«Soffrire per la mancanza degli affetti moltiplica la gioia del momento in cui si ritrovano». Quando parla della sua famiglia Luca Parmitano, classe 1976, astronauta, punta di diamante del ESA European Space Agency, primo italiano al comando della Stazione Spaziale Internazionale (ISS), lascia trasparire l’emozione, a dimostrazione che sotto gli strati della tuta spaziale, oltre alla determinazione e al coraggio batte un cuore umano, con tutte le sue sfumature. Il comandante Parmitano dopo essere recentemente ritornato sul Pianeta Terra, al termine della missione Beyond inserita nel contesto di Expedition 60 e 61 che lo ha visto compiere quattro storiche passeggiate spaziali, decine di esperimenti, svariati contatti radioamatoriali, ha dovuto affrontare oltre la quarantena di routine per gli astronauti, anche il periodo di isolamento richiesto dalle misure anti contagio del Covid-19 ritrovando una realtà diversa da quella che aveva lasciato alla partenza. Non ha subito invece ritardi “Starman” il docufilm prodotto da Morol e distribuito da Vision distribution realizzato con il regista Gianluca Cerasola in collaborazione con l’ESA, attualmente disponibile su tutte le maggiori piattaforme di streaming, che racconta il viaggio nello spazio di Astro Luca documentando la preparazione per il lancio della missione “Beyond”, tra emozioni, luoghi simbolo della storia dell’esplorazione spaziale, tecnologie all’avanguardia e dure sfide fisiche e psicologiche. Noi di Domanipress abbiamo avuto il privilegio di parlare con Luca Parmitano di tecnologia, sostenibilità ambientale e della vita degli astronauti in questa intervista da leggere ed ascoltare con gli occhi puntati verso lo spazio infinito, sfidando le correnti gravitazionali e sognando la luna.

Da pochi giorni è disponibile sulle piattaforme streaming il docu-film “Starman” che racconta la preparazione della missione spaziale dell’Esa “Beyond”. Qual è stata la sfida più complicata che hai dovuto gestire ed il momento che ricordi con particolare affetto?

«Ci sono dettagli del documentario che mi emozionano e che rivivo con piacere: dalle scene in Giappone, alla preparazione per la partenza, al momento prima del lancio, il regista ha catturato alcune scene particolari che raccontano in maniera sincera dettagli non sempre visibili della missione “Beyond“. Per ogni spedizione i minuti che precedono la partenza sono momenti estremamente emotivi, perché si saluta la famiglia e nonostante la mente sia già proiettata al volo e alle grandi aspettative c’è sempre una parte di un astronauta che resta a terra, ed è quella legata agli affetti e ai figli. Salutare le mie bambine dall’autobus con lo scafandro già indossato è sempre difficile, ma allo stesso tempo loro mi danno la forza per affrontare nuove sfide e guardare avanti; soffrire per la mancanza degli affetti moltiplica la gioia del momento in cui si ritrovano. Questo vale anche per la vita di tutti i giorni e per le proprie abitudini, essere fisicamente lontani può aiutare ad apprezzarla appieno oltre le difficoltà giornaliere».

Sei rientrato dalla missione spaziale i primi giorni di Febbraio dopo aver trascorso duecento giorni in orbita, di cui 4 mesi al comando della Stazione internazionale. Il Pianeta Terra che hai ritrovato è malato, il Covid-19 ha cambiato le relazioni tra gli uomini e molte delle abitudini che avevi lasciato ora sono oggi impossibili da perseguire…

