Nel romanzo “L’ultima ricamatrice” di Elena Pigozzi si racconta una storia delicata che parla di famiglia, di ricordi, di magici incontri e di un’antica e nobile arte. Eufrasia è una ricamatrice, come lo sono state sua madre Miriam, sua nonna Clelia e la sua bisnonna Esther; l’amore per il ricamo viene tramandato insieme a un telaio in legno di ciliegio, con cui queste donne hanno scritto arazzi, hanno tessuto stoffe di broccato, di damasco, di seta e di velluto.
Eufrasia ha ormai settant’anni quando la incontriamo, intenta come sempre a cucire, a ricamare e a rammentare il passato: «Mi chiedo che cosa siano gli anni. A volte credo siano passi, un piede avanti l’altro lungo una striscia che hai tracciato prima di uscire allo scoperto, alla luce, al sole che ti abbraccia e ti acceca. Un solco da seguire anche se il sole è già sparito, e l’umido ha bagnato il selciato. La strada che percorri, forse questi sono gli anni». Quando ormai è convinta di avere ben poco da offrire e da condividere, compare davanti alla porta di casa sua una giovane, Filomela, che si rivela ben presto molto particolare rispetto alle ragazze della sua età: ella, infatti, non solo chiede ad Eufrasia di cucirle il corredo da sposa, ma vorrebbe anche imparare il mestiere di ricamatrice. L’anziana accetta, e si ritrova ad avere a che fare con una giovane rispettosa e dolce, che la colpisce nel profondo – «“C’è qualcosa di lei che mi appartiene” […] Un qualcosa che mi appartiene e che è delle donne prima di me».
Elena Pigozzi ci racconta di questo emozionante incontro tra due donne diverse che trovano un punto in comune nella bellezza e nella lentezza del mestiere di ricamatrice; oltre a tessere e cucire, le due donne filano una preziosa trama di parole, che avvolge e scalda i loro giorni. Filomela chiede ad Eufrasia di narrarle della sua vita e del suo grande amore, e nel racconto dell’anziana, prima concentrato sulla sua vicenda esistenziale, si inseriscono un po’ alla volta anche le storie di sua madre e di sua nonna, il cui ricordo non l’ha mai abbandonata- «C’è un dentro che è magma che cresce e che si agita, ma a cui non si danno parole per aiutarlo a uscire, come il bimbo dal ventre. Materia oscura che bisogna dipanare. Lana da filare. Da tirare il filo sul rocchetto e stendere sulla ruota. Quindi avvolgere nella spola e farne arazzo».
Roberta Giudice