La transizione ecologica contenuta nel recente PNRR non è semplicemente una semplice pennellata di verde e di slogan ecologisti sulla nostra società attuale, ma corrisponde a un cambiamento profondo del modello economico e sociale che ha già modificato il nostro modo di consumare, produrre, lavorare e vivere insieme. Dalla moda all’industria del food dalla produzione energetica passando per svariati settori industriali, le aziende ed i consumatori dirigono il loro interesse verso una nuova educazione alla sostenibilità ambientale interagendo con istituzioni, politiche pubbliche e organizzazioni di cittadinanza attiva per immaginare un nuovo futuro. Il giornalista, docente universitario e saggista Marco Frittella, da quasi un quarto di secolo uno dei volti più noti del TG1, conduttore Rai tra i più apprezzati, ha indagato questo cambiamento raccogliendo il racconto tutto italiano delle realtà impegnate nello sviluppo sostenibile con un libro intitolato “Italia green. La mappa delle eccellenze italiane nellʼeconomia verde” edito da Rai libri. Nel racconto del giornalista di format storici come “Uno mattina” e “Linea verde” si seguono le tracce di un cammino verso un concreto progresso ambientale, tecnologico, scientifico, sociale ed economico al fine di far prendere coscienza delle realtà nazionali che mettono in opera collettivamente soluzioni a favore dell’ambiente rendendo l’ Italia primo paese green d’Europa. Noi di Domanipress abbiamo avuto l’onore di ospitare in questa Video Intervista Esclusiva nel nostro salotto virtuale Marco Frittella per parlare con lui di sostenibilità ambientale, economia circolare e della necessità di un nuovo linguaggio televisivo in equilibrio tra cronaca ed intrattenimento.
In “Italia green. La mappa delle eccellenze italiane nellʼeconomia verde” tratti il tema della riconversione ecologica scegliendo un punto di vista differente dal solito, partendo da una necessaria presa di coscienza scavalcando il dizionario del pensiero ecologico per arrivare al grande pubblico…
«Ho pensato di trattare il tema dell’ecosostenibilità da una prospettiva diversa rispetto a quella a cui siamo abituati rispondendo alla domanda inevasa di chi si chiede quali siano le soluzioni messe in atto per una reale riconversione ecologica dei processi produttivi. L’insieme delle tematiche della transizione ecosostenibile, la descrizione del problema ambientale e del cambiamento climatico è vastissima e per questo aspetto possiamo contare su una saggistica sconfinata, ma non non ci sono ancora pubblicazioni che raccontino le eccellenze italiane da vicino, che portino degli esempi concreti su come l’Italia affronta questo cambiamento con risultati che ci hanno reso primi in Europa. Non è un libro per specialisti ma è un libro di storie italiane».
Da qui è partita l’idea del viaggio…
«Quello che racconto è stato un percorso che mi ha piacevolmente sorpreso; ho scoperto una realtà che non conoscevo proprio perché nessuno l’aveva mai fatta realmente emergere… ».
Il Covid-19 ha aumentato la consapevolezza delle vulnerabilità di un’economia liberista e industriale poco attenta ai temi del green?
«Credo proprio di sì, con la pandemia l’opinione pubblica , anche la più distratta, si è realmente accorta delle fragilità del nostro sistema economico. In questi due anni di pandemia ci siamo resi conto che un modello di sviluppo economico basato sulla depredazione del pianeta comporta dei rischi che sono correlati tra di loro e difficilmente governabili. Ad esempio il disboscamento può essere una delle cause per la diffusione di virus, oltre che del cambiamento climatico; prima del Covid credevamo che ogni realtà fosse una monade adesso abbiamo capito che bisogna prendersi cura di ogni parte del globo e che tutte le conseguenze positive e negative sono correlate tra di loro in un rapporto di causa ed effetto. Ciò che accade in Indonesia oppure nella foresta amazzonica, ad esempio, ha un impatto immediato sulle nostre vite esattamente come ciò che muove il microcosmo a pochi passi dalla nostra casa».
