“Fin dalla mia giovinezza, ho sempre avuto una chiara passione per il giornalismo e l’indagine del tempo presente,” afferma con fervore Aldo Cazzullo, figura di rilievo del giornalismo italiano. Nel panorama dei media nazionali, poche figure brillano con la stessa intensità del giornalista piemontese. La sua carriera ha attraversato decenni di eventi cruciali della storia contemporanea, portandolo a incrociare il cammino di alcune delle personalità più influenti del nostro tempo. Fin dalla sua giovinezza, Cazzullo ha dimostrato una chiara passione per il giornalismo e la politica, iniziando a lavorare a soli 17 anni per un giornale progressista approdando al giornale “La Stampa” e successivamente al “Corriere della Sera” unendosi prima come inviato speciale ed editorialista e poi come vicedirettore firmado approfondimenti che lanciano una luce attenta e acuta sui temi del presente. Ma Cazzullo è noto non solo per la sua abilità nel reportage, ma anche per le sue interviste di alto profilo. Il giornalista piemontese ha avuto modo di dialogare con figure come il fondatore di Microsoft, Bill Gates, e il regista acclamato Steven Spielberg, oltre a personaggi divisivi come Nigel Farage e Marine Le Pen. A questo si aggiunge una sua particolare propensione per l’utlizzo del mezzo televisivo, il suo recente prime time «Una giornata particolare» su La7 ha realizzato il 7,2% di share. Ma è dal 2010 che Aldo Cazzullo ha continuato a distinguersi anche come saggista e molti dei suoi libri sono diventati casi editoriali di successo, arrivando a raggiungere oltre 100.000 copie vedute. Nel suo nuovo libro intitolato programmaticamente “Quando eravamo i padroni del mondo: Roma: l’impero infinito” edito da Harper Collins, il giornalista piemontese esplora il legame duraturo dell’Impero Romano con il mondo moderno trovando nella storia le contraddizioni e le analogie che ci legano alle nostre stroriche radici, attraverso un racconto pieno di dettagli e curiosità, alla portata del lettore colto ma anche di quello semplicemente curioso. In questa Video Intervista Esclusiva nel Salotto di Domanipress abbiamo esplorato il percorso professionale e personale di Aldo Cazzullo, ed indagato sulle nuove sfide del giornalismo moderno.
Il titolo del tuo ultimo saggio “Quando eravamo padroni del mondo” inorgoglisce già alla lettura. Puoi spiegarci come questo libro attualizza la storia di Roma nel nostro presente?
«Certamente. Il libro in qualche modo riprende la storia di Roma e la contestualizza nel nostro presente. Roma rappresenta le nostre radici e ha un valore fondamentale nei sistemi politici e sociologici che ci governano oggi. L’Italia non è importante solo per la Ferrari e la pizza, ma perché qui è nata l’idea del governo universale, coniugata dalla Roma dei Cesari e dei Papi. Dante cercò di conciliare questa dualità tra la classicità e la cristianità, dando origine al pensiero umanista. L’Italia è importante nel mondo perché ha contribuito a plasmare queste idee».
È interessante notare come associ la storia romana all’importanza dell’Italia nel mondo. Puoi spiegarci meglio questa connessione?
«L’importanza dell’Italia nel mondo va oltre la sua cultura e il suo patrimonio artistico. L’Italia ha contribuito a definire concetti politici fondamentali come il senato, l’imperatore, il popolo, la repubblica, che sono parole che ancora oggi usiamo nelle lingue di molte nazioni. L’idea che lo Stato appartenga a tutti è nata a Roma. Ogni imperatore romano si pensava come il nuovo Cesare, e il simbolo dell’Aquila Romana è un’icona che ancora oggi rivoluziona la storia. Roma ha influito profondamente sulla politica, l’arte militare e la religione, e questo continua ad avere un impatto sul nostro modo di pensare e vivere».
L’impero romano ha influenzato anche il linguaggio e il pensiero nel corso della storia. Nel libro sottolinei che molte parole legate al potere e all’arte militare derivano dal latino.
