«La vita è una sola, bisogna viverla liberamente senza seguire ciò che il momento ti impone di fare, per questo abbiamo lanciato il cuore oltre l’ostacolo e non ci siamo fatti ingabbiare da niente e da nessuno». Così Daniele Incicco frontman dei La Rua descrive con un entusiasmo trascinante e contagioso il terzo lavoro discografico della band edito da Universal Music intitolato epigraficamente “Nessuno segna da solo“. Dagli esordi nella scuola di Amici di Maria De Filippi ad oggi la band marchigiana, seguendo un percorso trasversale e generazionale, di goal in rete ne’ ha segnati tanti, macinando chilometri di gavetta tra i palchi di festival e concerti nazionali ed internazionali, come l’esperienza del Sanremo world tour, passando con disinvoltura dal pubblico televisivo dei talent a quello del palco del Primo Maggio di Piazza San Giovanni a Roma, collezionando una serie di successi e di singoli che ad oggi dominano le classifiche di Spotify. Il loro ultimo album è un progetto discografico a vele spiegate ma anche un nuovo inizio costruito attraverso una poetica metaforica che richiama chiari riferimenti nell’immaginario collettivo comune, una partenza in direzione ostinata e contraria rispetto al dogma di ripetere la formula che funziona capace di sparpagliare le carte in tavola con disinvoltura sviluppando un lavoro corale avvalendosi di collaborazioni, come quella storica con il produttore Dario Dardust Faini, da sempre vicino alla band, e il supporto di due penne preziose quella di Alessandro Raina e di Elisa Toffoli già loro mentore durante la partecipazione al talent, che ha coronato il progetto con il suo tocco autorale in due brani dell’album. Noi di Domanipress abbiamo incontrato nel nostro salotto virtuale i La Rua ed abbiamo parlato con loro di musica e di stelle comete da inseguire sulle ali della libertà.
Il vostro nuovo album “Nessuno segna da solo” esplora nuovi orizzonti musicali e propone diversi generi che convivono tra di loro; Com’è nata la necessita di scrivere un album così variegato?
«Rispetto agli anni scorsi abbiamo avvertito l’esigenza di fare un balzo in avanti in termini di produzione, assumendoci qualche rischio ed esibendo un maggiore coraggio artistico, dopo anni volevamo evitare di ingabbiarci in un unico stile musicale. Se una canzone ha avuto bisogno di un tappeto elettronico l’abbiamo inserito, senza tenere necessariamente fede a quello che è stato il nostro percorso. Questo disco si presenta più moderno e rispettoso rispetto al panorama internazionale e meno fedele ad un idea cristallizzata dei La Rua, ci siamo sentiti liberi di esprimerci sinceramente e sopratutto senza porci recinti».
Il disco ha un titolo che sembra essere uno slogan contro l’individualismo. Com’ è vivere la realtà del gruppo musicale?
«Tutto è esattamente come nella vita: c’è la vita da single e quella da sposato con figli (ride). Essere parte di una band significa vivere in una comunità, si condividono tanti momenti insieme ed è come condividere gli spazi di una casa dove ci si può nascondere quando le cose vanno meno bene e festeggiare insieme quando si raggiungono gli obiettivi, che non sono mai merito di un solo componente. Noi viviamo insieme da molti anni e per questo album ci tenevamo a dare un titolo al nuovo progetto che facesse da subito capire questa nostra unione. Come per il calcio “Nessuno segna da solo” è tutto un lavoro di squadra ed io ci credo davvero».
Come in una grande famiglia quindi qualche volta può capitare anche di non capirsi…Qual è stata la vostra ultima litigata storica?
«Se si litiga, e qualche volta lo facciamo anche pesantemente, lo si fa sempre per il bene dei La Rua. Spesso ci siamo trovati a discutere per un brano da inserire in una scaletta ad un concerto oppure spesso abbiamo visioni differenti per un arrangiamento che magari non convince tutti pienamente. Fa parte del gioco e va bene così, dallo scontro nascono poi le idee migliori».
Nell’ultimo album avete collaborato con il produttore Dario Faini uno dei nomi più importanti del panorama musicale italiano moderno…qual è stato il suo apporto?
