Giornata della memoria: perché riguardare “Jojo Rabbit” di Taika Waititi

Nella storia del cinema sono molte le pellicole che trattano il tema del nazismo. Un’ideologia al di fuori della ragione umana da segnare profondamente tutti i tipi d’arte e, in particolare, il cinema.

Jojo Rabbit di Taika Waititi, distribuito nel 2020 in tutte le sale italiane ed estere, non è un tradizionale film che punta tutto sul sentimentalismo, ma una storia di coming of age. Con interpreti del calibro di Scarlett Johansson (madre di Jojo) e dello stesso Waititi (Hitler), il film si fa portatore del genere tragicomico che colora la pellicola di toni agrodolci.

Il bambino Jojo, soprannominato Rabbit (perché, nel campo della gioventù hitleriana, non era stato in grado di uccidere un coniglio), dal temperamento esaltato e, apparentemente, molto intransigente, comunica ogni giorno con il suo amico immaginario: il Führer. Figlio della Germania nazista, fedele sostenitore del partito, più per omologazione che per effettiva condivisione dei valori, cerca di crescere e formare la propria personalità all’interno della situazione surreale in cui è costretto a vivere.

La pellicola traspone fatti storici in maniera volutamente leggera con l’aggiunta di battute comiche, situazioni paradossali e anacronismi, dati dalle colonne sonore prese dal pop anglosassone ( “I Want to hold your hand” dei Beatles tradotta nella versione tedesca “Komm, gib mir deine Handche”), che fanno da contrasto agli eventi avvenuti nei giorni del crollo del terzo Reich e l’invasione degli alleati.

Una crescita quella di Jojo innescata da Elsa, bambina ebrea nascosta in soffitta, e dalla madre, personaggio amorevole e compassionevole, in netto contrasto con gli esponenti del partito. L’amicizia tra Jojo e Elsa si scaglierà contro quella immaginaria con Hitler, personaggio interpretato sulla scia delle grandi performance di Chaplin (Il gran dittatore) e Wuttike (Bastardi senza gloria).

Il film, candidato agli Oscar 2020, sente la risonanza delle pellicole di Wes Anderson sia per elementi legati alla storia, come lo sviluppo del rapporto d’amicizia, che per scelte cromatiche e d’inquadratura.

Insomma una storia che ha voluto distaccarsi delle altre pellicole, trattanti lo stesso tema, e che ha diviso la critica: una parte elogia l’opera per la leggerezza con cui vengono affrontati argomenti così drammatici, l’altra pretendeva qualcosa in più invece di un buon esperimento cinematografico.

 

Maria Del Vecchio

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Laureata in Lettere Moderne presso l’università G. D’Annunzio, ha conseguito la seconda laurea in Filologia moderna. Insegnante di lettere e amante dell’arte in tutte le sue declinazioni, ha collaborato nell’allestimento di varie rassegne culturali d’arte e vari progetti editoriali letterari e cinematografici organizzando progetti di rivalutazione artistica del territorio.