«Esatto, molte parole legate al potere, all’arte militare e persino alla religione hanno radici latine. Questo mostra quanto l’impero romano abbia influenzato il modo in cui pensiamo e comunichiamo ancora oggi. Dietro ai nomi ci sono significati profondi, e Roma continua a influenzare il nostro modo di vedere il mondo. Molte parole e concetti che usiamo quotidianamente derivano dall’antica Roma. Ad esempio, parole come “senato,” “imperatore,” “dittatore,” e anche le parole legate all’arte militare, come “arma,” “esercito,” provengono dalla cultura romana. E persino i nomi dei mesi e dei giorni, ad eccezione del sabato, hanno nomi origine dal latino».
Parli anche di Mark Zuckerberg e Elon Musk come figure contemporanee che si considerano in qualche modo eredi dell’impero romano. Come si coniuga l’universo dei big player tech all’impero romano?
«Oggi, personaggi come Zuckerberg e Musk si considerano in un certo senso nuovi imperatori. Zuckerberg, ad esempio, ha chiamato sua figlia Augusta, ispirandosi a Augusto, il primo imperatore romano. Questa è una manifestazione della persistenza della romanità nella nostra cultura. Inoltre, l’impero romano e l’America condividono alcune similitudini, come l’assimilazione di nemici sconfitti nella loro sfera di influenza. Questo è evidente nelle alleanze e nell’espansione di potere.Zuckerberg è convinto di essere la resurrezione di Augusto, si pettina come lui, ha chiamato Augusta la figlia, ma perché? Perché Augusto fu il primo a regnare su una comunità vasta come il mondo, come se vuoi oggi sono Facebook e Twitter».
Anche il generale Vannacci recentemente ha rinvendicato il fatto che in lui scorra del sangue romano ma ha commesso qualche errore di valutazione.
Credo che il generale abbia dimenticato che nella Roma antica l’omosessualità fosse accettata e inglobata nella società. Giulio Cesare era dichiaratamente bisessuale…Amava sia le donne, come la moglie di Crasso con cui fece il triumvirato, che gli uomini. Nello specifico ebbe un flirt con Nicomede re di Bitinia. Per prenderlo in giro i suoi soldati lo chiamavano la regina di bitinia e cantavano Cesare a sottomesso i galli ma Nicomede ha messo sotto lui. Anche Cicerone ci attesta questa sua inclinazione».
Oltre a questo connetti l’impero romano con il presente e le dinamiche globali. Ad esempio, parli delle sfide comuni che affrontiamo oggi, come le migrazioni e la guerra permanente, eventi di grande attualità che sembrano ingabbiate in un eterno ritorno alla James Joyce…
«Hai centrato il punto. Il mondo globale di oggi affronta molte delle stesse sfide che l’impero romano ha dovuto affrontare. Le migrazioni e la guerra permanente sono due esempi. Come affrontare queste sfide è una questione complessa, ma possiamo imparare dalla storia romana. Roma aveva un sistema di alleanze e federati che manteneva i confini e affrontava le ribellioni in modo illuminato. Studiare la storia può darci preziose lezioni su come affrontare le sfide odierne».
Sia il tema della guerra permanente che quella dell’integrazione culturale sono di estrema attualità. Cosa possiamo imparare dell’antica Roma?
Questi problemi richiedono una visione strategica simile a quella dei Romani, che erano maestri nell’assorbire e integrare le nuove realtà. Anche Roma aveva risolto il problema delle ondate migratorie attraverso l’assimilazione e l’integrazione, proprio come avvenne con Enea, l’eroe fondatore di Roma, un migrante e profugo che fuggì da una città in fiamme con il padre sulle spalle e il figlio per mano. Diventare romani non dipendeva dal colore della pelle, dalla provenienza o dalla religione. Tutto ciò mostra come Roma sia un esempio di inclusione, un modello che potrebbe essere d’ispirazione per affrontare sfide globali attuali».
