Si scrive “blasfemia”, si legge “Chiara Ferragni”.
Negli ultimi giorni l’influencer per eccellenza ha pubblicato sul proprio profilo Instagram gli scatti realizzati agli Uffizi intorno alla fine del mese di luglio per un editoriale di Vogue Hong Kong. Naturalmente la parte bigotta del popolo del web, censore dei costumi e custode del mos maiorum, ha urlato nuovamente allo scandalo, rinvigorendo con fiumi di inchiostro virtuale le polemiche montate quest’estate, quando erano stati pubblicati i primi post che anticipavano il progetto.
E se ne intuisce bene il motivo: la ricostruzione fornita da testimoni oculari, impiegati del Museo, è quantomeno sconcertante. A quanto pare il team di Vogue Hong Kong e quello della Ferragni avrebbero svolto il proprio lavoro entro i modi e i limiti imposti dal museo, avrebbero pagato la cifra pattuita per l’utilizzo degli spazi e infine se ne sarebbero andati.
Una dinamica scioccante, ma non finisce qui.
Successivamente l’influencer, non paga dello scempio perpetrato, avrebbe anche accettato l’invito del direttore degli Uffizi Eike Schmidt ad accompagnarlo in un giro del museo, per poi arrivare al punto di scattarsi un selfie davanti alla Nascita di Venere di Botticelli. Il maestro fiorentino deve rigirarsi nella tomba sapendo che il suo genio è ancora celebrato come uno dei punti più eccelsi dell’arte mondiale.
C’è di buono che, a quanto riportato, il capolavoro botticelliano non si è sgretolato al suolo in stile Banksy dopo l’invadente selfie della sedicente “imprenditrice digitale”.
Una sorte fortunata, tristemente non condivisa dal gesso di Antonio Canova ritraente Paolina Borghese conservato alla Gypsotheca di Possagno. Ma certamente questa è tutt’altra storia. Un corpulento turista austriaco, che siamo certi sia da annoverare fra i maggiori conoscitori dell’arte del Canova e dunque personalità di una caratura culturale decisamente superiore a Chiara Ferragni, in preda ad un febbrile stato di eccitazione alla vista delle opere ha pensato bene di sdraiarsi accanto alla figura di Paolina Borghese. Siamo certi che la nobildonna, dall’ al di là, sarà stata deliziata nel vedere la propria effige abbracciata dalle tremolanti membra dell’ammiratore. Peccato che ci abbia rimesso l’alluce e due dita del piede ma c’è da capire, l’emozione ha giocato un brutto scherzo al maldestro turista d’oltralpe che, dopo il misfatto, si è allontanato con l’abilità del pachiderma in cristalleria.
Davanti a questo episodio i commentatori di Instagram, comprendendo che il danno era stato causato da un eccesso di ammirazione artistica e non da un’endemica mancanza di rispetto nei confronti dell’arte italiana, hanno pensato bene di non scatenare la propria furia su di lui, bensì di riservarla tutta per Chiara Ferragni.
E non è importante che la sua visita agli Uffizi abbia incrementato gli ingressi del 27%, non ci tocca il fatto che i giorni dopo la sua epifania il museo abbia superato la quota di tremila persone al giorno per la prima volta dopo il lockdown, con un boom di giovani e giovanissimi che ha del miracoloso. No, il museo dovrebbe essere un luogo sacro, accessibile a pochi, ai puristi della storia dell’arte italiana (o che si ritengono tali in quanto quella volta, sei anni fa, hanno optato per una visita al museo regionale della frittella perché era estate e fuori si moriva). Di certo non ai giovani che ci vanno solo per imitare Chiara e ne escono ignoranti come prima (come è stato sottolineato da innumerevoli utenti su Instagram e Twitter). Non come il turista austriaco amico di Paolina, che da quella esperienza ne sarà uscito con un dottorato di ricerca.