«Il ritorno per un astronauta è sempre un momento particolarmente complesso sia a livello fisico, perché la permanenza a bordo di un’astronave modifica il corpo, sia a livello mentale perché ci si ritrova a doversi adattare a un nuovo ambiente e ritornare alle proprie abitudini. Quando si rimette piede sul pianeta Terra c’è bisogno di un nuovo riadattamento che necessita di una riabilitazione fisica: questo riguarda anche un cambiamento vestibolare che incide sull’apparato dell’equilibrio, che ogni volta deve essere ricalibrato. Non ho potuto subito abbracciare la mia famiglia che si trova ad Houston, ma son dovuto andare al centro ESA di Colonia per un periodo di riadattamento e raccolta dati. Dopo aver affrontato una missione nello spazio alcuni muscoli – quelli che sostengono la colonna vertebrale – sono spesso indeboliti a causa dell’assenza di peso, anche se all’interno della stazione spaziale si effettua regolarmente attività fisica. Altro problema potenzialmente grave è la riduzione della densità delle ossa, che diminuisce per ogni mese passato nello Spazio. In condizioni di microgravità, le ossa non subiscono il peso del corpo e quindi non si rigenerano, costringendo gli astronauti alle contromisure sviluppate nel corso degli anni, in particolare l’attività sportiva a bordo. Durante le prime due settimane l’isolamento non è stato per me quello dovuto dalle misure restrittive del Covid-19. Quando poi sono rientrato a Houston, dopo il recupero psico-fisico, ho dovuto ripetere il periodo di quarantena, ed è stato un rientro fuori dal comune. In realtà il Pianeta Terra che avevo lasciato era forse già malato, adesso sono solo cambiati i sintomi».

A proposito di ambiente dallo spazio hai potuto osservare i cambiamenti del nostro pianeta e gli effetti dell’impatto nocivo dell’uomo sul naturale equilibrio degli ecosistemi…è ancora possibile salvare il nostro pianeta?

«Negli ultimi anni c’è stato un allentamento delle misure cautelative a tutela dell’ambiente, a favore di una corsa al profitto. È facile pensare che i sintomi di un ecosistema malato continueranno ad aumentare. L’industria non è ancora responsabilizzata da un punto di vista ecologico. Noi astronauti guardando la Terra dall’alto abbiamo una visione privilegiata che ci consente di osservare i fenomeni ambientali in grande scala; si parla spesso di “overview effect” proprio per indicare l’effetto della veduta d’insieme e il relativo cambiamento cognitivo che è causato dall’osservazione della Terra dall’orbita – o dalla superficie lunare; la visione d’insieme delle terre e gli oceani ci spinge a considerare la Terra come priva di confini nazionali. Semplificando, il nostro pianeta dallo spazio appare come fragile, da difendere, e unito: quando ho scattato le foto che ho pubblicato sul web l’ho fatto anche con l’obiettivo di sensibilizzare a un utilizzo consapevole delle risorse naturali. Bisogna essere consapevoli che il nostro futuro dipende dai comportamenti che tutti noi possiamo attuare nelle vita quotidiana e da politiche lungimiranti che rimettano al centro la tutela del nostro pianeta».

Per un astronauta la quarantena, prima e dopo una missione, è una condizione di routine…Quali sono le best practice per riuscire a sopravvivere in uno spazio limitato per molti giorni?

«Non ci sono dei consigli che siano validi per tutti, perché ogni astronauta ha il suo modo di affrontare le difficoltà derivanti dalla condivisione degli spazi, anche se la stazione spaziale è abbastanza ampia. Non riesco a pensare alle best practice mutuabili dalla mia esperienza: personalmente mi considero un privilegiato; durante la mia quarantena non devo preoccuparmi dello stipendio, che resta garantito; quando sono in orbita sono isolato per scelta e dispongo di una serie di strumenti che mi consentono di vivere bene il mio periodo di isolamento. Anche la quarantena prima del volo ha delle necessità diverse perché è finalizzata alla preservazione di un’atmosfera asettica a bordo, per la protezione del sistema immunitario degli astronauti già in orbita. Per superare un periodo di isolamento può essere utile stabilire e mantenere una routine e sopratutto un ritmo circadiano stabile e sano, per evitare una de sincronizzazione tra i ritmi sonno-veglia interni e il normale ciclo luce-buio. Inoltre è importante porsi degli obiettivi da raggiungere, non solo per perseguire la propria soddisfazione personale a fine giornata, ma anche per mantenere accesa la mente. Anche fare attività fisica è importante, pur non avendo la prospettiva di intraprendere delle competizioni continuo con il mio allenamento con costanza, è fondamentale per far lavorare il metabolismo e per stare bene».

