Amati, odiati, incensati dai talk televisivi, sedotti dalle case editrici e protagonisti delle stories sui social, i virologi sono oggi figure di riferimento della nostra società moderna, funestata dall’epidemia di Covid 19, in equilibrio tra le le logiche della comunicazione pop 4.0 ed il rigore scientifico microbiologi, igienisti ed epidemiologi sono stati e continuano ad essere, un punto di riferimento per le nostre vite ed un esempio di come è possibile parlare anche di temi importanti, come quello della nostra salute, utilizzando mezzi moderni ed inclusivi  interessando aspetti trasversali capaci di alzare lo share ed essere nello stesso tempo fondamentali per la collettività. Per Fabrizio Pregliasco, virologo, Direttore Generale dell’ Istituto Galeazzi di Milano, Docente di Igiene Generale ed applicata all’Università degli Studi di Milano e Consigliere del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL) comunicare la prevenzione è una missione oltre che un lavoro. La sua attività scientifica documentata dalla pubblicazione di oltre 150 articoli su riviste nazionali e internazionali e dalla partecipazione in qualità di relatore in numerosi convegni di rilievo internazionale testimonia un impegno costante in tema di vaccini e di virus, soprattutto influenzali, operando per la collettività un’ attività di divulgazione scientifica trasversale chiara puntuale capace di arrivare ai singoli con forza e precisione. Noi di Domanipress abbiamo avuto l’onore di ospitare il Prof. Fabrizio Pregliasco nel nostro salotto virtuale per parlare con lui del prosieguo della campagna vaccinale, delle prossime tappe della lotta al Covid e dell’importanza della consapevolezza sui temi riguardanti la nostra salute.

L’intervista al Prof. Pregliasco è stata realizzata in data 8 Giugno 2021 le informazioni riguardanti l’evoluzione epidemiologica del Covid19 e della campagna vaccinale sono in costante evoluzione.Per aggiornamenti è possibile consultare il sito del Ministero della Salute: https://www.salute.gov.it/portale/home.html

Virologi, epidemiologi, biologi, politici e personaggi da talk show, di Covid 19 ne hanno parlato tutti e questo pluralismo ha spesso causato confusione e smarrimento all’interno dell’opinione pubblica disgregata tra social e fake news. Facciamo chiarezza: a livello scientifico chi sarebbe più titolato a disquisire di pandemie e covid?

«La parola virologo è in realtà una semplificazione giornalistica che riguarda tutti coloro che con varie esperienze ma con approccio metodologico e scientifico diverso si occupano di malattie e virus. Ci sono medici e specialisti di malattie infettive che si dedicano alla parte clinica che riguarda la cura e la profilassi, accanto a questi ci sono specialisti, come me, che si occupano di igiene e di prevenzione non farmacologica e poi ci sono virologi che studiano la parte riguardante la diagnostica. A questi si aggiunge anche chi possiede il titolo di virologo in quanto docente di microbiologia, una branca che studia la struttura e le funzioni dei microrganismi e la conoscenza dei virus dal punto del visto delle loro caratteristiche. Infine ci sono anche i veterinari e gli statistici, laureati in matematica o in altre materie scientifiche, che si occupano della raccolta dati. Direi che ognuno studia una parte del problema dalla sua angolazione e questo è un aspetto positivo perché è sempre utile mantenere un approccio totalizzante che tiene conto di più fattori per lo studio di motivi e variabili causali di ogni singola malattia o patologia».

Come un prisma dove ognuno guarda una faccia diversa…Lei di epidemie e di virus ne ha studiati diversi, scrivendo libri ed esaminandoli da vicino. Perché il Covid 19 è stato tra tutti quello che ha influito maggiormente nelle nostre vite?

