“Quando è scoppiata la pandemia covid, ho capito che non potevamo più ignorare il legame profondo che unisce la nostra salute a quella del pianeta. Non si tratta solo di scienza, ma di come viviamo, di come ci relazioniamo con il mondo che ci circonda. È una presa di coscienza che mi ha cambiato profondamente, sia come scienziata che come persona.”

Con queste parole intense e personali, la professoressa Ilaria Capua ci invita a riflettere su uno dei temi che ha segnato non solo la sua carriera, ma anche la sua missione divulgativa: la Salute Circolare. Virologa di fama internazionale, autrice e divulgatrice, Capua ha sempre affrontato con coraggio e determinazione le sfide che la vita le ha messo davanti, sia sul piano scientifico che personale.La sua carriera decolla nei primi anni 2000, quando si distingue a livello mondiale per il suo contributo alla ricerca sull’influenza aviaria. Nel 2006, decide di rendere pubblica la sequenza genetica del virus, sfidando la prassi scientifica dell’epoca, che spesso limitava la condivisione dei dati. Un gesto che ha rivoluzionato il modo in cui la comunità scientifica collabora, segnando il principio di una nuova era per la ricerca aperta. Nel 2013, accetta la sfida della politica, entrando alla Camera dei Deputati con il governo Monti, dove si occupa di tematiche legate alla salute e all’innovazione scientifica. Tuttavia, il suo percorso politico è stato segnato da un doloroso scandalo giudiziario, quando viene accusata – ingiustamente – di traffico illecito di virus. Un’accusa infondata che verrà smontata nei tribunali, ma che la spinge a lasciare l’Italia per trasferirsi negli Stati Uniti, dove oggi dirige il One Health Center of Excellence presso l‘Università della Florida. La sua esperienza di scienziata e divulgatrice si è arricchita durante la pandemia di COVID-19, periodo in cui la professoressa ha lavorato per diffondere un nuovo paradigma, quello della Salute Circolare, che considera le interconnessioni tra la salute umana, quella degli animali e l’ambiente. Questa visione, già al centro del suo lavoro accademico, ha trovato una nuova forma nel suo spettacolo teatrale ispirato al suo libro “La Salute Circolare. Una rivoluzione necessaria”, che  usa  il mezzo del teatro per avvicinare il pubblico a temi complessi ma urgenti, come il cambiamento climatico, la perdita di biodiversità e le pandemie. Autrice di numerosi saggi, tra cui “Io, trafficante di virus” e “Il Dopo. Il virus che ci ha costretto a cambiare mappa mentale”, Capua è una delle voci più influenti nel dibattito sulla salute globale e il futuro del nostro pianeta. Abbiamo incontrato la professoressa Ilaria Capua nel Salotto di Domanipress per cogliere  uno sguardo approfondito sulla sua visione per il futuro, sulle lezioni apprese dalla pandemia e su come possiamo, e dobbiamo, trasformare il nostro rapporto con la madre Terra.

 

Professoressa Capua, il concetto di “Salute Circolare” è al centro dei suoi studi più recenti. Di cosa si tratta e come è approdata a questo approccio?

«Il concetto di Salute Circolare si è evoluto a partire da quello di “One Health”, che integra le interazioni tra salute umana, animale e ambientale. Tuttavia, sentivo l’esigenza di ampliare questo paradigma, in modo da considerare non solo le connessioni tra questi ambiti, ma anche il loro impatto su scala globale. Prima della pandemia covid, avevo già iniziato a riflettere sulla necessità di un modello di pensiero più ampio che abbracciasse tutte le dimensioni della salute e dell’ambiente, e la crisi pandemica ha solo rafforzato questa convinzione».

La scienza spesso ragiona esaminando gli elementi in maniera isolata…

«Si, ma noi viviamo in un pianeta che possiamo considerare come un sistema chiuso, dove ogni azione ha conseguenze tangibili. Se inquiniamo l’aria o l’acqua, ciò ritorna su di noi in termini di impatti sulla salute. La Salute Circolare sottolinea questa interdipendenza e l’importanza di trattare il pianeta come un organismo vivente, in cui tutto è interconnesso».

Di recente ha deciso di portare il concetto di Salute Circolare anche sul palcoscenico teatrale, con lo spettacolo “Le parole della Salute Circolare”. Come mai ha scelto il teatro per divulgare un tema così complesso?

