Antonella Ruggiero è una delle voci più intense e suggestive del panorama musicale italiano, di quelle memorabili e riconoscibili capace di spaziare tra generi ed orizzonti differenti senza perdere la propria identità. Quando parliamo con lei di musica è come se si aprisse un orizzonte di possibilità e di scelte che l’hanno portata ad intraprendere una brillante carriera solista in nome della ricerca piuttosto che della Hit da classifica raccogliendo la stima del suo pubblico: «Non ho mai tradito me stessa seguo il mio percorso in nome della libertà più assoluta…» Dai suoi esordi come leader dei Mattia Bazar che l’ha vista protagonista sui palchi di tutto il mondo alle sperimentazioni di oggi tra musica sacra, etnica, jazz e pop la cantante genovese rivendica con fierezza il suo nuovo obiettivo artistico che si intitola “Empatia“, un album suggestivo ed intimo pubblicato come testimonianza di un concerto tenuto nella storica cornice della Basilica di Sant’Antonio da Padova dedicato al mondo del volontariato e che assume un valore sociale importante. Nella preziosa tracklist ci sono quindici brani interpretati dalla voce della Ruggiero, registrati come un album da studio: da Crêuza de mä e l’Ave Maria di De Andrè, a Cavallo Bianco dei Matia Bazar, dal canto sacro sardo più noto Deus ti salvet Maria a Respondemos del repertorio di musica ebraica, passando per l’inno latino Veni veni Emmanuel fino a Echi d infinito, il brano di Kaballà e Mario Venuti che l’artista presentò al Festival di Sanremo nel 2005. Noi di Domanipress abbiamo avuto il piacere di ospitare Antonella Ruggiero nel nostro salotto virtuale per parlare con lei della sua luminosa carriera, di musica e del coraggio di coltivare l’empatia come chiave di un fondamentale e necessario cambiamento sociale.
* È possibile ascoltare l’Intervista Esclusiva sul Podcast disponibile in calce su Spotify, Google ed Apple Podcast.
Il tuo ultimo album si intitola “Empatia” per qualcuno essere empatici è la qualità più bella di un buon rivoluzionario…
«In un modo dominato dal cinismo l’empatia alberga nell’animo di chi vuole intendere la vita in una modalità differente, più incline all’ascolto e alla comprensione degli altri. Questo è un periodo in cui è più facile ritrovarsi uniti verso un fronte comune ed è importante alimentarla l’empatia, per riscoprire il legame che ci unisce come uomini. Il mio nuovo progetto discografico nasce dalla registrazione di un concerto presso la basilica di Sant’Antonio ed una collaborazione attiva con il Centro Servizi di Padova, città che nel 2020 è stata capitale del volontariato».
Non è sempre semplice comprendere il prossimo, il suo stato d’animo, il suo vissuto e nei periodi di crisi si assiste ad una tendenza sociale egoriferita e Il distanziamento sociale ha esacerbato questo aspetto.
«Si, ma è anche vero che ci sono molti volontari empatici che prestano il loro servizio in forma totalmente gratuita e che donano il loro supporto in favore di chi non ha i mezzi per poter sopravvivere a questo terribile momento. Purtroppo il problema è anche che si parla sempre troppo poco di queste persone, invece bisognerebbe accendere un faro verso le realtà del terzo settore ed aiutarle concretamente».
I brani registrati in questo album risentono di una ricerca artistica approfondita e di un eco antico, ricco di riverbero storico e reale come quello che è possibile ascoltare nelle chiese dove da qualche anno sei solita esibirti…Come si passa dal palco del teatro a quello più intimistico dei luoghi sacri?
«Ho iniziato a studiare e a cantare musica sacra circa dieci anni fa; quello che mi affascina è l’universalità del linguaggio delle note che è capace di unire popoli e religioni differenti. L’ambiente sacro è diverso rispetto ad un teatro o ad un concerto di piazza perché tra le mura di una chiesa le nostre frenesie interiori si interrompono e trova posto la riflessione con se stessi e con il mondo. Io ho avuto la fortuna di organizzare concerti in luoghi straordinari come la Sinagoga di Berlino o in moschee mussulmane dove sono state apprezzate le nostre musiche, questo mio percorso mi ha portato in luoghi antichi, ricchi di fascino, che mi regalano dei momenti di umanità ricchi di suggestione e di unione intensa con il pubblico».
