Cosa accomuna tutte le storie d’amore? C’è un filo narrativo che le lega?
Alessandro D’Avenia, autore amatissimo dai giovani, ne è profondamente convinto. Ed è con questi interrogativi che D’Avenia incontra i ragazzi a Tempo di Libri venerdì 9 marzo alle ore 10.30 nella Sala Brown 3, invitandoli a incamminarsi con lui alla ricerca di risposte. Con la chiarezza dell’insegnante, mestiere che fa con passione, ne spiega il motivo partendo da lontano: da Orfeo ed Euridice.
Nel romanzo “Ogni storia è una storia d’amore” (Mondadori) incontriamo anzitutto una serie di donne, accomunate dal fatto di essere state compagne di vita di grandi artisti: muse, specchi della loro inquietudine e spesso scrittrici, pittrici e scultrici loro stesse, argini all’istinto di autodistruzione, devote assistenti, o invece avversarie, anime inquiete incapaci di trovare pace.
In una sorta di rito di evocazione ascoltiamo la voce di Fanny, che Keats magnificava in versi ma con la quale non seppe condividere nemmeno un giorno di quotidianità, ci commuove la caparbietà di Tess Gallagher, poetessa che di Raymond Carver amava tutto e riuscì a portare un po’ di luce nei giorni della sua malattia, ci sconvolge la disperazione di Jeanne Modigliani, ammiriamo i segreti e amorevoli interventi di Alma Hitchcock, condividiamo l’energia quieta e solida di Edith Tolkien.
Alessandro D’Avenia cerca di dipanare il gomitolo di tante, diversissime, storie d’amore e di intrecciare il filo narrativo che le unisce, in un ordito ricco e cangiante.
Per farlo, come un filomito, un “filosofo del mito”, si rivolge all’archetipo di ogni storia d’amore: Euridice e Orfeo. Un mito che svolge la sua funzione di filo (e in greco antico per indicare “filo” e “racconto” si usavano due parole molto simili, mitos e mythos) perché contempla tutte le tappe di una storia d’amore, tra i due poli opposti del disamore (l’egoismo del poeta che alla donna preferisce il proprio canto) e dell’amore stesso (il sacrificio di sé in nome dell’altro).
D’Avenia si serve dell’archetipo narrativo del mito convinto che “noi siamo e diventiamo le storie che sappiamo ricordare e raccontare a noi stessi”.