Per altro la Ferragni, che già per il fatto di essersi inventata una professione che l’ha resa milionaria dovrebbe vergognarsi, ha pure svolto la visita degli Uffizi in abiti casual e comodi. Fortunatamente il dettaglio non è sfuggito al pubblico social, che ha prontamente puntualizzato come l’influencer abbia deliberatamente ignorato il dress code che, per le visite ai musei, prevede l’abito da sera per le signore e il frac per i loro cavalieri. In poche parole oltre il danno anche la beffa.
Eppure si può ancora stare tranquilli: secondo il report annuale del MiBACT il circuito museale italiano ha subito un netto calo di visite rispetto al 2018, e l’Istat ha confermato che il 68,3% degli italiani non sono mai stati in un museo. Ed è giusto così, i musei sono per definizione luoghi austeri, selettivi, per pochi connnosseur che vi si ritrovano in muta contemplazione dei capolavori di arte romana, o medievale, o rinascimentale (o quello che vi pare, tanto una vale l’altra). E se sempre l’Istat conferma che i meno interessati alle manifestazioni culturali siano gli over 60 e non i giovani non c’è da stupirsi.
C’è da dire che per lei è un vizio: i mesi estivi seguiti al lockdown sono stati un continuo visitare i luoghi più belli della nostra penisola, pubblicizzandoli a titolo gratuito tramite il più efficace mezzo di digital marketing del mondo, ovvero Instagram (dove può contare su giusto una ventina di milioni di follower).
In particolare, è ancora vivido nella memoria collettiva il trauma di un altro episodio che ha fatto scatenare polemiche feroci tra i difensori del buoncostume italiano, consumatosi anch’esso alla fine dello scorso luglio.
L’influencer ha deciso di dissacrare lo splendido Museo Archeologico di Taranto, dandogli una risonanza mediatica che altrimenti non avrebbe mai conosciuto. Lo ha fatto insieme a Maria Grazia Chiuri, direttrice artistica di Dior, complice nel tentativo di portare la Puglia, tra le regioni italiane più martoriate dalle conseguenze economiche del lockdown, sotto le luci della ribalta internazionale con la Dior Cruise 2021 organizzata a Lecce.
Dunque la programmatica violazione del patrimonio culturale italiano ad opera di profani dediti a frivolezze quali la moda e la comunicazione non sembra avere mai fine, ma non dobbiamo perdere la speranza.
Possiamo farci forza nella consapevolezza che il pubblico dei social, con sagacia e coerenza, sarà sempre pronto a condannare il barbaro sfruttamento dell’Arte e al contempo ad indicare esempi di una sua virtuosa celebrazione, come ad esempio il video del brano “Dorado” di Mamhood e Sfera Ebbasta. Un’iniziativa che, abbandonando i toni goliardici e ovviamente sarcastici, virtuosa lo è davvero, dato che per le riprese è stato selezionato il Museo Egizio di Torino, che ha ovviamente beneficiato di questa sponsorizzazione non solo lusinghiera, ma molto efficace sui più giovani. Tuttavia non è possibile fare a meno di pensare che, in questo caso, l’assenza di sterili polemiche sia legata più al fatto che gli interpreti siano uomini che alla comunicazione da loro veicolata.
In conclusione, ciò che conta certamente non è sottolineare l’ipocrisia di alcuni leoni da tastiera, la cui evidente faziosità li priva di qualsiasi credibilità.
Ciò che è preoccupante è la forma mentis tutta italiana per cui arte e cultura restano rivelazioni elitarie rivolte a pochi e veicolate da musei che, nella maggior parte dei casi, nel 2020 ancora non hanno un sito web e se lo hanno, ha l’appeal grafico della prima versione di “Campo Minato”.
La verità è che la comunicazione della cultura nel nostro Paese non si rimetterà mai al passo con il resto del mondo finché i nuovi canali di comunicazione digitali non verranno visti come degli strumenti, piuttosto che superflue futilità.
Insomma, la vera blasfemia è quella di rinnegare l’intercessione social della “nuova divinità dell’era digitale”, come l’ha definita il Museo degli Uffizi sul proprio profilo: Santa Chiara Ferragni da Citylife, martire perché giovane, bionda e soprattutto donna.
Fiorenza Sparatore