Un tema scottante. Un film necessario, che tratta una questione a lungo taciuta dall’autorità ecclesiastica. Una controversia contro la quale si sta battendo già da tempo lo stesso Papa Francesco, perché negare e accantonare un problema così rilevante come la pedofilia clericale, sarebbe come attentare alla piena fiducia che un qualsiasi fedele convinto ripone nei confronti dell’istituzione della chiesa cattolica, e specialmente verso i suoi funzionari spirituali.
Tom McCarthy, regista e co-sceneggiatore de “Il caso Spotlight”, si approccia duramente e senza filtri all’indagine condotta nel 2001 dalla squadra giornalistica spotlight del quotidiano statunitense Boston Globe, che scavò sugli innumerevoli casi di abusi sessuali perpetrati da certi sacerdoti dell’Arcidiocesi di Boston ai danni di minori. La forza contenutistica di questa storia è talmente potente che non necessita altro che di dover essere raccontata nel modo più trasparente, secco e chiaro possibile. McCarthy lo capisce e per “Il caso Spotlight” si concentra soprattutto sulla minuziosa ricostruzione della corrente inchiesta giornalistica, affidandosi ad una regia solida, strettamente funzionale alle vicende e priva, in quanto fuori luogo, di funambolici gesti tecnici. La pellicola, alla stregua di “Tutti gli uomini del presidente” (il film del 1976 con protagonisti Dustin Hoffman e Robert Redford), si dimostra schietta, cruda e dal linguaggio franco, evitando di indorare la pillola nemmeno per un solo istante. Per le vittime d’abusi, le violenze carnali a cui sono state sottoposte sono state un amaro boccone da mandar giù e gli autori del film, giustamente, si sono sentiti in obbligo di rispettare il dramma di queste persone descrivendone concretamente l’impotenza, la sofferenza, il disagio e l’instabilità emotiva che le hanno accompagnate a partire da quei momenti così tragicamente difficili da dimenticare.
Nel film diretto da Tom McCarthy, la figura del giornalista non è solamente uno strumento adoperato per portare alla luce la veridicità dei fatti, ma è anche un individuo che si è preso a cuore l’incarico assegnatogli, perché conscio della sua mal riposta incondizionata fiducia a favore della chiesa o perché il problema potrebbe colpire persino i suoi figli, o i suoi nipoti. Difatti, il team spotlight, alla ricerca delle dovute risposte, agisce sia come freddo interlocutore delle vittime che come sensibile ed empatico confessore di quest’ultime, compensando, in un certo qual modo, il riprovevole operato di taluni ecclesiastici.
Gli attori, su tutti Mark Ruffalo e Rachel McAdams, danno una formidabile interpretazione dei loro personaggi, attraverso una recitazione verosimilmente asciutta, contenuta e povera di un’eccedenza enfatica, ma che quando esplode, proprio perché così minimale, ci fa comprendere ancora di più la drammaticità di quanto accadde e di quanto sta accadendo tutt’ora.
In definitiva, “Il caso Spotlight” non denuncia tanto i fautori del reato di pedofilia, ma bensì l’omertà del sistema clericale stesso e quindi tutto ciò che sta alla radice del problema preso in esame. Quel centralino che squillerà incessantemente fra le quattro mura della sezione spotlight alla fine del film, darà finalmente voce ad una decisa presa di coraggio da parte di coloro che per vergogna o per timore sono rimasti in silenzio per troppo tempo.
Voto 8
Gabriele Manca