«Dario si è occupato della costruzione di tutti i brani e della scrittura dei testi insieme a me, oltre lui c’è stato un lavoro di squadra anche con Alessandro Raina, che ha dato il suo prezioso contributo, e non ultimo con Elisa Toffoli intervenuta con passione su alcuni brani come “Per motivi di insicurezza” e “Finché il cuore batte” che apre la title track. Sono davvero fiero di aver potuto lavorare con questi grandi nomi».
Il vostro rapporto con Elisa sin dai tempi di “Amici” è sempre stato particolarmente affiatato…
«Si, abbiamo avuto la fortuna di collaborare con Elisa già ai tempi del talent “Amici”, durante quell’esperienza ci ha visto crescere e maturare oltre a darci dei consigli preziosi a cui teniamo molto. Personalmente con lei ho sempre avuto un ottimo scambio emotivo, è difficile da spiegare, riusciamo a prenderci…quindi è naturale riuscire ad instaurare una collaborazione che dura da molto tempo e che mi rende orgoglioso».
A proposito del talent show di Maria de Filippi, hai avuto modo di guardare l’ultima edizione?
«No, in realtà ultimamente seguo poco la tv, perché sono sempre in giro per l’Italia, siamo tutti concentrati sul tour quindi il tempo che ci rimane è limitato».
Partecipare ad un talent show è ancora un vantaggio?
«Noi abbiamo partecipato al talent e l’anno dopo abbiamo suonato sul palco del Primo Maggio…se guardiamo altre band come i Canova hanno fatto il percorso inverso ed ora suonano all’ Alcatraz di Milano. Secondo me la partecipazione ad un talent deve essere vissuta sempre come una tappa di un percorso, come può essere la partecipazione al Festival di Sanremo. Sono momenti di esposizione che devi essere in grado di sfruttare e non una panacea. In base a quello che fai e a quanto è forte il messaggio che porti riesci a trarre delle risposte da parte del pubblico che magari poi inizia a seguire la tua musica oltre il programma tv. Chi segue i festival e gli eventi live spesso non segue i talent e viceversa, per questo per arrivare a tutti bisogna giocarsi carte diverse ed esplorare situazioni differenti tra di loro…senza escludere qualcosa solo per partito preso».
Voi avete provato due volte di partecipare al Festival di Sanremo ma giunti alle selezioni finali non siete mai riusciti a conquistare il palco dell’Ariston…Ci riproverete?
«Chi ha gestito fino ad oggi il Festival evidentemente non ha ritenuto opportuna la nostra partecipazione. Ci dispiace, e in futuro si, riproveremo ancora, ma ciò che oggi ci interessa maggiormente è fare concerti e suonare live. Il contatto diretto con il pubblico è qualcosa di impagabile, oltre ogni partecipazione televisiva, questo è il nostro vero obiettivo».
Non avete cantato nella città dei fiori ma in compenso avete partecipato al “Sanremo World Tour” esibendovi dal vivo in un tour mondiale toccando città come Tunisi, Tokyo, Sidney, Buenos Aires, Toronto, Barcellona e Bruxelles…quale tra queste capitali vi è rimasta maggiormente nel cuore?
«Sono tutte delle città meravigliose e ricche di stimoli diversi. Personalmente sono rimasto molto affascinato da Tokio, mi piacerebbe molto tornarci in futuro sia da turista che per esibirmi sul palco, la loro è una cultura distante dalla nostra ed è sempre positivo contaminarsi. Quando abbiamo suonato ho avverto un’empatia particolare nonostante il pubblico asiatico non conoscesse una nota delle nostre canzoni. Quella del linguaggio diverso è una sfida che mi piace particolarmente. Viaggiare in giro per il mondo e scoprire reazioni, anche diverse, rispetto al nostro repertorio è stata un’occasione di crescita importante che sicuramente influirà sulle nostre prossime produzioni».
A proposito di produzione in quest’ultimo album anche il tuo approccio alla scrittura sembra essere maturato. Qual è stato il tuo “modus scribendi”, riprendendo il titolo di un vostro brano qual è stata la stella cometa che ti ha guidato?