A livello tecnico quali sono le caratteristiche di questi spazi?
«I suoni dell’universo sacro sono molto intensi perché spesso gli spazi possono essere costituiti da luoghi particolarmente ampi ed alti e questo conferisce alla voce e agli strumenti una forma meno rigida, più eterea sicuramente diversa dalla dimensione raccolta di un club o di un teatro».
A proposito di luoghi e di città nella scaletta del tuo ultimo album trova spazio anche il brano in dialetto genovese Crêuza de mä ,del grande Fabrizio De Andrè…Genova è anche la tua città d’origine, che rapporto hai con i luoghi della tua infanzia?
«Genova per me è semplicemente casa. Fortunatamente il centro storico, vicino al porto, è rimasto inalterato ed è ancora possibile respirare ancora quella magica città che ho sempre vissuto fino ai miei vent’anni quando poi mi sono spostata con i Mattia Bazar. Ovviamente tutte le città cambiano, si evolvono, alcuni percorsi di Genova sono stati stravolti e la viabilità sembra essere molto difficoltosa. Se penso al centro storico non posso non dire che sia uno dei luoghi storici più belli del mondo. Cantare Crêuza de mä mi riporta a quando ragazzina mi perdevo tra i carrugi e pensavo ai progetti e ai sogni da realizzare, spesso bisogna partire e viaggiare per poi ritrovarsi…Genova è una città che ispira poesia e fa sognare e riflettere. Talvolta è malinconica e schiva, altre volte discretamente vivace, è da sempre aperta al mondo e questo lo puoi respirare sulla tua pelle camminando tra le sue strade».
Non è l’unico omaggio a Fabrizio De Andrè che si ascolta nella tracklist…
«Nell’album ho inserito anche un altro brano di Fabrizio De Andrè: “L’ Ave Maria”; è un brano che mi piace dedicare sempre all’universo femminile che talvolta subisce ancora dei disagi inenarrabili. Anche questo, oltre all’empatia è un tema che non bisogna dimenticare…Durante la pandemia, a causa della quarantena, le richieste di aiuto ai numeri antiviolenza sono raddoppiate ed è necessario rimettere al centro un nuovo sistema di contrasto inclusivo ed efficace. Per farlo bisogna ripartire abbattendo le barriere culturali e sociali».
Ricerche evidenziano che è presente un gender gap importante anche nel mondo nella musica…Tu dopo aver lasciato il gruppo dei Mattia Bazar nel 1989 hai intrapreso una carriera da solista…Com’è avvenuto questo passaggio, l’industria musicale italiana è davvero maschilista?
«Non credo che lo sia in senso assoluto, quelli con i Mattia Bazar sono stati quattordici anni molto intensi, di crescita umana e professionale. Durante le tournée abbiamo girato mezzo mondo esibendoci in luoghi legati ad un universo che oggi non c’è più, penso ad esempio all’Unione Sovietica, al Cile di Pinochet al Giappone e al medio oriente quando tra un sound check e l’altro si poteva percepire il boato delle bombe…erano anni di tensioni importanti ma nonostante questo si poteva fare musica e portare un messaggio artistico positivo. Dopo tutte queste esperienze ho avvertito la necessità di fermarmi, e l’ho fatto per sette anni, per poi continuare il mio percorso artistico con altre modalità. Avevo voglia di sperimentare generi diversi rispetto a quello pop spaziando tra la musica elettronica, classica, sacra e anche popolare. Oggi sono felice della mia scelta, seguo il mio percorso in nome della libertà più assoluta…».
In questo tuo percorso non hai mai rinnegato il passato e continui a reinterpretare i tuoi successi con i Mattia Bazar vestendoli di abiti musicali nuovi e preziosi…
«Si, sono pezzi che mi appartengono e che continuo a proporre ma ovviamente mi piace riviverli con degli arrangiamenti moderni che rappresentano ciò che sono oggi…».
Tra tutti i tuoi successi il brano “Ti sento” è tra i più utilizzati dai talent show da X Factor ad Amici come metro di giudizio per giudicare il “bel canto”, come se si trattasse di una prova del fuoco per le cantanti che vogliono intraprendere il mestiere d’interprete. Tra le tante cover quale ha catturato maggiormente la tua attenzione?