Le emergenze ambientali, oltre a quelle economiche e sociali, sono quindi una priorità da cui ripartire….
«L’ecosostenibilità non è più soltanto un ipotesi ma una necessità, il modello di sviluppo post rivoluzione industriale è fallito. Bisogna ripensare a città più verdi e ad un utilizzo di risorse consapevole perché le risorse del pianeta non sono inesauribili ed uno sfruttamento intensivo potrebbe provocare dei danni irreparabili».
Ad oggi nessuno stato, governo o partito politico può esimersi dall’affrontare questa emergenza eppure persistono ancora delle visioni poco lungimiranti…
«L’economia green non è una soluzione possibile ma l’unica strada obbligatoria da perseguire da qualunque lato la si guardi. In questo siamo già in ritardo di decenni, gli scienziati ci avvertono da più di vent’anni ma non gli si è dato ascolto in nome di un sistema che ha badato meramente al profitto. Adesso siamo arrivati a un punto di non ritorno in cui le soluzioni efficaci sono diventate più difficili ed occorre del tempo per farsi trovare pronti. Se vuoi è un po’ come pretendere di preparare un esame in una notte, abbiamo bisogno di soluzioni concrete e veloci ma anche di competenza.
La prima presidente donna della Commissione Europea Ursula von der Leyen è particolarmente impegnata a fare in modo che l’Europa diventi il motore della ripresa sostenibile ed anche i paesi dell’Onu hanno sottoscritto gli obiettivi dell’Agenda 2030, è possibile fare di più?
«Personalmente sono di quelli che non nutrono grande fiducia nelle grandi decisioni mondiali, nelle conferenze e nei tavoli tecnici troppo distanti dalle realtà locali. Ovviamente ritengo l’impegno degli organi fondamentale per stabilire i criteri cardine ma temo i compromessi. Al contrario ho fiducia invece sulle energie reali della società, sugli imprenditori delle PMI, delle grandi realtà industriali e delle società benefit che hanno già compreso perfettamente che questa è un urgenza da fronteggiare con assoluta priorità. Recentemente ho partecipato all’ assemblea dell’Unione Petrolifera per la mobilità “Unem”, con una lettura poco attenta potremmo definirli per definizione i “cattivi” che inquinano il pianeta attraverso lo sfruttamento dei combustibili fossili, invece anche loro hanno accolto con interesse le nuove sfide attraverso la produzione di carburanti sintetici e sono in constante evoluzione verso un ottica più verde che coniuga tecnologia e competenza pur comprendendo che le energie rinnovabili non riescono ancora a coprire il solo incremento di domanda attesa. Se anche il fondo di investimenti più grande del mondo ha compreso l’importanza di attuare modelli di economia circolare allora possiamo essere particolarmente ottimisti».
Il tuo è un libro particolarmente ottimista che racconta le best practice italiane superando anche il divario tra nord e sud. Ultimamente soprattutto nel mezzogiorno d’Italia ci sono diversi centri di innovazione ed enti pubblici capaci di promuovere la transizione ecologica anche in luoghi particolarmente complessi a livello ambientale…nella città di Taranto ad esempio la Camera di commercio ha lanciato il progetto Oikos La casa dell’economia civile ed anche nel capoluogo pugliese ci sono diverse realtà di rilievo nazionale.
«Tu mi parli di Taranto e della Puglia che sicuramente è una delle regioni meridionali più avanzate per la gestione dei rifiuti e anche se tutto il sud purtroppo non segue questo trend, ci sono diverse aree che presentano ancora dei problemi rilevanti. Nel libro parlo di diverse realtà del sud Italia pur essendo consapevole delle differenze che caratterizzano il paese. L’Italia attualmente detiene il primato europeo nel riciclo dei rifiuti e questo ci consente di essere l’economia circolare più sviluppata d’Europa, superando Germania, Francia e Spagna».