Oggi vivi ad Houston con la tua famiglia, in America l’emergenza Covid è fronteggiata in maniera differente rispetto all’Italia; alcuni Stati come la Georgia ed il Texas, stanno lentamente riaprendo le attività mentre Virginia e Illinois, stanno adottando l’approccio opposto. Recentemente su Twitter Elon Musk il fondatore di Tesla ha lanciato un grido d’allarme scrivendo: “Liberate l’America, ora” e “Restituite alle persone la loro libertà”. Qual è la tua posizione in merito?

«Parlare degli Stati Uniti come un luogo omogeneo è limitante. Così come avviene con l’Unione Europea, anche negli Stati Uniti le condizioni socio economiche così come le realtà territoriali dei singoli Stati sono completamente diversi. Dove mi trovo adesso, in Texas, le misure di prevenzione per il Covid-19 non sono state draconiane; ci sono solo quattro grandi città, come Dallas, Houston, San Antonio e Austin, che comunque non hanno lo stile di vita delle grandi metropoli europee come Parigi o Barcellona. Sono stati chiusi i luoghi d’assembramento come i ristoranti, gli stadi e alcuni luoghi di lavoro, ma lo spazio sconfinato e gli stili di vita consentono di fare attività sportiva all’aperto senza mettere a rischio di contagio la popolazione. In Texas la situazione non è mai stata di estrema emergenza, a differenza di New York e San Francisco, dove il modo di vivere la città è completamente diverso, a partire dall’utilizzo dei mezzi pubblici e alla quantità di popolazione che si sposta ogni giorno per lavoro. Avere un approccio al problema che tiene conto di queste differenze è indispensabile… Generalizzare può essere molto pericoloso».

Opinionisti, virologi, politici, imprenditori…Ognuno ha una visone differente del problema e delle possibili conseguenze…

«Da sostenitore dell’expertise scientifico ciò che mi preoccupa maggiormente sono le fake news. Oggi i social network permettono a chiunque di scrivere un’opinione su tutto, ma la scienza non è democratica e non dovrebbe avere opinioni, si occupa di fatti e risultati tangibili. Navigando sul web in questi giorni mi sono reso conto che molti credono che i fatti della scienza debbano essere evidenti e sopratutto immediati, ma non dobbiamo invece dimenticare che l’analisi scientifica richiede tempo e studio. Fare affidamento sullo slogan e sulla parola d’impatto che possa attirare l’attenzione è un approccio sbagliato e rischioso. Io sviluppo tutta l’esperienza della mia vita sul dubbio: la verità, come la scienza, è sempre in evoluzione. Bisogna adattarsi ai risultati e chi ha la responsabilità comunicativa e scientifica ha tutta la mia gratitudine, perché è difficile gestire in maniera semplice ciò che invece non lo è. Non bisogna mai banalizzare, sopratutto in questi contesti, non ci sono scorciatoie, a problemi complessi seguono soluzioni complesse».

Date: 01-16-15 Location: NBL – Pool Topside Subject: ESA astronauts Luca Parmitano and Thomas Pesquet training together for INC-49/INC-50 ISS EVA Maintenance run Photographer: James M. Blair/ NASA

Soluzioni complesse come le innovazioni tecnologiche che sono di fondamentale importanza per le missioni di lunga durata e spesso molte delle innovazioni testate nello spazio trovano, con il tempo, un utilizzo pratico anche sulla terra toccando settori diversi dall’agricoltura all’economia circolare…Quali sono le tecnologie indispensabili per un astronauta e quali potrebbero essere i loro utilizzi futuri?

