«Spesso nella società in cui viviamo, estremamente individualista si fatica a riconoscere l’appartenenza…noi facciamo musica per l’urgenza appartenere a qualcosa e per il desiderio di vivere in una società che immaginiamo essere migliore, è questo che ci muove». Quando parlano della loro arte Dario Mangiaracina e Veronica Lucchesi de’ “La rappresentante di lista“, lo fanno con la passione di chi attraverso la musica non vuole solo intrattenere ma lanciare un appello concreto all’impegno civile, accendendo uno stimolo, per chi ascolta, a partecipare in maniera attiva, spronando la propria coscienza sui temi del presente alla ricerca una legittima esigenza di trasformazione. Il brano manifesto “Amare“, che ha conquistato con il suo messaggio universale i consensi del vasto pubblico sanremese, e l’ultimo album “My mamma” sono lo strumento di una lotta all’omologazione che si serve della musica per andare oltre le forme prestabilite ed un diario intimo frutto di una composizione collettiva che attraverso l’ introspezione si staglia contro il rumore che gira intorno a tutti noi. Le contraddizioni del mondo moderno e le tematiche attuali come la tutela ambientale, le differenze di genere e la necessità di resistere al dolore sono i colori di un mondo sonoro coraggioso e temerario che non teme di prendere posizione infrangendo le barriere del pop. Noi di Domanipress abbiamo avuto il piacere di ospitare “La rappresentate di lista” nel nostro salotto virtuale in questa Video Intervista Esclusiva, per indagare le dinamiche del loro universo tra riflessioni sul presente e necessità di ritrovare nella comunità una programmatica condivisione di intenti.
Il vostro ultimo album “My mamma” è pienamente rappresentato dal brano “Amare” protagonista quest’anno al Festival di Sanremo; avete scelto un verbo importante per abbracciare un concetto universale che vola oltre il suo stesso significato…
DARIO: «Si, “Amare” non è solo una canzone d’amore, dietro questo titolo scritto all’infinito si nasconde un invito all’azione. Mi piace pensare che questo “amare” sia un modo di alzarsi la mattina e di affrontare il mondo in maniera positiva apprezzando se stessi e gli altri; abbiamo cercato di portare sul palco dell’Ariston una possibilità di energia che ti prende in ogni singola viscera del tuo corpo, qualcosa che ti dà la forza anche per risollevarti da un momento buio come quello che abbiamo vissuto, ma valido anche per altri momenti in cui si cade in profondità, anche dentro se stessi, e non si riesce a recuperare la forza di rialzarsi. “Amare” è una canzone che ha una forza salvifica per se stessi e per gli altri, un inno di liberazione che parla di corpi, di vita, di comunità, della ricerca di una rinascita, di un senso di libertà e d’amore senza confini».
Rispetto all’ album precedente “Go go Diva” il vostro sguardo è passato dal personale all’universale…
VERONICA: «Ci siamo guardati e ascoltati nel profondo e poi abbiamo attraversato quel confine personale. In questo album rispetto a quello precedente c’è uno sguardo più corale sul mondo…»
Bob Marley affermava che solo la musica può rendere gli uomini liberi…
DARIO: «Certo e noi ci crediamo fermamente. La scrittura dei testi di “My mamma” è avvenuta in maniera molto organica e spontanea durante tutto il periodo del primo lockdown raccogliendo tutti i testi che avevamo scritto nell’ultimo anno e mezzo di tour e abbiamo cercato di approfondire i motti le parole che potevano essere gridate da un coro di manifestanti perché crediamo che in questo momento storico la musica abbia il compito di esprimere dei concetti anche forti, che possano dare la possibilità a chi ci ascolta di prendere una posizione e anche di riconoscersi, di sentirsi rappresentati».
VERONICA: «Spesso nella società in cui viviamo, estremamente individualista, si fa fatica a riconoscersi in qualcosa. Capita di non riuscire a immaginare altro da sé stessi proprio perché non ci si vede rappresentati e questo succede anche in politica oltre che nel campo musicale e dell’arte. Spesso facciamo fatica ad inserirci in una di quelle caselle preconfezionate che non tengono conto delle sfumature di cui è costituita l’umanità».
In questa società malata di indifferenza e individualismo la musica è uno strumento per ritrovarsi?
DARIO: «Noi vogliamo pensare di sì. Ci dedichiamo alla musica anche per questo, per sentirci meno soli, per rifuggire l’isolamento e condividere idee ed emozioni all’interno di una comunità che ci segue».
