«La musica è la mia ribellione, il mio urlo di libertà che rompe ogni catena», confessa Bugo, il cantautore iconoclasta che ha conquistato il cuore del pubblico che negli anni ha saputo conoscerlo e riconoscerlo nei suoi stili cangianti e anti convenzionali. Non fa eccezione il nuovo album “Per fortuna che ci sono io” edito da Warner music italy. Attraverso testi vibranti e melodie incisive, l’artista ci guida in un viaggio attraverso la sua anima, esplorando temi che spaziano dall’introspezione alla ribellione. Registrato con il contributo di talentuosi musicisti, in maniera analogica,l’album è un manifesto di libertà e autenticità, una testimonianza del percorso artistico di Bugo ma anche un’opera corale dove è possibile ritrovarsi.
Con una carriera che ha attraversato molte fasi, Bugo è stato un vero e proprio pioniere nell’universo della musica italiana degli anni duemila. Un vero collettore di generi, ha mescolato rock, pop, elettronica, cantautorato e punk, guadagnandosi una reputazione di eccentricità e originalità.Tra i primi cantautori con un background alternativo a firmare con grandi etichette discografiche, l’artista di “Me la godo” ha raggiunto un pubblico ampio con album come “Contatti” nel 2008, ma è sempre rimasto un outsider nell’industria musicale. Archiviate le polemiche relative alla querelle, diventata patrimonio nazionale di Sanremo con Morgan, Cristian Bugatti è pronto per un nuovo capitolo della sua vita professionale fatta di musica suonata e vissuta.
Noi di Domanipress l’abbiamo incontrato nel nostro Salotto Digitale per parlare con lui del suo ultimo album e del suo percorso umano ed artistico all’insegna del rock ‘n roll.
Partiamo dal principio, in quale momento della vita ti senti di essere?
«Sto bene, finalmente son contento, è uscito il disco; quando esce un disco per me è come se finalmente tutto il mio lavoro posso regalarlo alla gente; è il momento più bello in assoluto».
Il disco, Per fortuna che ci sono io, ti vede protagonista in un nuovo modo di porti alla musica e alla vita. Leggendo i testi, ascoltando la musica, ho percepito una sorta di felicità, nel ritrovare sé stessi. Com’è nata questa capacità anche di ritrovarsi e di mettersi così a fuoco?
«Sono una persona dalla mente lucida, per cui cerco di non farmi coinvolgere dalle difficoltà e dalla negatività della vita. Mi auguro che tutti possano dire: “Per fortuna che ci sono io”, io coi miei fan scherzo sempre e dico: “Per fortuna che ci siete voi”. Ho voluto veramente lanciare un messaggio molto positivo e costruttivo. In realtà il disco non parla di me, ma è presente il “tu”: Finalmente ti vedo sicura, Silvia lo sai, L’ultima canzone, Salvo il tuo nome. Mi auguro che ognuno di noi possa a modo suo ritrovare o trovare quell’energia positiva per stare bene con gli altri e per dire: “Per fortuna che ci sono io” nel modo più simpatico possibile. Da alcuni è stato giudicato un titolo arrogante, ma in realtà il disco vuole essere empatico, vuole essere un disco dove chiunque possa ritrovarsi e trovare forza»
I tuoi titoli sono sempre un po’ visionari e parlano spesso anche di te e di quello che ricerchi; io ricordo un titolo di qualche anno fa, era I nuovi rimedi per la miopia. Oggi siamo ancora tutti metaforicamente miopi?
«I nuovi rimedi per la miopia. Questo titolo contiene il messaggio della mia musica, cioè trovare un rimedio alle difficoltà, un rimedio alla miopia, quindi era un titolo poetico, se vuoi. La vita è per me una gran figata, quindi guardo il bicchiere mezzo pieno; abbiamo una difficoltà? C’è la miopia? Cerchiamo i rimedi. Ci sono le difficoltà? Per fortuna che ci siamo noi che le risolviamo».
Questa aspetto della vita che per te “è una figata” la ritroviamo anche in un brano dove parli del bambino che è in te e che ti sorride. Da giovane la immaginavi questa vita da rockstar?
«No. Io non vengo da una famiglia di artisti, i miei genitori fanno tutt’altro, non abbiamo una tradizione di artisti; ho scoperto la musica a vent’anni, prima pensavo che musicisti fossero anche gente un po’ strana. Poi, diventato un musicista, ho capito che avevo ragione. La canzone si riferisce al fatto che io da uomo di 50 anni, marito, sposato, con figli, artisticamente non volevo perdere quella parte infantile, perché mi tiene curioso. Io sono un artista, voglio rimanere sempre curioso, e per questo devo ringraziare il mio voler essere bambino».