«Credo fermamente che la scienza debba trovare nuovi modi per comunicare con il grande pubblico, e il teatro rappresenta uno strumento formidabile per farlo. Dopo aver scritto diversi libri sull’argomento, ho compreso che per coinvolgere una audience più ampia e variegata servisse un linguaggio diverso, più immediato. Il teatro offre la possibilità di creare un racconto che emoziona e coinvolge, rendendo più comprensibili concetti che altrimenti potrebbero sembrare distanti».

Qual è stato il feedback che ha potuto ricevere?

«Lo spettacolo è stato accolto molto positivamente e abbiamo già fatto tappa in diverse città italiane. A fine settembre, siamo stati ospiti del Teatro Parenti di Milano, e spero che il messaggio raggiunga ancora più persone. L’obiettivo è far riflettere sulla centralità degli elementi fondamentali per la vita – aria, acqua, terra e fuoco – e sul loro impatto diretto sulla nostra salute».

Durante il suo incontro teatro  parla dei quattro elementi naturali: aria, acqua, terra e fuoco. Come questi concetti, che affondano le radici nella filosofia antica, si coniugano con la scienza moderna?

«Questi quattro elementi rappresentano da sempre la base della vita e della nostra stessa esistenza. Oggi la scienza ci dimostra come ciascuno di essi giochi un ruolo cruciale nella determinazione della nostra salute. L’aria, ad esempio, non è solo ciò che respiriamo, ma è anche uno specchio dello stato di salute delle nostre città e dei nostri ecosistemi. Abbiamo visto come l’inquinamento atmosferico abbia aggravato gli effetti della pandemia da Covid-19. L’acqua è un altro elemento fondamentale: siamo composti per il 70% di acqua e la sua scarsità e qualità sono questioni di vitale importanza, tanto per noi quanto per l’ambiente».

Qual è la situazione della nostra cara e amata terra?

«La terra, dal canto suo, è la nostra fonte di cibo e sostentamento. Tuttavia, se continuiamo a sfruttarla e inquinarla senza criterio, non sarà più in grado di nutrirci in modo sostenibile. Infine, il fuoco, che oggi possiamo associare ai cambiamenti climatici, è forse l’elemento più preoccupante, dato l’aumento dei fenomeni meteorologici estremi. Lo spettacolo vuole mostrare come questi elementi non siano concetti astratti, ma realtà che influenzano quotidianamente la nostra salute e il nostro benessere».

La pandemia di Covid-19 ha sconvolto il mondo e ha anche influenzato profondamente il suo lavoro. Come ha vissuto personalmente e professionalmente quel periodo?

«Come scienziata, la pandemia non è stata una sorpresa. Studiando virus pandemici per anni, ero consapevole che un evento simile sarebbe prima o poi accaduto. Ero preparata al fatto che un nuovo virus potesse emergere e che ci avrebbe colpito globalmente. Sul piano personale, invece, è stato un periodo complesso, segnato da un’intensa esposizione mediatica. Ho cercato di dare informazioni chiare, anche se in molti casi la situazione cambiava rapidamente e la comunità scientifica stessa non aveva ancora tutte le risposte».

Cosa si impara da una pademia?

«La pandemia ci ha insegnato una lezione importante: la scienza da sola non basta. Abbiamo bisogno della collaborazione di tutti – cittadini, istituzioni e comunità internazionali – per affrontare sfide globali come quella rappresentata dal Covid-19. Se non riusciamo a coinvolgere la società in questo sforzo, non possiamo contenere efficacemente le minacce alla salute pubblica».

Un aspetto che ha colpito molti è stata la diffusione del negazionismo e la reazione iniziale di alcune leadership politiche, primi fra tutti Donald Trump e Boris Johnson, che hanno minimizzato la gravità dell’emergenza. Che impressione le ha fatto tutto questo?

«È stato senza dubbio sconvolgente. Non avrei mai immaginato che due leader di Paesi così avanzati potessero sottovalutare una crisi sanitaria di tale portata, soprattutto dopo che l’Organizzazione Mondiale della Sanità aveva già lanciato l’allarme a livello globale. Quell’atteggiamento ha creato molta confusione e ha alimentato il negazionismo, un fenomeno che ha reso il lavoro degli scienziati ancora più difficile. La pandemia ha messo in luce quanto sia necessario costruire un dialogo più forte e trasparente tra scienza e politica, per evitare che emergano posizioni antiscientifiche in momenti di crisi».