«Lo smartphone che tutti noi utilizziamo sfrutta la tecnologia spaziale sia per le telefonate che per le posizioni del sistema gps, così come tutta la micro tecnologia nata dalla necessità di portare strumenti sempre più piccoli e leggeri nello spazio, dai microchip ai programmi di gestione delle strumentazioni. Oggi lavoriamo molto sull’osservazione terrestre, che ci consente di fare un monitoraggio impensabile solo pochi decenni fa: migliora la gestione dell’agricoltura, ma anche la capacità di prevedere l’impatto di eventi naturali come terremoti, inondazioni, mareggiate e cambiamenti climatici. La tecnologia spaziale è la punta di diamante di questo tipo di ricerca, ma anche la medicina gode del contributo delle nostre ricerche. Nello spazio è possibile sperimentare fenomeni che hanno impatto sul sistema vestibolare, osteo-muscolare e cardio-vascolare che si riscontrano anche sulla terra a seguito di malattie genetiche o di incidenti. La scienza spaziale non è diversa da quella terrestre, ha bisogno di essere convalidata e comprovata e questo richiede dei tempi relativamente lunghi. Ma se pensiamo che in vent’anni di studi abbiamo generato migliaia di pubblicazioni scientifiche, è facile intuire che l’impatto della scienza spaziale è estremamente importante».

Hai avuto anche modo di testare nuove tecnologie di intelligenza artificiale con il programma Cimon. Spesso rispetto al tema del AI si assiste a una scissione tra favorevoli e contrari…

« In realtà Cimon (che pronunciamo Simon… forse per umanizzarlo un po’) è un esperimento, un dimostratore tecnologico, un prototipo dotato di intelligenza artificiale ben distante da quello che la fantascienza – con film come “Alien” e “2001 odissea nello spazio” – ci ha abituato a immaginare quando si parla di un compagno di viaggio cibernetico. Cimon è di fatto un’interfaccia che si collega con la Terra, dove si trova il suo ‘cervello’: siamo ancora agli albori per questo tipo di tecnologia. Un altro esperimento di robotica è stato Analog-1, che mi ha permesso di guidare in remoto e in tempo reale un rover sulla Terra utilizzando degli haptic controller, un dispositivo che consente di restituite in tempo reale all’operatore la percezione sensoriale di quello che il braccio robotico percepisce sulla terra. Il progresso non mi spaventa, anzi mi stimola, penso che ciò che conti sia l’utilizzo dello strumento. Gli studi che stiamo realizzando sulle potenzialità dell’intelligenza artificiale spero che ci permettano di realizzare dei buoni contenuti».

Nel film oltre alla partecipazione dell’astronauta Nasa, Andrew Morgan e del cosmonauta di Roscosmos c’è anche l’intervento di Jovanotti e di Giancarlo Giannini…Durante le missioni spaziali tra un esperimento e l’altro si riesce a trovare spazio anche per fruire la musica, la letteratura il cinema e l’arte in genere?

«Ogni astronauta segue le proprie inclinazioni culturali. Io mi interesso molto di musica, che è un linguaggio universale: mi piace ascoltarne vari tipi, e anche se non sono molto bravo mi diletto con la tastiera, la chitarra, l’armonica. Personalmente ho cercato di fare in orbita tutto ciò che non è possibile realizzare sulla terra. Il tempo in orbita è come se fosse “preso in prestito”, scorre in maniera talmente veloce che non lascia spazio a molte attività extra lavorative. Capita comunque di leggere dei libri in formato elettronico, a bordo disponiamo di un’ottimo catalogo di film e abbiamo la possibilità di ricevere e inviare informazioni e video in streaming…».

Hai anche diretto un dj set tra le stelle trasmesso in diretta ad Ibiza…

«Si, è stata un’esperienza divertente e sono fermamente convinto che esistono almeno due lingue comuni nel mondo, a unire le persone: una è la matematica, il linguaggio della scienza, e l’altra sicuramente è la musica, che tutti comprendono e che ci consente di comunicare emozioni».