Nel libro parli anche della realtà siciliana “Orange Fiber” che a partire dallo scarto della buccia d’arancia produce cinture per marchi blasonati conosciuti in tutto il mondo come Salvatore Ferragamo…
«Nel sud Italia l’agricoltura ha compiuto passi da gigante, oltre a questo c’è da dire che si detiene nel meridione il più alto tasso di imprenditoria femminile legata a questo settore. Guardando questi casi virtuosi ho fiducia che il sud possa trovare la sua chiave di volta per un nuovo sviluppo sostenibile proprio nelle risorse della green economy».
Questo in generale è un momento di grande ottimismo e positività per l’Italia: abbiamo vinto gli Europei di Calcio, l’Eurovision song contest e ……al primo posto.
«Certamente fenomeni di questo genere fanno bene all’umore ci danno la spinta per ripartire col piede giusto. Questo ritrovato spirito nazionale è ciò che serviva ad un Paese che da troppi anni ha il vizietto di offrire solo una narrazione parziale di se stesso. Il mio libro in fondo serve anche a questo, a riequilibrare la narrazione sul green deal perché non esistono solamente i cassonetti di Roma che debordano, la terra dei fuochi o i capannoni lombardi che vanno a fuoco per l’ecomafia. Ci sono gruppi delle forze dell’ordine, del volontariato e degli associazionismi che si prodigano costantemente per l’ambiente oltre che enti pubblici particolarmente sensibili al tema. Penso per esempio ad un comune del trevigiano dove il riciclo dei rifiuti arriva al 98 percento grazie al merito di un’azienda tutta pubblica chiamata “Contarina” che per esempio attraverso una tecnologia innovativa brevettata , ricicla i prodotti assorbenti per la persona usati di tutte le marche, traendone plastica e cellulosa sterilizzata da riutilizzare come materia prima e secondaria…».
Poste queste basi quali sono ancora le difficoltà in tema di sostenibilità che il nostro paese si trova ad affrontare?
«C’è un reticolo di imprese e centri di ricerca università, spin off ed associazioni che meritano di essere messi in condizioni migliori di operare facendo sistema…e qui si riscontra qualche problema sul lato soprattutto burocratico. Solitamente faccio sempre lo stesso esempio: Siamo come quel corridore che ha delle gambe fortissime e potentissime che corre ma ha il difetto di allacciarsi le scarpe l’una all’altra e quindi corre con questo handicap, e nonostante questo riesce a vincere la partita».
Il Ministro alla Transizione ecologica Roberto Cingolani sta facendo un buon lavoro in tal senso? Cosa ne pensi del suo operato?
«Cingolani possiede una visione lucida ed equilibrata della transizione nel senso che anche alcune critiche che ha raccolto per alcune dichiarazioni, forse troppo forti, sono dovute al suo modo di esprimersi da scienziato».
Ultimamente ci sono state diverse polemiche rispetto ad alcune riflessioni sulle energie rinnovabili…
«Sicuramente le sue non sono frasi ideologiche facilmente digeribili dagli ambientalisti, ma sono realiste. Dire che la transizione ecologica non è semplice come organizzare un pranzo di gala è la verità. Siamo difronte ad un cambiamento epocale che va gestito con una certa cautela perché potrebbe comportare la perdita di posti di lavoro e relative disuguaglianze sociali. Prendiamo il caso recente della Gkn che a seguito del cambio di produzione a favore di componentistiche per l’auto elettrica ha avviato una procedura di licenziamento collettivo tramite email… ».
Come si potrebbe organizzare una governance che tenga conto di questi problemi?
«Bisogna governare il processo di transizione evitando disastri sociali. Nell’esempio delle energie rinnovabili se noi non diamo il tempo alla filiera della raffinazione dei carburanti di riconvertirsi in maniera ecologica è facile che si passi alla chiusura o alla delocalizzazione in Cina dove ci sono norme meno stringenti e questo è un doppio svantaggio per la nostra economia e per l’ambiente. Dobbiamo mantenere l’occupazione e semmai aumentarla…».
