“Non è affatto facile entrare in contatto con la propria unicità, tenere assieme tutte le cose che ci compongono”. Sicuramente non sarà facile, ma Drusilla Foer ci è riuscita benissimo. Pittrice, fotografa, cantante, sceneggiatrice e attivista, la Foer ha tradotto il bagaglio artistico di una vita in una conduzione che è stata una vera performance. E ha graziato il palco del Festival di Sanremo con una presenza prorompente ma mai chiassosa, esprimendo con i gesti, le parole e gli abiti un’eleganza che ha il sapore d’altri tempi.
La Foer ha sfoggiato look poliedrici ma sempre di gran classe, diversi tra loro ma coerenti nel raccontare i gusti e gli intenti della conduttrice della terza serata del Festival (non co-conduttrice perché diciamolo, accanto a lei Amadeus ha potuto accompagnare solo). Un racconto in abiti il suo, perfettamente riuscito anche senza sbandierare grandi firme e senza scadere nella necessità di strafare per lasciare il segno (vedi anche: Orietta Berti). Di tutti i look indossati infatti, nessuno di loro ha strizzato l’occhio alle maison più celebri, e addirittura solo due sono stati pensati ad hoc per il palco dell’Ariston: gli altri sei sono abiti del guardaroba-archivio personale della Foer.
Una dichiarazione d’intenti quella di Drusilla, che in conferenza stampa aveva affermato la volontà di attingere dal proprio guardaroba per evitare sprechi, sottolineando quanto sia importante acquistare capi di qualità che possano durare a lungo nel tempo. In apertura ha definito subito il tono della serata. La sua entrata in scena è stata la definizione di “less is more”: la conduttrice ha indossato un abito nero che contrastava con la chioma argentea, discreto e di classe, ben strutturato e tradizionale, realizzato da Rina Milano, elegante atelier fiorentino sull’lungo Arno che da tempo veste l’alta società italiana e che, una volta arrivato a Manhattan, ha conquistato Ivanka Trump e Susan Sarandon. Drusilla, che ha partecipato presso l’atelier al disegno e alla creazione degli abiti, ha infatti affermato alla vigilia del festival che è necessario “far passare il messaggio che l’economia italiana deve ripartire dal basso, dalle sartorie e dagli atelier piccoli”. Se il primo capitolo del racconto in abiti di Drusilla ha raccontato di tradizione italiana, il secondo ci ha parlato di femminilità contemporanea.
L’artista ha indossato un completo composto da una maglia a maniche lunghe con scollo a V (identico a quello del primo abito) e da un pantalone ampio a vita alta. Il tutto sempre in nero e sagomato, ma questa volta smorzato da una fantasia floreale in 3D arancione che si inerpicava lungo le gambe e il busto, abbracciandone dolcemente la silhouette. Il terzo capitolo invece ha provato una volta per tutte che solo l’autoironia ci salverà. “Mi hanno accusata di essere un uomo vestito da travestito, sicché mi sono travestita” – così Drusilla, mascherata da Zorro, ha strappato una meritatissima standing ovation e ha stroncato sul nascere qualsivoglia polemica sterile e bigotta. La maxi-cintura firmata Roger Vivier ha solo reso tutto ancora più perfetto. Di tutt’altro respiro la successiva parte del racconto, che si è aperto con “C’era una volta, a Hollywood”.
Quando la Foer ha sceso le scale, per un attimo ha trasformato l’Ariston nel Dolby Theatre e Sanremo negli Oscar. Scollo squadrato, maniche a mantella e strascico in tessuto rosa antico tempestato di luce brillante, completati da guanti in raso rosso sopra al gomito: l’ensemble della Diva, con la D maiuscola. Il quinto capitolo d’altro canto ha ripreso le fila del terzo, somministrando un’altra dose ironia questa volta allo stesso Festival che diciamolo, spesso si attarda fin troppo per i gusti (e la resistenza) dei più. Drusilla si è portata avanti presentandosi in “pigiama”. L’Atelier Rina Milano ha firmato ancora una volta l’outfit della Foer, che ha indossato un completo bianco latte composto da un paio di pantaloni a palazzo e un kimono scollato con fusciacca stretta in vita. Il look non è stato però solo una stoccata alla kermesse, ma anche un tributo alla moda fiorentina: il “pigiama elegante” tutt’oggi in voga venne infatti lanciato con grande scalpore nel 1960 a Palazzo Pitti a Firenze, dalla stilista Irene Galitzine.
Il penultimo capitolo della storia in look raccontata da Drusilla è stata una sorta di riassunto di tutta la trama della serata, una summa dello stile dell’artista. L’abito, ancora una volta lungo e strutturato, con uno scollo a barchetta e dal color melanzana cangiante ha portato ancora una volta la firma dell’Atelier Rina Milano. Un classico intramontabile e quasi regale che ci ha preparato al finale. L’epilogo del racconto in abiti della Foer è stato intimo ed elegante, come il suo sentire e come le parole del suo strepitoso monologo di chiusura. Indossando uno smoking nero Rossorame, fatto di un blazer doppio petto con bavero a contrasto e un pantalone a palazzo, Drusilla ci parlato di unicità, non solo la sua ma quella di ciascuno di noi, ricordandoci che l’atto più rivoluzionario di cui si possa essere capaci è l’ascolto. In questo modo potremo essere capaci di accettare l’unicità (e non diversità) di noi stessi e degli altri, e superare il conflitto che ci separa e isola.
In conclusione, lunga vita a Drusilla Foer, arbiter elegantiae nel vestire e ancor più nel vivere, icona non di moda ma di stile, persona e non personaggio, regina della meritocrazia e di Sanremo 2022
Fiorenza Sparatore