A proposito di film da “Star Wars” ad “Interstellar” fino ad “Odissea nello spazio”, la tematica sci fi è particolarmente cara ad Hollywood ed attinge a piene mani dall’esperienza degli astronauti. Qual è la tua pellicola preferita, se potessi dare un spunto quale aspetto della vita vera nello spazio meriterebbe di essere raccontata?

«Ci sono molti film che mi hanno appassionato, dai classici come “Odissea nello spazio” e tutta la saga di “Guerre stellari” ma anche quelli documentaristici come “Apollo 13” e la miniserie “From the Earth to the Moon“. Ciò che ho avuto modo di riscontrare negli anni è che nei film non è mai raccontata la tendenza di molti astronauti a sapersi prendere in giro: nei film l’astronauta è sempre raccontato come un supereroe senza paura. Invece spesso a bordo di un’astronave si fanno scherzi e ci si diverte, per potersi prendere sul serio è necessario anche sapersi prendere in giro. Non mi riconosco nel ritratto superonistico di Hollywood e questo credo che valga anche per i miei colleghi… Siamo tutti delle persone estremamente normali e semplici, che amano lo scherzo e una buona risata esattamente come il vicino della porta accanto».

Il 16 luglio 1969 dal Kennedy Space Center sono state trasmesse in tutto il mondo le immagini della missione spaziale che per prima è riuscita ad avere un impatto narrativo capace di far sognare milioni di telespettatori. Da quel momento il ruolo d’astronauta è diventato popolare ed ambito, ma come è noto esserlo realmente è tutt’altro che semplice. Tu quando hai capito che la tua vocazione sarebbe stata nello spazio?

«Ho capito che sarei potuto diventare astronauta nel momento in cui mi hanno comunicato telefonicamente che ero stato selezionato! Il sogno di poter fare questo mestiere lo porto con me da sempre e i personaggi che mi hanno ispirato sono tanti, da quelli delle missioni Mercury, passando per Gemini, Apollo e Shuttle, fino a quelli che ho incontrato: sono stati dei modelli di comportamento che continuo a seguire».

Hai guadagnato il ruolo di primo comandante italiano della Stazione spaziale internazionale….Mantenere l’armonia e l’equilibrio nella collaborazione tra i membri dell’equipaggio è una delle funzioni principali per un comandante, quali sono le caratteristiche irrinunciabili per dirigere una missione spaziale?

«Deve essere in grado di comunicare in maniera chiara gli obiettivi, prendere decisioni ma soprattutto ascoltare i propri collaboratori, prendendosi la responsabilità del risultato finale. Ognuno ha specifiche e personali inclinazioni, per poter collaborare nella maniera corretta è giusto che ognuno possa trovarsi nelle condizioni di poter lavorare al meglio delle proprie capacità. Atteggiamenti dispotici, o poco inclini alla comunicazione sono altamente controproducenti. Il modo migliore per ottenere un buon lavoro è che chi lo svolge sia soddisfatto di svolgerlo e abbia tutte le opportunità e gli strumenti per farlo al meglio».

Come ultima domanda parafrasiamo sempre il titolo del nostro magazine e chiediamo come vede il “Domani” Luca Parmitano, quali sono le tue speranze e le tue paure?

«La mia speranza e che nel Domani scienza e tecnologia possano supportarci nello sviluppo di una maggiore consapevolezza come essere umani, che ci aiuti a vivere su questa terra in maniera pacifica, magari con lo sguardo puntato verso il cielo e le stelle per continuare a sognare e vedere oltre».

Intervista a cura di Simone Intermite

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Direttore editoriale del portale Domanipress.it Laureato in lettere, specializzato in filologia moderna con esperienza nel settore del giornalismo radiotelevisivo e web si occupa di eventi culturali e marketing. Iscritto all’albo dei giornalisti dal 2010 lavora nel campo della comunicazione e cura svariate produzioni reportistiche nazionali.