«Ci siamo scontrati con questa pandemia con la guardia bassa. Nell’ultimo secolo abbiamo assistito a diverse situazioni emergenziali e fronteggiato brillantemente anche una pandemia importante come quella del 2009 dell’ A/H1N1 che non ha sortito fortunatamente gli effetti devastanti del Covid perché questo virus definito erroneamente suino colpiva soprattutto i giovani e quindi ha tratto una problematica imponente a livello numerico come casistica ma non ha procurato quelli effetti dolorosi e di sofferenza della patologia di coronavirus che ha colpito pesantemente i soggetti più anziani. Siamo arrivati a situazioni anche gravi che riuscivamo a controllare, mi riferisco alla Sars nel 2003, all’Influenza Aviaria del 2005 e successivamente alla MERS o sindrome respiratoria mediorientale del 2009 passando poi per il virus Zika (Zikv), una malattia virale trasmessa dalla puntura di zanzare infette di alcune specie appartenenti al genere Aedes, altra problematica emersa che però non ha provocato grandi problemi, senza dimenticare il ritorno dell’Ebola nelle regioni meridionali del corno d’Africa».

A circa un anno e mezzo dal picco massimo del contagio che ha causato migliaia di morti ed un tracollo del sistema economico le chiedo: perché L’Italia è stato il primo paese al mondo dopo la Cina a combattere contro il Covid-19 e come mai siamo al decimo posto tra i 178 Paesi e territori con il maggior numero di morti monitorati dall’Organizzazione mondiale della Sanità?

«Come sistema sanitario italiano credevamo di essere più pronti, di riuscire a bloccare il virus dall’epicentro di Wuhan senza quelle tragiche conseguenze che hai potuto elencare, invece gli asintomatici hanno fatto da tramite per il virus proprio per la banalità delle infezioni che si sono propagate velocemente così come può propagarsi un incendio in una foresta. Prima delle chiusure dei voli solo all’aeroporto di Milano Malpensa arrivavano ogni settimana da Wuhan circa ventimila passeggeri con un flusso giornaliero inarrestabile che è stato la causa principale della propagazione del virus in Italia. In quel periodo sono arrivati nel nostro paese contagiati con sintomi influenzali lievi e condizioni non individuate o quasi clinicamente irrilevanti che hanno creato un iceberg invisibile, accresciuto sott’acqua, e poi  esploso di botto a febbraio quando una piccola percentuale di casi rilevanti ha determinato migliaia di morti in Italia e milioni nel mondo».

Il Covid-19 non è stata l’unica pandemia che il nostro paese ha dovuto fronteggiare….

«Quando si parla di mortalità non sono tanto i numeri assoluti a dover essere analizzati, ma il rapporto tra decessi e malati. Nel passato le pandemie sono sempre state devastanti, penso a quelle dello scorso secolo: nel 1918 c’era la spagnola, nel 1956 l’asiatica e recentemente è tornata anche l’emergenza dell’Ebola, per questo è importante continuare ad utilizzare le giuste misure di prevenzione, non bisogna mai abbassare la guardia».

L’esperienza negativa del Covid -19 in questo senso può aver fatto acquisire un livello di expertise che potrà tornarci utile in futuro?

«Dico spesso che purtroppo la memoria collettiva ed individuale è estremante corta. In un’ altro contesto della mia vita, mi occupo di volontariato per l’ Associazione Nazionale Pubbliche Assistenze, ci siamo interessati di prevenzione dei terremoti insieme al Dipartimento di Protezione civile con una campagna annuale chiamata “Io non rischio” e abbiamo valutato i pericoli dei territori per poterli raccontare ai cittadini scoprendo che negli anni più volte sono state riscostruite le abitazioni sulle falde dove si era già verificato un terremoto, anche importante. Questo per ribadire che quando si perde la memoria della generazione passata che ha subito un disastro è facile che il ciclo ricominci e si ripeta drammaticamente».