La storia di Roma è anche la base del Made in Italy e di quella italianità che ci invidiano all’ estero.
Gli italiani sono sempre stati un punto di riferimento nel contesto mondiale, un luogo in cui le idee e lo stile venivano concepiti e plasmati. Ad esempio, pensiamo al Rinascimento, al Manierismo e persino al Neoclassicismo, che attingevano ispirazione dall’antica Roma. Raffaello, per esempio, si immerse nella Domus Aurea di Nerone per studiare le grottesche e le decorazioni che successivamente influenzarono l’arte rinascimentale. Lo stesso vale per architetti come Palladio e artisti come Canova, che scolpirono con la convinzione di incarnare lo spirito dell’Antica Roma. Un esempio tangibile è la bellissima scultura di Paolina Borghese, la sorella di Napoleone, che è ora ospitata nella Galleria Borghese, un autentico manifesto dell’influenza della romanità attraverso le epoche, incluso il Rinascimento, che ebbe il suo apice con opere come la scultura di Bernini raffigurante Enea con Anchise sulle spalle, portando il figlio per mano. Questa eredità romana permea ancora la nostra cultura e la nostra storia».
La storia parla di noi e delle nostre radici. Spesso, menzioni l’importanza della resistenza e della ricostruzione dopo la Seconda Guerra Mondiale. Come vedi il ruolo del giornalismo nel promuovere questa memoria storica?
«Il giornalismo svolge un ruolo fondamentale nel promuovere la consapevolezza storica. La storia ci parla delle nostre radici e delle sfide che abbiamo affrontato nel passato. È importante per tutti noi comprendere da dove veniamo per affrontare il presente e il futuro in modo più informato. Il giornalismo può aiutare a diffondere queste conoscenze e a promuovere la comprensione delle lezioni della storia».
Le tue interviste, così come gli editoriali per il Corriere della Sera sono scuola per chiunque faccia questo mestiere e ricevono il favore dei lettori…Molti dei tuoi ospiti si raccontano in maniera sincera. Come riesci a stabilire questo rapporto così aperto e autentico con i tuoi intervistati?
«Prepararsi bene per un’intervista è fondamentale. Bisogna leggere tutto ciò che si può sulla persona e metterla a suo agio. È importante farla parlare e ascoltarla attentamente. Anche se faccio domande scomode, cerco sempre di avere una domanda discorsiva pronta per rilassare l’atmosfera alla fine dell’intervista. La chiave è creare un ambiente aperto e autentico per la conversazione».
Pensando ad alcune delle tue interviste più significative, come quella alla scrittrice Michela Murgia che ti ha scelto per primo per parlare della sua malattia. Come sei riuscito a stabilire un dialogo così profondo?
«Ogni intervista è diversa, ma l’obiettivo è sempre mettere l’intervistato a proprio agio e farlo sentire libero di esprimersi. È importante ascoltare e essere empatici. La profondità del dialogo spesso dipende dalla volontà dell’intervistato di aprirsi. Michela Murgia è stata molto aperta nella sua ultima intervista, e questo ha reso il dialogo significativo. L’intervista è stata gradita anche a chi non seguiva il personaggio e non appoggiava le sue idee ma nella malattia si ritrova un valore umano universale. Questo dimostra che, indipendentemente dalle differenze politiche, l’empatia e il rispetto sono valori fondamentali da trasmettere».
In definitiva come reputi lo stato di salute del giornalismo alla luce della crisi dell’editoria e dell’avanzare delle tecnologie di intelligenza artificiale?
«Sono decisamente ottimista riguardo al futuro del giornalismo. Ancora dieci anni fa, sembrava che la figura del giornalista fosse messa in discussione, come se rappresentasse solo un costo superfluo che chiunque potesse sostituire. L’idea era “Mandateci i vostri video e vi daremo le notizie.” Tuttavia, le cose non sono andate in questo modo. Non era scritto da nessuna parte che nell’era digitale, i cittadini si sarebbero ancora rivolti ai giornali, anche se sempre meno sulla carta e sempre di più sui siti web».