L’infanzia è declinata in due brani che si rivolgono ai tuoi due figli, perché c’è Tito e Zeno in tracklist…
«Ho due bimbi che hanno dei nomi belli. Se mio figlio si fosse chiamato Gianluca o Francesco, come titolo di una canzone sarebbe stato meno efficace. È sempre difficilissimo trovare un titolo ai brani strumentali; a un certo punto, mi è venuto in mente mio figlio che aveva fatto quel vocale sul mio telefono, dove diceva “Io amo il rock ‘n’ roll” e lì mi son detto: “Tito! Tito è un bel nome per un brano strumentale”. E allora ho diviso quella parte in due, ed ecco Tito e Zeno».
Quello che traspare di te è il fatto che la tua vita personale entra nella tua musica e la racconti con sincerità. Un’altra cosa che viene fuori di te è la voglia di non prendersi mai troppo sul serio. Questo è evidente, per esempio, nel brano Carciofi.
«Mi piace che tiri fuori questa cosa, perché i miei dischi non sono mai monotematici; questo, perché nelle mie canzoni voglio far entrare le diverse emozioni della vita: la gioia, la rabbia, l’odio, la vendetta, la felicità, la mia famiglia, l’amore, quindi racconto diverse cose. Carciofi è un brano che dimostra che nella vita ci sono anche dei momenti stupidi; e questo colpisce, perché nell’immaginario collettivo, l’artista è serioso, mentre io non voglio esserlo per forza o sempre, la mia è una musica leggera, per cui voglio regalare momenti di puro svago».
Tra questi momenti di svago c’è, per esempio, la storica Io mi rompo i coglioni. Volevo chiederti se c’è qualcosa che oggi ti rompe in modo particolare.
«Una cosa che non mi piace è per esempio la televisione; io ho fatto televisione e dicono che sia anche bravo, forse perché sono spontaneo e non costruito. Ma da spettatore, la guardo poco. Quindi, se devo dire cosa mi rompe i coglioni è quel tipo di televisione che vuole insegnarti a vivere. Questa è una cosa che trovo tremenda, perché io la concepisco come un mezzo di svago, per cui non deve insegnarmi niente, per cui non sopporto quando vedo alcuni personaggi televisivi che si sentono Dio perché fanno televisione, e ce ne sono tanti».
A proposito di giornalisti, alcuni di loro in un tuo brano “giornalisti da bar”, forse per quello che è accaduto qualche anno fa al Festival di Sanremo.
«In quel caso la canzone è passata in secondo piano, a beneficio di tutta la polemica che si è creata intorno. Io amo il giornalismo, nella mia carriera ho concesso interviste alle grandi testate e ai piccoli blog, ma a volte mi interrogo e ho dubbi, perché penso a come avrebbe reagito una persona più fragile di me sottoposta a quello che ho subito io per quella vicenda. In quel caso, tutto è passato in secondo piano, a favore dell’evento mediatico».
Tornando alla musica, qualche anno fa, con l’album Contatti, hai sperimentato molto con l’elettronica, distante da questo ultimo disco, che invece è molto suonato. Tu dove ti senti più a tuo agio?
«Io ho sempre suonato tanto nei miei dischi; Contatti è un disco molto suonato, anche se elettronico. Io ero considerato un cantante rock, per cui mi piaceva l’idea di stuzzicare il pubblico, così ho pensato di fare un disco completamente elettronico. Se mi chiedi in quale disco mi trovo più a mio agio, ti rispondo che è quello fatto con gli strumenti rock, perché io sono cresciuto con i Nirvana, gli Oasis, con Endrix, i Beatles, per cui tutta musica suonata».
Ma ti senti a tuo agio anche in diverse parti del mondo, perché con il lavoro di tua moglie che opera nell’ambito diplomatico, hai vissuto in molti luoghi; volevo chiederti se questo aspetto incide nella creazione dei tuoi lavori oppure no.
«A me piace molto seguire mia moglie nei suoi viaggi, ma le diverse parti del mondo in cui ho vissuto non influenzano la mia musica; io faccio pop italiano. Ascolto molta musica dei posti in cui vivo, ma non entra nei miei dischi».
Dai tuoi lavori traspare una grande ricerca non solo musicale, ma anche estetica, a livello di immagini e di grafica. Come fai a mettere insieme questi due aspetti.
«Mi fa molto piacere che tu abbia notato questo particolare; considero la copertina una parte molto importante del disco, non lo faccio io, ma mi affido a dei professionisti. La copertina di questo disco, per esempio, è molto anni Sessanta. Ti rilevo in anteprima che il mio prossimo podcast si occuperà proprio del progetto grafico del disco».
Come ultima domanda parafrasiamo sempre il titolo del nostro magazine e chiediamo come vede il “Domani” Bugo, quali sono le tue speranze e le tue paure?
«Domani vorrei star bene fisicamente per proteggere la mia famiglia, e per questo motivo faccio molto sport. Dal punto di vista artistico voglio continuare a essere curioso, spontaneo, senza rancore, senza negatività, per cui ti direi che voglio continuare a essere così come sono. La vita può essere difficile per tutti, ma io voglio soffermarmi sulle cose belle, voglio infondere positività al pubblico».