La copertina dell’album rappresenta l’organo femminile come simbolo dell’ origine dell’universo e nella tracklist trova spazio il brano “Oh ma oh pa” che tratta il tema del rapporto con i genitori. Dopo l’inciso domina l’ interrogativo: “Mi perdonerai?”. Cosa avete da farvi perdonare?
DARIO: «In realtà quella domanda è un espediente retorico perché vuole dire: “Mi dispiace ma io devo andare avanti per la mia strada”. Volevamo rappresentare quella separazione dolorosa, quell’ennesimo taglio del cordone ombelicale che tutti noi siamo chiamati a fare nell’atto ulteriore di crescita.»
VERONICA: «Per “genitori” non volevamo intendere solo quelli biologici, ma ci rivolgiamo anche ai nostri maestri che ci hanno lasciato in eredità degli insegnamenti utili, ma spesso devastanti, che ci hanno guidato e allo stesso tempo condizionato non sempre positivamente. Quando si è adulti è necessario tagliare il velo del ruolo materno e paterno per scoprire gli uomini e le donne con tutte le loro fragilità da mettere in discussione».
La nostra generazione dai padri ha ereditato un mondo afflitto da problemi ambientali, generati da un’economia cannibale, che ha bruciato il futuro per soddisfare l’avidità di profitto. Oggi si parla di economia circolare e di rigenerazione urbana, per il video di “Amare” avete scelto “I Cantieri Culturali” alla Zisa un’ex area industriale di Palermo…
DARIO: «Non è stato casuale, abbiamo la necessità di amare di nuovo la nostra terra e di riappropriaci di spazi inutilizzati che potrebbero essere trasformati e diventare luoghi di condivisione ed espressione , con la possibilità anche di nuove prospettive lavorative. Purtroppo in questo momento storico sembra che lo spettacolo dal vivo sia l’ultimo punto dell’ordine del giorno del governo e in questo momento di crisi il problema sembra essere stato messo sotto il tappeto. Noi con la nostra musica tentiamo di accendere un faro e individuare non solo i temi caldi che stiamo vivendo, ma cerchiamo sempre di volgere lo sguardo avanti raccontando anche quello che è il nostro desiderio di vivere in una società migliore. Per farlo è necessario che ognuno di noi si adoperi perché gli errori del passato siano un lontano ricordo. I Cantieri Cultura alla Zisa sono in questo senso un ottimo esempio: a poco a poco molti spazi abbandonati sono stati attivati e rappresentano oggi un polo importante. Ma si può fare di più!».
Dalla copertina dell’album al brano “questo corpo” inserito nella colonna sonora del quarto episodio della serie firmata Sky “The New Pope” di Paolo Sorrentino, la fisicità sembra essere al centro della vostra ricerca. Veronica ha anche un’esperienza diretta con la regista e drammaturga siciliana Emma Dante da sempre promotrice di una forma teatrale e comunicativa fortemente corporea. Cosa hai imparato dal suo insegnamento?
VERONICA: «Ho avuto l’onore di collaborare con la compagnia teatrale di Emma Dante e di frequentare i loro laboratori. Posso dirti che grazie a quei momenti ho avuto modo di riscoprire me stessa attraverso l’utilizzo del corpo. Quello di Emma Dante è un teatro drammaticamente fisico in cui la parola è generata dal movimento del corpo. Ho imparato che quando un impulso parte dalle viscere, non puoi fare a meno di ascoltarlo e anche in scena non puoi fare altro che liberarti di tutti i limiti. In musica ho compreso che quello che faccio nasce da una necessità, un’urgenza. Il corpo per noi è il primo strumento per fare esperienza della vita, è quell’elemento che non si può tenere da parte che non si può conservare intatto, per quanto si possa curare e trattare come un tempio, ti serve per vivere. Questo periodo mi spaventa perché viviamo l’idea di corpi un po’ mutilati in una video call o lontani chilometri che non riescono a incontrarsi, ad amarsi e viversi».
Il corpo però per voi non è mai divisivo, vi siete proclamati come band “queer pop” capace di rappresentare la fluidità, nel campo della politica sessuale e di ragionamento sull’identità di genere…Il brano “Fragile” contenuto nel vostro ultimo album è cantato dalla voce di Dario scegliendo coraggiosamente di accostare alla fragilità sembianze maschili, in controtendenza ad ogni narrazione moderna…Oggi da uomini abbiamo deposto le armi della mascolinità tossica per uno status di uomo più evoluto?
