Diretto Craig Gillespie e interpretato da una scalmanata quanto emotivamente potente Margot Robbie, “I, Tonya” è una black comedy sull’impostazione di un mockumentary grazie alla vena satirica che scaturisce dallo stile di finzione documentaria perfettamente strutturata durante tutta la pellicola.
Il film racconta la vita travagliata quanto controversa della famosa pattinatrice olimpionica Tonya Harding, la prima atleta americana ad aver eseguito un triplo axel ai campionati nazionali statunitensi, e protagonista di uno dei maggiori scandali della storia del pattinaggio.
Come afferma la stessa Margot Robbie nel film, prendendo le vesti della pattinatrice, “Ognuno ha la sua verità”; tuttavia, l’intenso clima di realismo che il regista australiano è riuscito a creare, nonostante non rispecchi sempre fedelmente la realtà dei fatti poiché basato sulle interviste altamente contraddittorie delle varie personalità coinvolte, sembra aver colpito nel segno e aver fornito ad un ignaro pubblico un racconto che si avvicina molto alla biografia effettiva di Tonya Harding, la quale, parlando a lavoro compiuto, ha affermato “La mia vita è stata esattamente così.”
A dispetto dell’atmosfera di commedia, il lato drammatico e altamente emblematico del film si percepisce fin dai primi minuti, quando viene presentata la travagliata infanzia vissuta dalla piccola Tonya, succube e vittima di una madre fredda, a tratti perfida, violenta e volta solamente a far divenire sua figlia una stella del pattinaggio, inculcandole dei dannosi principi di “lotta per la vita” che la guideranno fino alla fine della sua carriera.
Difatti, Tonya crescerà mostrando sempre le unghie e i denti, sputando sui rivali, non nascondendo mai il suo impellente bisogno di emergere, di ottenere i punteggi e i risultati migliori, per lei fonte di un guadagno necessario per non condurre una vita di stenti e dimostrazioni del suo reale talento, non frutto delle forzature asfissianti della madre, ma farina del suo sacco, della sua tenacia e della sua sola forza di volontà.
Il punto di forza della pellicola è l’innata empatia che lo spettatore prova nei confronti della protagonista, una donna vista per anni come folle e bugiarda, ma presentata nel film come una “martire” della spietata macchina del successo e della standardizzazione, una vinta schiacciata da un sistema in cui solo chi è capace di adattarsi e conformarsi completamente alle etichette e alle regole sfugge all’alienazione totale.
Maestra nella ricostruzione di un così sfaccettato e intenso personaggio, è l’attrice protagonista e nominata agli Oscar per il ruolo, Margot Robbie, la quale, insieme al regista, riesce a far passare in secondo piano l’accusa di presunta aggressione programmata da Tonya alla rivale Nancy Kerrigan, facendo emergere, piuttosto, il lato timido e sensibile di una giovane rifiutata e mai amata davvero, tanto ingenua e bisognosa di affetto, da sposare il violento Jeff Gillooly, nonché il primo uomo che le ha riservato delle minime attenzioni; riuscendo a trasmettere la sofferenza vissuta dal pessimo rapporto con sua madre; rendendo trasparenti le frustrazioni e le insicurezze di una ragazza che crede di essere capace solamente di pattinare e che non comprende perché venga trattata diversamente dalle sue rivali, non soddisfando mai i parametri e i gusti della giuria nonostante i suoi sforzi immani di apparire “normale”.
In sintesi, la Tonya che lo spettatore vede nel film di Gillespie, è una donna che si emoziona e si commuove quando il pubblico le sorride, anziché una ribelle bramosa di successo e fama.
Il clima di perenne sconfitta in un percorso che renderà Tonya sempre più sola, portandola man mano più vicina alla desolazione e alla perdita di tutte le sue flebili certezze, rende la pellicola ancora più drammatica, spingendo il pubblico a ricordarla specialmente per la potenza di sentimenti che le lacrime della protagonista sono in grado di esercitare in pochi secondi.
Ad affiancare Margot Robbie, troviamo la magistrale Allison Janney nel ruolo della gelida LaVona Harding, che le è valso sia il Golden Globe che l’Oscar; Sebastian Stan nei panni di Jeff Gillooly; Julianne Nicholson in quelli dell’allenatrice Diane Rawlinson e Paul Walter Hauser nel ruolo del viscido Shawn Eckhardt.
Alice Gaglio