In uno dei suoi libri, “Io, trafficante di virus”, racconta una vicenda giudiziaria che l’ha vista protagonista, con accuse infondate, in cui è stata incolpevolizzata di procurata pandemia. Qual è oggi il suo rapporto con la giustizia, dopo quell’esperienza?

«La ricordo come una fase molto dolorosa della mia vita, una ferita che ancora non si è del tutto rimarginata. Le accuse mosse contro di me erano totalmente infondate, e il giudice ha poi confermato la mia completa estraneità ai fatti. Tuttavia, il danno personale e professionale è stato enorme. La mia vicenda mette in evidenza le gravi problematiche legate alle fughe di notizie e all’incomprensione tra mondo della scienza e sistema giudiziario».

Guardando al passato cosa resta di quei momenti difficili?

«Oggi guardo a quell’esperienza con amarezza, ma anche con la consapevolezza che è necessario fare di più per proteggere i diritti dei professionisti della scienza. Spero che il mio caso serva da monito per evitare che altri vivano situazioni simili, soprattutto quando si tratta di accuse che richiedono competenze tecniche specifiche».

Lei ha lavorato sia in Italia che negli Stati Uniti. Quali differenze ha notato nei rispettivi sistemi sanitari e cosa possiamo imparare dall’esperienza americana?

«Le differenze sono profonde. Negli Stati Uniti, il percorso di formazione medica è estremamente costoso, tanto da rendere l’accesso alla professione un privilegio per pochi. In Italia, fortunatamente, la formazione medica è sostenuta dal sistema pubblico, ma il vero problema è la fuga di cervelli. Troppo spesso, i medici e i ricercatori italiani, dopo essere stati formati a spese del sistema pubblico, sono costretti a cercare opportunità all’estero o nel settore privato, a causa delle condizioni di lavoro nel nostro Paese».

La fuga delle competenze all’estero è un trend in forte crescita…

«La pandemia ha evidenziato la straordinaria dedizione dei nostri operatori sanitari, ma ha anche mostrato quanto il sistema pubblico necessiti di investimenti e di una riorganizzazione per evitare che il nostro patrimonio di competenze venga disperso».

Come ultima domanda parafrasiamo sempre il titolo del nostro magazine e chiediamo come vede il “Domani” Ilaria Capua, quali sono le tue speranze e le tue paure?

«Guardando al futuro, la mia visione è dominata da una profonda consapevolezza della complessità e dell’interconnessione che caratterizzano il mondo in cui viviamo. Credo che, per affrontare le sfide globali del Domani, dobbiamo sviluppare una maggiore comprensione di quanto ogni nostra azione, ogni decisione politica o economica, abbia conseguenze che si propagano ben oltre il nostro immediato contesto. Il concetto di Salute Circolare nasce proprio da questa riflessione: non possiamo pensare alla salute umana senza considerare quella del pianeta, degli animali e degli ecosistemi. È fondamentale un cambio di paradigma che ci porti a considerare il benessere del pianeta come una priorità assoluta.La mia speranza per il futuro è che riusciamo a compiere un salto di qualità, tanto a livello individuale quanto collettivo, verso una maggiore responsabilità e consapevolezza. Se non iniziamo a trattare la Terra come un organismo vivente, del quale noi stessi siamo parte, rischiamo di trovarci di fronte a crisi ancora più gravi e difficili da gestire. Penso che ci sia una crescente sensibilità in questo senso, soprattutto tra le nuove generazioni, che sono molto più consapevoli dell’importanza di un approccio sostenibile. Vedo un grande potenziale in loro, nella loro capacità di innovare, di proporre soluzioni che siano in sintonia con un mondo più equo e sostenibile».

Intervista esclusiva a cura di Simone Intermite

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Direttore editoriale del portale Domanipress.it Laureato in lettere, specializzato in filologia moderna con esperienza nel settore del giornalismo radiotelevisivo e web si occupa di eventi culturali e marketing. Iscritto all’albo dei giornalisti dal 2010 lavora nel campo della comunicazione e cura svariate produzioni reportistiche nazionali.