Non mi sembra quindi particolarmente fiducioso…

«Io ho qualche dubbio che siamo diventati tutti più buoni, bravi ed efficienti per il futuro. Sicuramente l’esperienza del Covid ci permetterà di parlare maggiormente di piani pandemici che per altro esistevano, anche se non pienamente aggiornati. Bisogna ricordare che ogni virus ha caratteristiche diverse che possono essere anche spiazzanti e totalmente nuove. Come Direttore Sanitario dell’ Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano alle prime avvisaglie della pandemia avevo organizzato una riunione per aggiornare il piano pandemico e ricordo che abbiamo censito quante mascherine sarebbero servite per fronteggiare l’emergenza…Credevamo di averne a sufficienza invece ci sono durate appena dieci giorni perché la dimensione del Covid è stata totalmente inaspettata. Ogni pandemia ha una peculiarità diversa e certo qualche lezione l’abbiamo imparata, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti strategici come la produzione per i dispositivi di protezione individuale come mascherine e gel igienizzanti che sono i primi presidi utili per combattere un’epidemia. Noi compravamo le mascherine da Wuhan principale produttore perché in Cina costavano meno e in Italia nessuno le produceva, ora ovviamente è tutto cambiato».

A proposito di questo, l’origine del Covid19 è ancora sconosciuta; c’è chi ritiene si tratti di un virus sfuggito da un laboratorio e chi documenta un vettore animale, indicandolo nel pipistrello come causa scatenante…Qual è la sua opinione?

«Le analisi genomiche che si possono condurre utilizzando i programmi informatici per studiare le sequenze genomiche consentono di costruire una specie di albero genealogico dei virus ed esaminando il covid19 e le sue similitudini, tra le sequenze dei geni si nota una consequenzialità tra il coronavirus umano e quello del pipistrello. Tuttavia, nonostante il sequenziamento di quasi il 98% della sequenza genomica, il quadro totale non è ancora del tutto chiaro. La sequenza genomica, infatti, non è formata solo da sequenze codificanti, ma anche da sequenze regolatorie, da sequenze ripetitive (chiamate DNA spazzatura), e dagli introni, che spesso hanno funzioni sconosciute. Sicuramente può esserci una consequenzialità che può giustificare un origine animale, come molti altri virus ma che questo aspetto sia stato velocizzato da un mancato contenimento di un virus da parte di un laboratorio di alta tecnologia è un ipotesi verosimile legata al fatto che in diversi laboratori del mondo sono isolati dei patogeni di coronavirus anche molto pericolosi per la salute dell’uomo. Ad oggi è tutto da dimostrare se ci sia stato un’implementazione ed una manipolazione genetica ,ma rispetto a ciò che conosciamo possiamo affermare che molti aspetti non sono stati totalmente chiariti. Chissà se si riuscirà a comprendere davvero cosa sia successo, io penso che potremo comprendere questo aspetto solo se ci sarà una confessione documentata, altrimenti scientificamente non credo che ne verremo mai a capo».

Ad oggi l’unica certezza è il vaccino e l’utilizzo di mascherine e il mantenimento delle giuste misure di igiene e di distanziamento sociale rafforzato dalle nuove norme comportamentali e dallo smartworking. Se le misure sono state accettate e sostenute dalla totalità della popolazione per la campagna vaccinale c’è stato un pluralismo che ha creato non pochi dubbi. Quali sono le differenze che intercorrono tra le diverse tipologie di vaccino? Dati alla mano la campagna del generale Figliuolo sembra essere stata efficace…

«C’è voluto poco tempo per avere a disposizione più di un vaccino, e di questo dobbiamo esserne orgogliosi, per altre patologie gravi come l’HIV ne siamo ancora privi. La velocità è stato un elemento importante dovuto all’ industrializzazione di una tecnologia, che era già in pancia e che è stata velocizzata a seguito di un investimento importante di nazioni particolarmente avanzate come l’America, che ha sviluppato il genoma del virus in maniera massiva. I finanziamenti e la spinta propulsiva del covid 19 ci hanno fatto fare un balzo in avanti in questo senso. Gli Stati Uniti, pur con un presidente che non è stato un buon esempio dal punto di vista del comportamento, in termini di contenimento del virus ed utilizzo dei dispositivi di protezione personali, ha foraggiato molte aziende farmaceutiche per agevolare la ricerca».

