“La musica è di tutti. Lega tutti, riesce ad unire. Credeteci”. È un messaggio di tolleranza e apertura, contro le barriere, ma anche di sostenibilità ambientale quello di Francesca Michielin ai giffoners.“Mi sento proprio fortunata, non ho più nessuna esitazione, nessun pregiudizio, amo conoscere le persone diverse da me”, insiste. Sensibile e sorridente, si confronta con i giovani in due momenti diversi, il Meet the Stars e la Masterclass Green per sensibilizzare alla tutela dell’ambiente. “Ho 23 anni e non voglio insegnarvi nulla, voglio semplicemente portarvi la mia testimonianza. Non lasciate mai che qualcuno scelga per voi”. Racconta di sé, del suo percorso artistico e del desiderio di riuscire ad avere sempre l’attitudine a vivere rock: “A me non interessa essere trasgressiva o volgare e scrivere cose con parolacce. Io voglio essere rock e cazzuta. Voglio riprendermi i miei 16 anni e quella spensieratezza con la consapevolezza e la maturità di oggi. Sono molto felice di essere al Giffoni, in particolar modo per la Masterclass Green, non solo perché il verde è il mio colore preferito, ma perché il mio disco “2640” (che riprende nel titolo l’altitudine della città di Bogotà), uscito a gennaio, ha come tema le nuove tecnologia e l’ecosostenibilità”. Un album che realizza una collaborazione con Treedom, piattaforma digitale che permette di piantare un albero e seguirne la tracciabilità. “Un modo non solo per salvare il pianeta, ma anche per salvaguardare il lavoro degli agricoltori locali e per controllare che non ci sia alcuna forma di sfruttamento – insiste – siamo arrivati a 24mila streaming del disco e quindi a 307 alberi piantati in una foresta del Kenya”. Tra le varie specie da poter piantare, anche una “limited ediction Francesca avocado”: “Un’ibridazione tra me e l’avocado – scherza Francesca – Sono molto legata a questo frutto, diventato molto famoso, addirittura esiste la pizza con l’avocado. Le conseguenze, però, investono Bolivia e Perù per la guerra dell’oro verde, con l’inevitabile deforestazione. Mi piaceva che ci fosse una coltivazione biodinamica dell’avocado in più contesti. Il rischio è che spariscano produzione autoctone per coltivazioni intensive di moda”. Parla di 2640 e del processo creativo: “Ho fatto dischi sempre in maniere istintiva, incosciente. Solo dopo mesi ti rendi conto di cosa hai fatto, durante il tour, perché c’è uno scambio di energia. Io scrivo sempre quando non potrei farlo. Capita che sei incasinato e arriva l’ispirazione, magari stai uscendo di casa, sei in ritardo, ma hai bisogno di 10 minuti per fissare un’idea. Sembri davvero un pazzo, ti devi isolare dal mondo – ride – In questo momento preciso, però, sento di aver dato tutto ed ho bisogno di ricevere, di prendermi del tempo per stare anche un po’ in silenzio”. Un legame speciale, inoltre, con la città di Napoli che Francesca confessa ai suoi fan: “Durante la settimana di Sanremo mi prendo dei momenti per me, vengo a Naoli, prendo un treno alle 6 del mattino da Milano, mi metto in riva al mare, mangio. Mi fa ridere, perché in questo disco c’è il confronto costante con il mare e i miei luoghi non sono mare – continua Francesca, originaria di Bassano Del Grappa – A Napoli sento un’energia particolare: c’è il vulcano, ma anche il golfo da cui sono affascinata e mi chiedo quanti artisti napoletani abbia ispirato. Io mi sento molto in difficoltà, non è mai esistito un cantautorato veneto, ma molta scuola jazz. A Napoli c’è la città, ma anche la natura molto forte. Se una città sta funzionando bene, hai meno esigenze di fare musica. L’ispirazione è una fuga da qualcosa. Le terre di confine sono terre di grandi contrasti, si muove qualcosa sotto”. È la rottura dentro di sé, però, da ricercare come stimolo nella genesi creativa, “mettere in discussione, scomporre, perché dalla crepe bisogna fare uscire la luce” ed è così che prendono vita i brani che saranno inseriti nel prossimo album. Confessa di non voler rifare Sanremo ma di voler ripetere l’esperienza dell’Eurovision, che ci ricollega al tema ambientalista nella performance di “Nessun grado di separazione”, con le bustine di semi sconosciuti lasciati nelle sei citta ripercorse in autobus dal Veneto a Stoccolma. E, infine, il legame con Bassano: “Una città che non ho mai capito e non capirla ha dato spazio alla mia immaginazione – insiste – multietnica e tollerante, con festival underground e alternativi. È un unicum per tolleranza, non città manifesto, con una politica aperta, con luoghi per culti diversi. La musica lega tutto. Tutto il Veneto è legato alla cultura ebraica, ci sono festival come “Back to Africa” della comunità ganese e rassegne come “Suoniamole al razzismo”. La musica crea legami”.