Cambiando discorso e parlando della tua attività da giornalista “storico” della Rai e da conduttore di “Uno mattina” vorrei chiederti: come cambia il tuo approccio al pubblico in una fascia oraria così particolare?
«Intanto bisogna essere preparanti in un orario particolarmente difficile. Mi sveglio tutte le mattine alle 4.40 ed è effettivamente una levataccia (ride)…per questo è necessario condurre uno stile di vita un po’ “regimentato”. Oltre a questo interfacciarsi con la telecamere e sapere di entrare nella casa degli italiani in un momento cruciale della giornata ti porta a parlare a segmenti di pubblico diversi. Nella prima fascia è importante concentrarsi sulle notizie e su un intrattenimento dedicato a chi ci guarda prima di andare alla lavoro. Dopo le otto e mezzo il pubblico cambia completamente e ci si dedica a chi resta a casa. Nell’anno della pandemia questi due pubblici sono molto sfumati tra di loro e lo smart working ha reso difficile individuare un target giusto e trovare un linguaggio adeguato. A questo si è aggiunto il carico di portare ogni mattina il bollettino dei deceduti causa pandemia e di ricordare le restrizioni che devi subire per non ammalarti. Noi ci trovavamo nelle condizioni difficili di dover compensare due osservazioni una dedicata al covid e l’altra più leggera e non sempre è stato possibile trovare un giusto equilibrio».
Al giornalista di un TG è richiesto sempre un distacco professionale nel presentare i fatti di cronaca. In oltre vent’anni della conduzione del TG1 qual è stato il momento più difficile emotivamente?
«Conduco il TG1 dal duemila, quasi mezzo secolo, e posso dirti che il mio telegiornale più difficile è stato quello della pasqua dell’anno scorso perché nonostante il momento di festa non c’era un servizio che non parlasse di eventi strazianti legati al Covid…mi sarebbe bastato anche un passaggio legato a Donald Trump (ride), invece non c’era nulla che potesse distrarre il pubblico. Ho sempre ritenuto che il telegiornale debba essere freddo e distaccato e il buon giornalista non deve mai farsi troppo coinvolgere emotivamente da quello che racconta, perchè altrimenti sarebbe impossibile condurre un TG, ma quel momento è stato complesso da superare. Ricordo che poco prima di chiedere la linea a Mara Venier per Domenica In le chiesi di farci sorridere, di infondere una speranza ai telespettatori e lei da grande professionista riuscì a strappare un sorriso anche in un contesto così difficile con uno studio vuoto…Questo fanno i veri professionisti. Lo ricorderò per sempre. Poi ovviamente ci sono dei momenti difficili sul lato tecnico, servizi che non partono, discussioni con la regia, ma quelli sono degli inconvenienti superabili con il sorriso ed inevitabili».
Con il cambiamento dei vertici Rai cosa credi si possa ancora migliorare a livello di programmazione?
«Nei tredici canali Rai ci trovo un po’ ma tutto personalmente investirei maggiormente su Rai cultura, Rai5, Rai Storia e Radio 3, perché penso che siano parte del servizio pubblico che non dobbiamo perdere ma anzi dobbiamo rafforzare e credo che, se posso fare una previsione, il sovrintendente del Teatro dell’Opera di Roma Carlo Fuortes, indicato dal governo come futuro amministratore delegato Rai ha intenzione di andare proprio verso questa direzione».
Come ultima domanda parafrasiamo sempre il titolo del nostro magazine e chiediamo come vede il “Domani” Marco Frittella quali sono le tue speranze e le tue paure?
«Guardo il Domani con grande ottimismo sono convinto che l’Italia saprà cogliere la grandissima opportunità contenuta nel Next Generation EU è il momento del costruire, uniti, per riprenderci il futuro».
Intervista Esclusiva a cura di Simone Intermite