Il vaccino è politica?

«Certo, i vaccini sono anche uno strumento politico, le nazioni vincenti sono quelle che si sono accaparrate le disponibilità maggiori e che hanno prodotto le dosi vaccinali. Ad oggi è importante favorirne la distribuzione nel mondo a prezzi modici che possano garantire a tutti una copertura contro il covid. Tutto questo riguarda aspetti economici e politici, c’è stato un sovranismo vaccinale in cui ogni nazione ha cercato di puntare ad un interesse strategico. Sono stati presentati circa duecento progetti che probabilmente arriveranno nei prossimi mesi capaci di finalizzare nuove tecnologie e modalità la situazione è in continua evoluzione».

I vaccini Astrazeneca e Pfizer sono strutturati a partire da due tecnologie completamente differenti…Qual è la migliore?

«Hanno vinto due approcci diversi: i vaccini Pfizer-BioNTech e Moderna sono vaccini a mRNA, mentre il vaccino Vaxzevria (ex AstraZeneca) è un vaccino a vettore virale così come il vaccino Janssen di Johnson & Johnson e il vaccino Sputnik V. Pfizer ha in altre parole ha conservato un pezzo di mRna messaggero del virus, ovvero quella parte che ci interessa per far riconoscere al nostro sistema immunitario lo spike, detto anche unicino del virus per agganciare i recettori in una microscopica “bollicina” che protegge l’mRNA per evitare che deperisca e che venga attaccato e distrutto dalle difese del sistema immunitario in quanto componente estraneo all’organismo. La presenza  del mRNA stimola così la produzione di anticorpi specifici. Con il vaccino, in questo caso, non si introduce nelle cellule il virus vero e proprio. Al contrario Astrazeneca è un vaccino a vettore virale e si avvale dell’adenovirus inattivato come vettore. Sono due meccanismi profondamente diversi uno più innovativo e l’altro già noto ma non per questo meno efficace…».

E nel futuro cosa accadrà, è possibile che ci siano altre tipologie di vaccino?

«Sicuramente nel futuro emergeranno i vaccini a mRNA messaggero perché hanno maggiori chances a livello commerciale e gestionale».

Intanto questo dualismo ha confuso le idee agli indecisi ed alimentato fake news,paure ed incertezze: tra gli ultra sessantenni mancano all’appello tre milioni di persone…

«I vaccini ad oggi hanno avuto una narrazione complessa, è vero, ma questo è avvenuto anche in passato. Il paradosso è che nella maggioranza dei casi molti ingurgitano, anche regolarmente, farmaci molto più pericolosi di qualsiasi vaccino senza leggere il bugiardino e spesso anche in assenza di un consulto medico, senza curarsene troppo. Il vaccino invece fa più paura pur essendo paragonabile a qualsiasi altra terapia».

Perché generalmente si è più propensi a spaventarsi per un vaccino rispetto all’assunzione di un farmaco?

«Ritengo che sia una condizione psicologica, quando si avverte un forte mal di denti il primo istinto è quello di risolvere immediatamente il dolore, è il classico meccanismo della sopravvivenza. In quel momento non ci curiamo se questo può avere una controindicazione che si verifica con una proporzione molto bassa. Con il Covid 19 e la vaccinazione è diverso, il paziente non avverte nè il dolore nè il pericolo quindi è più reticente nel cercare di curare e prevenire il problema. In questa infodemia c’è stato un eccesso di informazioni e di notizie sbagliate che hanno ribattuto in maniera esagerata gli eventi avversi. Soprattutto con il vaccino Astrazeneca ci sono stati dei problemi in termini di comunicazione e di posologia che hanno fatto emergere dubbi e perplessità».

