassate e poco frequentate. La parola metaverso oggi indica delle chat in 3D simili ai videogames con una grafica ancora piuttosto acerba…Chi vuole vendere questa realtà come il futuro deve scontrarsi con diversi problemi tra cui l’accessibilità. Mi sembra essere una moda che al momento si basa su piedi poco solidi. La Realtà aumentata e virtuale invece è più interessante ma ha un’adozione molto limitata che non giustifica un’importante corsa verso questo fenomeno. ».
Anche sulla blockchain la tua visione è piuttosto disincantata.
«La blockchain esiste da tredici anni e mi riservo il diritto di dire che non serve a niente, o serve a poco. Gli esperti che fino a tre anni fa erano super verticali su questo tema speculandoci con entusiasmo si sono spostati su altri temi. Già solo questo lascia intendere la qualità delle loro azioni. Spesso si parla di blockchain solamente come un semplice database. Gli informatici sistemisti a favore di questa tecnologia ce ne sono ben pochi… ».
E gli NFT e le Cripto valute?
«Beati i furbi che hanno rubato soldi su queste tecnologie che spesso si sono rivelate truffaldine, gli nft sono morti ed era una fine prevista. Ovviamente ironizzo, spesso ho denunciato delle campagne altamente ingannevoli. L’intelligenza artificiale invece deve essere ancora diffusa in maniera efficace ma possiamo dire che è già entrata di prepotenza nei nostri sistemi produttivi. L’IA è solida e progettata non solo per rimanere ma anche per evolversi…Bisogna però essere attenti ai furbi che cercheranno di specularci. Molto marketing e poca sostanza».
La tua rubrica a Striscia la Notizia con un linguaggio semplice offre un servizio di pubblica utilità su argomenti su cui ancora mancano dei riferimenti istituzionali a fuoco…
«Si, è esattamente questo il mio scopo. Tutti parlano di tecnologia ma nessuno svela gli arcani e le truffe che si nascondo dietro realtà su cui è facile inciampare».
Personalmente in questo periodo distopico qual è la tua visione della tecnologia?
«Non ho una visione negativa della tecnologia, ci nuoto dentro. Semplicemente ho il desiderio e l’ambizione di dominarla così come farebbe un hacker. Per fare questo ho sempre l’esigenza di aggiornarmi ed imparare nuove competenze. Mi diverte metterci le mani capire le logiche della comunicazione o sperimentare con i driver e gli hardware. Ma resto dalla parte degli umani».
Come ultima domanda parafrasiamo sempre il titolo del nostro magazine e chiediamo come vede il “Domani” Marco Camisani Calzolari, quali sono le tue speranze e le tue paure?
«In questi anni abbiamo avuto la percezione di stare andando sempre peggio ma in realtà non totalmente è vero. L’ ignoranza e la povertà del passato sono un lontano ricordo, la ricerca tecnologica e scientifica è particolarmente sviluppata. Bisogna essere positivi per il Domani ma restare con gli occhi aperti e seguire la direzione giusta, io nel mio piccolo mi sono posto l’obiettivo di aiutare le persone e di smascherare i tranelli della rete».
Intervista esclusiva a cura di Simone Intermite