«Per questo lavoro ho voluto stravolgere le regole. Spesso parto da una posizione scomoda o da un pensiero che mi logora e brucia dentro, che non riesco a tenermi. “Stella cometa” non nascondo che sia il brano che preferisco del disco, è come se fosse il mio manifesto personale, l’ho scritto dopo aver ascoltato ripetutamente l’ultimo album di Brunori Sas, uno dei colleghi che stimo maggiormente e con cui abbiamo spesso condiviso il palco alternandoci in giro per concerti. Sono convinto che tutti noi abbiamo una luce da seguire ed è importante non farsi catturare dai luoghi comuni e dalle usanze collettive che spesso possono deviare le nostre vite e ci portano a fare delle scelte di comodo. Ultimamente sembriamo tutti troppo occupati a seguire ciò che ci viene imposto dalle convenzioni non credi?
Il vostro ultimo singolo non a caso si intitola “Alla mia età si vola“…
«Esattamente, dovremmo tutti goderci la nostra esistenza, a prescindere anche dall’età perché non è mai troppo tardi, e non pensare a ciò che è giusto fare come qualcosa di dogmatico ed irremovibile. Bisogna trovare in se stessi la forza di seguire le proprie ispirazioni senza farsi distrarre dal rumore del mondo e del tempo».
Anche il singolo “Alta velocità” sembra essere figlia di questo nuovo modo di concepire la scrittura mutuando metafore e riferimenti anche dal mondo del calcio…
«Si, anche la scrittura si evolve con il passare del tempo, ultimamente cerco di essere sempre diretto con le immagini e con le parole perché vorrei che il messaggio emozionasse arrivando dritto, utilizzo delle suggestioni. In questo disco è come se per i La Rua ci fosse un nuovo inizio anche a livello compositivo perché abbiamo capovolto il nostro modo di comunicare».
Spesso si sente parlare di una differenza tra gruppi indie e quelli mainstream… ad oggi ha ancora senso per te rifarsi a questa dicotomia di genere?
«Guardando il mercato direi che esiste davvero una divisione ma è quella tra chi fa musica per business e chi invece la fa perché segue una vocazione che ha dentro e che non può fare a meno di manifestare. Questa differenza si nota a lungo termine : chi segue la moda compare unicamente ai festival e agli eventi collettivi, quelli dove ci sono più nomi dal tormentone facile, chi vive di musica ha un percorso artistico completo fatto di gavetta e di live che hanno ragione di esistere autonomamente. Nello specifico credo che l’etichetta indie aveva ancora senso quando c’erano i Marlene Kuntz e e gli Afterhours che all’inizio della loro carriera si differenziavano dalla massa per proporre al pubblico qualcosa di innovativo che non poteva passare da altri canali. Oggi la divisione non ha più senso…anche Manuel Agnelli è passato per Sanremo, non ci sono più divisioni nette».
I tempi moderni impongono per chi fa musica una presenza costante sui social network. Voi avete un grande seguito, soprattutto su Instagram…come vivi questo aspetto?
«Te lo dico in tutta sincerità non amo molto raccontarmi sui social, posto poco e sono discontinuo in questa attività ma comprendo che è un sistema per connettersi al pubblico e spesso mi impongo di esserci. Non reputo utile però essere presenti sempre, anche quando non si ha nulla da dire…informare i miei fan su che cosa mangio o su cosa faccio nella vita fuori dal palco non è un utilizzo che credo vorrò fare mai. A chi può importare se mangio a cena l’amatriciana o la carbonara? (ride). Siamo quasi coetanei, io sono cresciuto con modelli come Vasco Rossi, Ligabue o Lucio Battisti che facevano parlare la loro musica e non l’ego personale su Facebook, mi piacerebbe seguire il loro modello».
Come ultima domanda parafrasiamo sempre il titolo del nostro magazine e chiediamo come vedono il “Domani” i “La Rua” , quali sono le vostre speranze e le vostre paure?
«Il Domani lo vediamo come un mare mosso pieno di onde, ma all’orizzonte c’è un salvagente fatto di canzoni!».
Simone Intermite
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