Alla luce di questo aspetto nell’ambito degli Open Day vaccinali organizzati da diverse Regioni alcuni hanno ritirato per i più giovani il vaccino Astrazeneca a seguito di alcuni effetti avversi che si sono verificati anche in Italia…C’è un vaccino da preferire rispetto ad un altro?

«Non c’è un vaccino migliore ed uno peggiore, sono utili per utilizzi diversi, ad oggi i risultati di tutti i vaccini somministrati sono equiparabili tra di loro e rispondono positivamente all’obiettivo di contenere il virus. C’è qualche effetto collaterale in più per l’adenovirus di Astrazeneca ma è irrisorio. La necessità di avere un vaccino in più adesso, in un momento di emergenza, prevale su eventuali differenze. Non dobbiamo aspettare di poter ricevere un vaccino più avanzato e rischiare di contrarre il virus. I benefici del vaccino sono superiori alla possibilità di contrarre la malattia e di rischiare la terapia intensiva e conseguenze anche gravi. Nel tempo sicuramente sono fiducioso che affineremo delle scelte diverse e che diminuiranno ulteriormente gli effetti avversi ma intanto è importante non farsi trovare impreparati. Bisogna combattere e vincere questa guerra».

Riuscire a vaccinare la maggioranza della popolazione equivale a vincere la guerra o solo una battaglia?

«Lo dico chiaramente: questa non sarà l’unica campagna vaccinale, il virus non è scomparso. Dobbiamo abituarci ad eventuali richiami che saranno necessari».

Dopo l’estate, la vita comunitaria e l’allentamento delle misure restrittive dovremmo confrontarci con le varianti stagionali…siamo pronti?

«Le varianti non ci stupiscono, il coronavirus si comporta come il virus influenzale e cerca di riprodursi anche modificando parte della sua struttura. Altri virus sono più precisi, si moltiplicano esattamente uguali a se stessi e non presentano questa caratteristica. Il Covid invece si replica disordinatamente; la gran parte delle varianti sono molto più pervasive del virus originale. La variante indiana, inglese e vietnamita hanno delle caratteristiche di vantaggio a favore del virus».

Con questo è possibile aspettarci nuovi lockdown?

«La convivenza con il Covid, mi auguro, sarà sicuramente più morbida, i vaccini sono studiati per evitare le ricadute gravi, ma sicuramente non arriveremo con il primo giro all’immunità di gregge. Ad oggi guardo con fiducia soprattutto i giovani che hanno risposto alla campagna vaccinale in maniera positiva e propositiva. Si parla anche della possibilità di vaccinare i bambini con meno di due anni di età per ridurre ulteriormente il serbatoio del contagio. Nei prossimi anni dovremmo continuare a combattere senza abbassare mai la guardia».

Le aperture delle discoteche e i nuovi protocolli di sicurezza meno severi che in passato possono favorire la risalita del contagio? L’economia per poco meno di due anni è stata completamente paralizzata, è stato uno sforzo necessario?

«Potrebbe verificarsi un aumento dei contagi ma ci auguriamo che non si alimenti nuovamente il numero delle terapie intensive. Le chiusure ridicolizzate sui social network sono state tutte necessarie nel evitare che il virus circolasse e che colpisse i soggetti più fragili. Se riusciamo con il vaccino a mettere al sicuro quella fetta di popolazione che potenzialmente potrebbe rischiare di contrarre il virus in forma grave, con il ricorso alla terapia intensiva, anche le misure di sicurezza potranno essere gradualmente allentate così come si sta effettivamente verificando».

