Il 5 gennaio 2016 è uscita in Italia Carol, la pellicola diretta da Todd Haynes basata su The price of salt, il romanzo redatto nel 1952 dalla scrittrice americana Patricia Highsmith, poi ripubblicato con il titolo di Carol, in cui vi si narra la storia fittizia ambientata negli anni ’50 dell’amore omosessuale fra Therese Belivet e Carol Aird.
Il film dà una puntuale riproduzione delle abitudini, dei comportamenti, dei costumi e di una New York immersa entro i complessi anni ’50. In correlazione a ciò, la cosa interessante ed il punto di forza di Carol, oltre alle intriganti chiacchierate al femminile, sta proprio nel rapporto fra quest’ultima e Therese, le quali, quando si trovano assieme, è come se si dimenticassero del mondo che le circonda e vivessero circoscritte in una campana di vetro, dove l’unica cosa veramente importante è l’affetto che provano l’una per l’altra. Le donne impersonate da Cate Blanchett e da Rooney Mara sono femmine forti, ed indipendenti, nonostante le loro fragilità, che seguono le loro passioni scontrandosi in un certo qual modo con la ristretta apertura mentale di quei tempi così arretrati ed intransigenti. L’opera di Haynes trasuda di una sofisticata sensualità sia nella recitazione, che nell’uso da parte del regista della macchina da presa. Inoltre, è encomiabile l’aver rispettato nella sceneggiatura l’idea del racconto originario di trattare il tema dell’omosessualità senza eccessivi clamori, approcciandosi ad esso con un forte senso di ordinarietà.
Oggettivamente, Carol è una pellicola delicata, contraddistinta da una morbida colonna sonora e corroborata dalle intense interpretazioni della Blanchett, e della Mara, con cui potrebbero avere ottime chance di aggiudicarsi l’Oscar; tuttavia, al di fuori del lesbico legame sentimentale si sente non poco la flemma del ritmo narrativo e le vicende private di Therese che cerca di sfondare in veste di fotografa, e la diatriba familiare di Carol con il marito per l’affidamento della figlia si dimostrano un po’ soporifere, e scarsamente stimolanti.
In pratica, questo dramma dall’apprezzabile fotografia vintage, è, sì, un buon film, ma che sembra forzatamente confezionato per poter appositamente accaparrarsi qualche Academy Awards quasi a tavolino.
Gabriele Manca