Il 5 Agosto dello scorso anno è sbarcato su Steam e GOG “Death Trash”, un Rpg post-apocalittico già annunciato all‘E3 dello stesso anno. Il gioco si presenta con un affascinante stile pixel-retrò che sembra abbracciare senza riserve i classici del genere, come i primi Fallout e il più recente Underrail.
Ma detto così non rende abbastanza l’idea. Questo gioco ha molto da offrire e più di un asso nella manica. Partiamo dal setting e la storia:
Non appena avvieremo una nuova partita, il gioco ci informa che ci troviamo sul pianeta Nexus, secoli (quanti? Boh) dopo un avvenimento chiamato semplicemente “the bleeding” (“il sanguinamento” N.d.t.). La superficie è costellata da metropoli in rovina, l’umanità si è rintanata in bunker sotterranei sotto la benevola tutela delle Macchine e che sulla superficie desolata i reietti vivono di stenti, tra mutanti e predoni. Fornite queste magre informazioni, che creano più domande che altro, dobbiamo creare il nostro personaggio, distribuire i punti iniziali in caratteristiche e abilità e scegliere nome e aspetto per il nostro personaggio.
La nostra avventura parte alle soglie di uno dei bunker già citati dove dei sinistri robot ci informeranno che siamo stati banditi dalla “Società Universale” per ragioni Medico-Sanitarie.
Al nostro personaggio viene consegnata una nota scritta dove veniamo informati della ragione del nostro esilio e che dobbiamo seguire due semplici regole: non tentare di tornare all’interno del bunker (pena la morte) e NON (pare importante) riprodurci, per il resto baci, abbracci e tanti saluti. A quanto pare siamo affetti da una misteriosa malattia e, per evitare di contagiare il resto della popolazione, siamo destinati a doverci rifare una vita nel mondo esterno.
Se dopo questa introduzione al mondo di gioco vi sentite confusi e abbandonati a voi stessi, allora benvenuti in Death Trash.
Ora soffermiamoci su un paio di dettagli, per prima cosa le famose “macchine”: queste non sono (o almeno non sembrano) crudeli oppressori e non sembrano vestire i panni degli antagonisti, sembrano più che altro premurosi servitori con l’unico scopo di preservare l’umanità al meglio delle loro possibilità. Inizialmente non sono presenti altri umani, oltre al nostro personaggio, e, nel comunicarci la nostra situazione, i robot sembrano quasi rammaricati. La decisione di esiliarci è dettata da semplice pragmatismo, hanno addirittura preparato un “percorso di addestramento” per prepararci a sopravvivere al mondo esterno (che funzionerà come Tutorial, illustrandoci in maniera esauriente le meccaniche base di gioco). Ma non finisce qui: aprendo il nostro inventario e la scheda del nostro personaggio potremo notare due cose: la prima è la ragione del nostro esilio, la famosa infezione sconosciuta e un misterioso impianto elettronico situato nel nostro cervello. Entrambi occupano uno “slot” del nostro inventario e non potranno essere rimossi.
E poi c’è un altro dettaglio che ben presto salterà all’occhio e ci farà compagnia per tutta la nostra avventura: dal terreno cresce carne. Grumi di carne e organi che spuntano qua e là da tutte le parti, alcuni di essi sono animati, si muovono, alcuni parlano (più o meno), altri sono degli specie di animaletti non necessariamente ostili (però state attenti, altri lo sono eccome), altri ancora sono semplicemente… grossi grumi di materia organica pulsante che sta semplicemente lì e nessuno sa da dove provengano.
Tutto ciò è bizzarro, inquietante e… unico. Se c’è qualcosa che Death Trash azzecca davvero è il setting e il world-building in generale. Siamo tutti abituati al classico post-apocalisse: radiazioni, mutanti, predoni, post guerra-atomica e bla, bla, bla… ma Death Trash riesce a catapultarci in un mondo così alieno, così incomprensibile rispetto a quello che siamo abituati e così pieno di domande senza risposta che fin da subito riesce a instillare un senso di solitudine e di smarrimento che ci porta lontano da tutto ciò cui siamo abituati.
L’inizio mi ha, stranamente, ricordato “Planescape: Torment”.
Dimenticatevi tutto quello che credete di sapere: siete in un mondo nuovo, pericoloso e sconosciuto, con regole proprie che dovremo imparare in fretta se vogliamo sopravvivere.
Ora passiamo al gameplay. Pur ispirandosi chiaramente ai vecchi classici del genere (che, per tradizione, usano un sistema di combattimento a turni) Death Trash usa un sistema di combattimento in tempo reale. Abbiamo un tasto dedicato alla nostra arma a distanza, uno dedicato alla nostra arma da mischia, uno per una vasta gamma di abilità speciali, abbiamo la nostra barra della salute, una barra della stamina e un tasto per rotolare che dovremo usare per schivare gli attacchi nemici.
Il gioco promette un sistema di combattimento “moderno” ispirato chiaramente alla famiglia dei Souls-like e mantiene tale promessa. I controlli sono reattivi, il combattimento serrato e i comandi possono essere facilmente adattati come più ci aggrada. L’ambiente di gioco è facile da navigare e non serve una grande esperienza da videogiocatore per capire come e cosa funziona: che si tratti di interagire con un personaggio non ostile, esplorare una insediamento, un sotterraneo o difenderci da una banda di predoni mutanti, il gioco mantiene un ritmo solido e una azione costante.