Qualche giorno fa ha suggerito ai più giovani non ancora vaccinati di evitare rapporti intimi e baci, questo ha scatenato un dibattito molto acceso sui social…

«Vorrei giustificarmi, in occasione di una trasmissione radiofonica scherzosa ho lanciato due provocazioni. La prima è quella di voler diventare un’influencer e di lanciare la moda della tintarella con la mascherina…Andando oltre questa boutade concordo che al mare non ha senso utilizzarla ma credo sia utile anche in vacanza abituarci alla mascherina come un accessorio indispensabile se si attraversano luoghi particolarmente affollati; così come sappiamo di non doverci allontanare troppo senza gli occhiali da sole. La seconda provocazione è quella di fare attenzione a tutti i momenti di contatto e di non sottovalutare le condizioni di rischio. Riapriamo e ritorniamo a vivere ma non dimentichiamo la ragionevolezza di valutare la curva epidemiologica e di modulare tutte le nostre attività in base alla gravità del contagio. In Inghilterra su questo c’è già stato un dietrofront ed un ritorno a misure più rigide. Dobbiamo capire che continuare a proteggerci è fondamentale».

A proposito di sentiment e di consenso social la figura del virologo è diventata criticamente “pop”, alcuni suoi colleghi come il Prof. Bassetti, che si è dichiarato “narciso”, hanno confessato di essere stati particolarmente sedotti dalla fama tanto da assumere uffici stampa e social media manager e poi c’è chi come la Dott.ssa Viola pur pubblicando libri e non disdegnando comparsate in tv, dichiara che nella popolarità avverte un senso di disagio. Lei a quale categoria si sente di appartenere?

«In realtà io una visibilità mediatica occupandomi di virus e di influenza, seppur con una dimensione differente, l’avevo anche prima del Covid e negli anni ho sempre utilizzato i media per veicolare dei messaggi informativi ed arrivare a tutti. La comunicazione fa parte del mio mestiere di Docente di Igiene e Medicina preventiva; è fondamentale educare alla salute ed informare sui comportamenti sociali, alimentari e sessuali che possono essere a rischio. Oggi mi fermano per strada, per salutarmi ma noi virologi siamo stati anche un bersaglio facile, ci chiedevano risposte rapide nuove e benevole. In realtà la ricerca rincorre la natura, ha dei tempi lunghi e delle opinioni diverse che esitano da ricerche son costruite su tentativi ed errori. Questo dialogo prima avveniva unicamente nel contesto accademico e della ricerca oggi invece passa anche da format televisivi in cui c’è un confronto che credo sia più utile al contesto politico che a quello della medicina. Quando si parla di programmi elettorali è giusto far ascoltare opinioni diverse e questo può accendere un dibattito interessante ma replicare questo modello anche sui temi della ricerca e della scienza può essere spiazzante e pericoloso con conseguenze anche gravi».

Se la riconoscono per strada le fa piacere quindi…

«Direi di si, finora non ho incontrato nessuno dei leoni da tastiera, qualcuno è stato anche denunciato per alcune minacce ricevute…i social in questo senso possono essere deleteri».

Come ultima domanda parafrasiamo sempre il titolo del nostro magazine e chiediamo come vede il “Domani” Fabrizio Pregliasco quali sono le sue speranze e le sue paure?

«Il Domani dobbiamo sperare che sia sempre migliore. Per renderlo tale bisogna imparare dagli errori e dalla scelte che la natura e le evidenze ci confermano. Impariamo dall’approccio e dalle modalità con cui abbiamo affrontato questa emergenza nella speranza che tutto questo dolore sia utile e che porti ad una crescita consapevole della nostra grande comunità».

Intervista esclusiva a cura di Simone Intermite

 

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Direttore editoriale del portale Domanipress.it Laureato in lettere, specializzato in filologia moderna con esperienza nel settore del giornalismo radiotelevisivo e web si occupa di eventi culturali e marketing. Iscritto all’albo dei giornalisti dal 2010 lavora nel campo della comunicazione e cura svariate produzioni reportistiche nazionali.