Durante il Covid il proliferare delle fake news ha messo in luce un cortocircuito tra l’informazione di qualità e quella meno autorevole.
«La pandemia ha svolto un ruolo significativo in questo processo. Quando la gente ha iniziato a temere per la propria vita e il proprio benessere, molti hanno sentito l’urgente necessità di distinguere tra informazioni attendibili e false notizie. In risposta a questa esigenza, si sono abbonati ai siti web di testate giornalistiche riconosciute».
In questo quanto i social media hanno una responsabilità attiva?
«È vero che ci sono stati e ci saranno sempre i complottisti che vedono una truffa dietro tutto, ma la rete è stata strutturata in modo da alimentare questo schema falso, ma allettante e consolatorio. I giornali rappresentano la sfera della rappresentazione, mentre la rete è il luogo in cui si raccontano le cose come stanno. È un’illusione che attrae molte persone, ma il giornalismo autentico non è morto».
Alcuni giovani, nonostante le difficoltà guardano ancora al mestiere del giornalista con un certo interesse…
«Mi entusiasma l’idea che ci siano ancora giovani che aspirino a diventare giornalisti. Conosco molti di loro, e so che esistono numerose scuole di giornalismo. Personalmente, provengo da una scuola di giornalismo, e spero che tra i migliori talenti emergenti, tra coloro che stanno intraprendendo studi di medicina, ingegneria o fisica, ci siano individui che scelgano di diventare giornalisti. Il futuro del giornalismo dipende in gran parte da queste nuove generazioni di talenti che potranno contribuire in modo significativo al settore».
Hai chiuso il tuo nuovo libro con il titolo “Quando eravamo padroni del mondo”. Cosa vorresti lasciare ai lettori una volta terminata la lettura?
«Il segreto dei miei libri è che la storia parla di te. La storia dei tuoi antenati, del tuo nome, della tua lingua, della tua cultura. Spero che i lettori possano comprendere che la storia è parte di chi siamo e che possiamo imparare dalle lezioni del passato per affrontare il presente e il futuro con consapevolezza. Il mio obiettivo con questo libro è far comprendere ai lettori quanto la storia parli di ciascuno di noi. La storia dei nostri antenati, delle nostre radici, dell’origine dei nostri nomi, delle lingue che parliamo e delle idee che condividiamo. La storia ci riguarda direttamente, ed è importante riconoscerlo. Inoltre, spero che i lettori acquisiscano una prospettiva più ampia sulla romanità e come essa sia ancora presente nella nostra società».
La storia per te è sempre stato un elemento fondamentale per tradurre il presente. Quale evento storico o periodo ti sta particolarmente a cuore tra tutti quelli che hai studiato e raccontato?
«Le mie paure includono le sfide legate al cambiamento climatico, alla proliferazione nucleare e al futuro delle generazioni a venire.Due periodi storici credo siano particolarmene significiativi, sono la Prima Guerra Mondiale e la Resistenza. La Prima Guerra Mondiale è affascinante perché mio nonno l’ha vissuta, e mi colpisce il fatto che sembri che l’Italia non abbia mai vinto una guerra. La Resistenza è un periodo straordinario nella storia italiana, in cui persone di diverse fazioni politiche si sono unite per combattere il regime fascista. È un momento che dovrebbe essere patrimonio di tutti noi».
Come ultima domanda, parafrasiamo sempre il titolo del nostro magazine e chiediamo come vede il “Domani” Aldo Cazzullo, quali sono le tue speranze e le tue paure?
«Le mie speranze per il Domani sono rivolte all’umanità, agli italiani e alla conservazione della bellezza della terra. Ci sono dei segnali positivi. Spero che la consapevolezza della nostra responsabilità verso il pianeta cresca sempre di più. Le mie paure includono le sfide legate al cambiamento climatico, alla proliferazione nucleare e al futuro delle generazioni a venire, ma cerco di restare ottimista».
Intervista esclusiva a cura di Simone Intermite