Adesso veniamo all’aspetto ruolistico di Death Trash. Non ci sono poi così tante abilità e statistiche, e molte sono l’una il complemento dell’altra. Il nostro punteggio di “forza” fa coppia con la nostra abilità con le armi da mischia, la nostra destrezza con quelle a distanza, il nostro carisma serve sia per le prove di “convincere” oltre a darci un bonus sconto presso tutti i mercanti del gioco. Molte skill hanno una doppia funzione, per esempio il nostro punteggio in “Alta tecnologia” ci darà l’opportunità di interagire con svariati marchingegni e ci dà anche un bonus nell’usare le armi ad energia. Ci sono un sacco di modi per sviluppare il nostro personaggio. Death Trash offre molta rigiocabilità, solo per provare nuove combinazioni.
Oltre ad armi e abilità è disponibile anche un sistema di “poteri” (chiamiamoli così) diviso in due categorie che ci dà accesso a svariate capacità speciali come, per citarne alcune, diventare invisibili, lanciare scariche elettriche per stordire i nemici, poteri telecinetici, possibilità di dare fuoco ai nemici, avvelenarli e molto altro ancora. Esiste anche una skill chiamata “animalismo” che ci permette di addomesticare alcune delle bizzarre creature che popolano il mondo di gioco e usarle come alleati durante i combattimenti.
E’ un sistema sufficientemente vasto e ben condensato e intuitivo, che premia creatività e sperimentazione.
Detto questo, però, ho da additare un paio di problemi. Non importa quali siano le vostre scelte, il gioco si aspetta comunque che usiate sia un arma a distanza che una da mischia. Quindi, se in Fallout è possibile specializzare il vostro personaggio in una sola delle due, in Death Trash privarvi di una di essere vi metterà in una posizione di handicap rispetto al sistema di gioco. Inoltre le armi da mischia non sono molto ben bilanciate. Funziona così: più un arma è leggera (come un coltello o una spada), più colpisce rapidamente, mentre una più è grossa e pesante (come un martello da fabbro o una mazza chiodata) colpisce lentamente ma infligge più danni. Il punto è che, per come è strutturato il combattimento, essere rapidi è senza dubbio una priorità rispetto al colpire duro, quindi il vantaggio delle prime sulle seconde è fin troppo evidente, al punto dal rendere le armi da mischia pesanti un opzione da scartare a priori. Stessa cosa, fortunatamente, non si può dire delle armi a distanza, che offrono una gamma di opzioni più diversificata e interessante.
Cosa che rende il combattimento interessante, ancora più delle opzioni a nostra disposizione, sono i nemici. Ce ne è una buona scelta e tutti agiscono e operano in modi differenti che ci impongono strategie diverse per nullificare i loro punti di forza e sfruttare le loro debolezze. Imparare a riconoscere ogni stramba creatura che incontreremo nel nostro viaggio in Death Trash è parte integrante dell’esperienza.
Ora veniamo all’apparato sonoro. Death Trash butta tutto sull’atmosfera e anche se la colonna sonora, di per sé, è per lo più minimalista, si complementa perfettamente con tutto il resto: dal suono dei nostri passi, al rumore delle armi e dei poteri, ai versi delle varie creature mutanti.
In particolare tutti i suoni usati per portare in vita le creature inumane sono particolarmente calzanti: i mutanti grugniscono, strisciano… e fanno altri versi non meglio identificati, dando al tutto un sentore di… beh… organico, se mi passate il termine.
Death Trash riesce a trasmettere una strana sensazione che potrei definire… viscerale. Come a ricordarci che ogni cosa al mondo (noi per primi) è fatta unicamente di carne, sangue, budella, organi e viscere. Come una favola scritta e ambientata nell’universo dei mostri di Cronemberg.
Per finire, ovviamente, oltre a combattimento, abilità ed esplorazione, il gioco ha anche parecchi dialoghi da considerare (tutti da leggere). Nessun paragrafo è particolarmente lungo, la qualità della narrazione è buona, sintetica e, quando serve, il gioco sa non prendersi troppo sul serio. Và ricordato che interagire con i vari personaggi (bizzarri e imprevedibili come tutto il resto) sarà una delle nostre principali fonti per comprendere la storia e il mondo in generale (ovviamente sarà così che otterremo le classiche “quest secondarie”, che garantiranno punti esperienza e ricompense extra).
Conclusione: Death Trash offre un mondo originale da esplorare e un sistema di gioco che prende il classico e cerca di rinnovarlo con idee moderne.
C’è da dire che il gioco è ancora in Accesso Anticipato ma gli sviluppatori hanno già comunicato che le vendite sono già andate bene (il gioco ha riscosso un immediato successo presso tutti gli appassionati del genere e oltre) e la promessa di ricevere un prodotto finito è cosa sicura. Nel dubbio è disponibile una Demo gratuita sia su Steam che su GOG.
Francesco Viglione