«La cover più particolare sicuramente è quella che ho realizzato qualche anno fa con gli Scooter, un gruppo tedesco che mi ha coinvolta una realizzazione techno dance del pezzo che ha conquistato le classifiche europee in Germania, Ungheria ed in Austria, mi sono molto divertita anche nella realizzazione del videoclip che pone in contrasto classicità e modernità. Per le tante cover che ho ascoltato io penso che sia interessante trasformare gli evergreen del passato in una forma nuova, realizzarla come già esiste mi sembra un esercizio poco utile. “Ti sento” si può anche cantare con un filo di voce e ai giovani suggerisco sempre di trovare una propria personalità attraverso la voce e l’interpretazione…».
Anche la cover di un brano così amato e dalla potente forza vocale come “Ti sento” può essere qualcosa che vada oltre il classico esercizio retorico…
«Assolutamente si, prendi ad esempio il brano “Over the rainbow” di Judy Garland reinterpreto con il benjo…un classico può essere trasformato in qualcosa di nuovo ed innovativo. È sempre possibile rileggere qualcosa per creare delle nuove atmosfere , forse l’unica eccezione riguarda l’Opera che va rispettata per la sua storicità ma per la musica pop è possibile concedersi qualche libertà».
Nel tempio della musica pop italiana, che è il teatro Ariston di Sanremo tu ci sei stata più volte come protagonista…Cosa ne pensi del cast di quest’anno?
«Sinceramente dovrei conoscerli tutti per poterti rispondere, alcuni li ho sentiti ed altri no. Sicuramente ciò che emerge è la scelta di dare voce alla nuova generazione musicale e questo mi pare giusto. Bisogna capire quali siano le proposte al momento mi sembra che ci sia un angolo di assoluta originalità costituito da giovani artisti che rivendicano l’essere se stessi in maniera diversa dagli altri e questo non può che essere un aspetto positivo. Troppo spesso si ascoltano brani simili tra di loro che quasi si confondono…».
Le tue partecipazioni a Sanremo hanno lasciato il segno sia a livello musicale che visuale. I tuoi outfit ricercati e le copertine dei tuoi album hanno avuto sempre un appeal particolare…Come avviene questa ricerca?
«In passato ho studiato grafica, mi piace molto indagare il tratto umano, sono appassionata di graffitismo, non amo chi imbratta i muri ma mi affascina chi decora i borghi o i piccoli paesi con la street art che se realizzata bene può essere un elemento di design e di decoro urbano molto valido. Ci sono capolavori in giro per il mondo realizzati dai writers che meriterebbero una maggiore dignità. Per quanto mi riguarda il mio lavoro è piuttosto semplice e funzionale ad ogni progetto musicale…Spesso sono delle idee che nascono in maniera spontanea e che sono poi sviluppate con l’aiuto di professionisti».
L’album precedente ad “Empatia” si intitolava “Quando facevo la cantante”, quali sono le tue passioni oltre la musica?
«Sicuramente posso dirti che perseguo sempre, anche nella vita di tutti i giorni, un intento artistico c’è sempre l’arte di mezzo. Io vivo tra la campagna lombarda lontana dalle fabbriche ed una città come Berlino, apparentemente due luoghi opposti dove ritrovo l’energia e la natura. Per me è importante il contatto con il paesaggio naturale, sono affascinata dai laghi, dai fiumi e le montagne. Mi piace disegnare, scrivere e leggere. Ho sempre fame di nuovi elementi che possano dare risposte alla mia curiosità che è sempre presente e per questo motivo non mi annoio mai. Sarebbe necessario insegnare la creatività nelle scuole anche ai bambini ed educarli alla bellezza. Il disegno, la musica, la scrittura sono interessi sani che puoi portare avanti per tutta la vita e che aiutano allo sviluppo mentale».
Come ultima domanda parafrasiamo sempre il titolo del nostro magazine e chiediamo come vede il “Domani” Antonella Ruggiero quali sono le tue speranze e le tue paure?
«Al momento il Domani è un’incognita, non vi sono certezze e per la prima volta nella storia umana, è importante capire quali siano gli sviluppi positivi che può offrirci la tecnologia e la ricerca. Spero nei giovani che possano in futuro risanare i danni delle generazioni precedenti e salvare questo pianeta».
Intervista Esclusiva a cura di Simone Intermite
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