Ce lo aspettavamo un po’ tutti. Chi ha visto “Per amor vostro” di Valeria Golino è a conoscenza della magnifica interpretazione dell’attrice originaria di Napoli, in questo film diretta da Giuseppe M. Gaudino, già documentarista e regista del tanto acclamato “Altis” (1985), mediometraggio sperimentale pluripremiato in diverse manifestazioni . Il film di Gaudino – prodotto dal compagno di Valeria Golino, l’attore Riccardo Scamarcio, e Viola Prestieri per “Buena Onda”, già casa di produzione di “Miele”, esordio alla regia della Golino – alla proiezione a Venezia, ha raccolto 9 minuti di applausi, ma anche qualche (seppur breve) fischio. Per quanto questo non screditi la qualità del film, in realtà le critiche possono essere comprese , in virtù del fatto che “Per amor vostro” non è certo un prodotto facile da accogliere, nella sua ricercatezza. La trama a dire il vero è semplice: la storia di un’eroina moderna, Anna, protagonista di una vita in bianco e nero , caratterizzata da un’infanzia passata per 4 anni in riformatorio nel tentativo di coprire il fratello dall’accusa di furto , e da un matrimonio infelice con un pericoloso usuraio di quartiere (interpretato da un bravissimo Massimiliano Gallo, che qui finalmente esce dalla figura di caratterista alla quale eravamo abituati, vedi in “Mine Vaganti” di Ozpetek), che finalmente sembra trovare il suo riscatto grazie al nuovo contratto di lavoro che le è stato proposto. Anna trova quindi il modo di denunciare alle autorità il marito, ormai diventato sempre violento, e di fuggire via da una vita miserevole.
Nei suoi momenti più drammatici, è facile ricorrere al termine “neorealismo” per etichettare questo film. L’uso ricorrente del dialetto, il voler raccontare una Napoli cupa, fredda e povera, apparentemente senza una via di salvezza (se non quella classica dell’aiuto ai santi), sono tutte tematiche che attingono alla descrizione della realtà, e quindi alla tradizione del cinema italiano del secondo dopoguerra. Peccato che Gaudino voglia strafare e infarcire il film di elementi pop : tra un avvenimento importante e l’altro vi sono ripetuti intermezzi musicali volti a rappresentare la protagonista femminile come una Santa contemporanea, che rischiano di stancare lo spettatore; il senso di oppressione che prova la protagonista è enfatizzato da elementi quasi di “videoarte”, troppo ricercati e fuorvianti; la stessa compresenza del bianco e nero e dei colori sembra quasi una forzatura.
Ad ogni modo, Valeria Golino conferma la sua innata bravura nell’interpretare personaggi forti, dotati di spessore (facile qui paragonarla, e il bianco e nero la aiuta, ad alcuni ruoli interpretati da Anna Magnani), ma contemporaneamente segnati, “macchiati” da un destino che non hanno scelto. Più o meno parallelamente al ruolo di Bruna in “Storia d’amore” di Francesco Maselli , che nel 1986 le fece guadagnare la prima Coppa Volpi come Migliore interpretazione femminile, e che in qualche modo fu il primo di una serie di premi assegnati durante la sua lunga carriera. Ce la ricordiamo nelle parentesi americane di “Rain Man” (1988) di Barry Levinson, “Lupo Solitario” (1991) di Sean Penn e il corale “Four Rooms” (1995) , nel ritorno in Italia con “Le acrobate” (1997) di Silvio Soldini, fino alla definitiva riscoperta negli anni Duemila, che la vede protagonista anche di diversi film di successo come “Giulia non esce la sera” (2009) di Giuseppe Piccioni fino al più recente “Il capitale umano” (2014) di Paolo Virzì (David di Donatello come Migliore attrice non protagonista). Una carriera ricca di premi meritati, culminata dall’esordio dietro la macchina da presa con il film “Miele” (2013), girato in maniera molto matura e professionale, andando a toccare un tema delicatissimo come quello dell’eutanasia.
Federico Riccardo