DARIO: «Nell’immaginario collettivo probabilmente siamo ben lontani da aver deposto quel tipo di rappresentazione del maschio ma bisognerebbe iniziare a cambiare ottica perché stiamo attraversando un periodo molto particolare per l’uomo in cui sta cambiando il ruolo della donna ed è sicuramente necessario ripensare a questi schemi che ci sono stati imposti. Ogni cultura ha la sua forma di mascolinità tossica, la sua idea di “vero uomo” e di non-uomo e i criteri variano di società in società. La mascolinità tossica blocca lo sviluppo delle naturali inclinazioni e sentimenti degli uomini, ma fa lo stesso anche con le donne: insegna ai primi a rincorrere il potere e alle seconde a compiacerlo. Quello di abbattere questi ragionamenti binari non è soltanto un problema maschile. Oggi è difficile concedersi anche la possibilità di essere fragile. Vincente, coraggioso, grande, è colui che vince. Timido, gracile, fragile, è invece chi perde. E nella società in cui viviamo non possiamo mai permetterci di perdere, ecco perché spaventa la fragilità. Invece meritiamo di liberarci e di accettare questo bisogno che è insito nella nostra natura. Bisogna cambiare gli schemi ed evolverci».
A proposito di evoluzione, riprendendo il vostro nome d’arte declinato al femminile “La rappresentante di lista”, per le questioni di genere mentre in Europa politicamente si va avanti in Italia siamo ancora fermi. Nel Regno Unito in Germania, Norvegia e Danimarca è possibile che una donna diventi Primo Ministro, nel nostro Paese questo non è ancora avvenuto, come mai?
DARIO: «Questo avviene perché mancano dei riferimenti a cui rifarsi; ti rispondo partendo dalla musica, un paio di anni fa quando abbiamo partecipato al concerto del primo Maggio di Roma abbiamo assistito alla polemica che riguardava il numero esiguo di donne come protagoniste. La prima riflessione si può fare è che questo accade perché i direttori artistici non chiamano le artiste donne ed è la riflessione più facile da fare, quella più profonda e probabilmente più corretta è legata al fatto che ci sono effettivamente poche cantautrici che hanno accesso a quella visibilità. È un po’ un cane che si morde la coda. È necessario che esistano i presupposti affinché una bambina possa sognare di calcare quel palco esattamente come sognare di diventare Presidentessa della Repubblica».
Il Presidente Mario Draghi ha ribadito che una vera parità di genere non significa un farisaico rispetto di quote rosa richieste dalla legge…
VERONICA: «In un mondo ideale io non vorrei che si parlasse di quote rosa ma in un sistema dove determinati concetti vanno ancora scardinati dalla radice allora bisogna forzare la mano quindi, va bene anche parlare di quote rosa se serve, insistere. Cambiare allora anche il lessico, battere sulla questione della dicitura al femminile di qualsiasi ruolo. Se ci pensi è più facile che un uomo immagini di poter diventare Presidente della Repubblica, mentre invece non siamo abituate ad ascoltare il termine Presidentessa. Le parole sono importanti ed è giusto fare attenzione al tipo di utilizzo che ne facciamo».
Parlate spesso di comunità…Oggi, in un momento politico di larghe intese e confini difficilmente individuabili da chi vi sentite rappresentati?
VERONICA: «Viviamo un momento complesso, ognuno è perso nel suo micromondo. Ci sono poche visioni univoche e non si ha spesso la forza di guardare oltre i propri interessi. La politica dovrebbe avere visioni che prospettino un futuro migliore, che siano audaci e poetiche, visioni e progettualità capaci di scardinare certe logiche passatiste. Non ci serve una politica che utilizza i temi caldi solo come pretesto per fare campagna elettorale senza pensare a quello che dovrebbe essere l’obiettivo principale: far progredire la società».
Come ultima domanda parafrasiamo sempre il titolo del nostro magazine e chiediamo come vede il “Domani” “La rappresentante di lista, quali sono le vostre speranze e le vostre paure?
DARIO E VERONICA: «Immaginiamo un Domani senza confini e limiti geografici e culturali. Siamo certi che la vita ci sorprenderà e che riusciremo a scacciare vie le nostre paure, insieme».
Intervista esclusiva a cura di Simone Intermite