Alessio Boni, uno degli attori più quotati del momento, protagonista assoluto alla ricerca di nuove sfide tra produzioni cinematografiche d’ampio respiro, spettacoli teatrali sold out e fiction che raccontano le gesta delle eccellenze della nostra nazione, riflettendo sulla personale urgenza di conoscere e capire il mondo, la stessa che lo ha condotto ad intraprendere il suo cammino nell’universo multiforme dello spettacolo e della recitazione, si sofferma sul concetto di conoscenza e durante la nostra intervista lancia un interrogativo intelligente ed intellettualmente onesto: «Secondo te cosa c’è di più bello tra te e me che ci siamo appena incontrati e non ci conosciamo? Conoscerci!». L’occasione dell’incontro è l’ultimo spettacolo teatrale “Don Chisciotte” il grande classico di Miguel de Cervantes riletto liberamente dal regista Francesco Niccolini e prodotto da Nuovo Teatro e da Fondazione Teatro della Toscana per due ore di rappresentazione in cui Alessio Boni cavaliere errante è in scena con un’inedita Serra Yilmaz, l’attrice turca musa di Ferzan Özpetek, nel comico ruolo di Sancho Panza. Ma non è tutto l’attore di fiction e film di successo come “Enrico Piaggio“, “Il nome della rosa“,”La compagnia del cigno” e “La meglio gioventù” è stato anche protagonista delle puntate dell’ultimo show di Adriano Celentano: “Adrian, questa è la storia” traghettando gli spettatori, con monologhi caratterizzati dalla profondità scenica tipica del suo tratto distintivo, dallo spettacolo televisivo al cartoon. Noi di Domanipress abbiamo avuto il piacere di ospitare nel nostro salotto virtuale Alessio Boni, e di parlare con lui di arte, cinema, letteratura e di mulini a vento contro cui combattere.

Sei a teatro con un adattamento del Don Chisciotte, un testo importante, attuale e ricco di rivisitazioni. Come ti sei preparato per affrontare e rileggere in chiave moderna il capolavoro di Cervantes?

«Per prima cosa ho rivisto tutte le versioni del Don Chisciotte in tutte le sue declinazioni, da quella più comica e cinematografica di Franco Franchi e Ciccio Ingrassia fino al film incompiuto di Orson Welles, che ambientò la trama nell’epoca moderna; oltre a questo ho letto molto, ci sono moltissimi riferimenti in letteratura che riprendono la storia originaria di Cervantes primo fra tutti lo scrittore Jorge Luis Borges che immaginò le gesta di un fantomatico scrittore francese chiamato Pierre Menard colto dall’esigenza riscrivere parte del Don Chisciotte. Non posso poi non ricordare l’opera prima di José Ortega y Gasset, uno dei più brillanti scrittori del Novecento che con “Meditazioni del Chisciotte” sperimenta delle riflessioni, anche filosofiche, con l’intento di spronare il suo paese a una rinascita, una presa di coscienza del suo valore per farsi grande. Dopo un primo studio dell’universo di Cervantes con il quadrivio composto da Francesco Nicolini, Roberto Alborasi e Marcello Prayer ci siamo seduti a tavolino raggruppando le idee e facendo un labor lime eliminando tutto ciò che si sembrava superfluo o eccessivamente abusato in teatro, fino ad arrivare a due ore di spettacolo».

A differenza di qualche anno fa non ci si può dilungare oltre le due ore di spettacolo a teatro, sembra un limite assoluto a cui i produttori fanno riferimento…

«Sono d’accordo, purtroppo oggi non si può più chiedere al pubblico di superare la soglia delle due ore di attenzione, in un mondo social, sempre iper connesso tutto scorre veloce e c’è necessità di sintesi, anche a teatro, perché non si riesce a fare a meno degli smartphone che costituiscono una costante distrazione; di conseguenza è sempre necessario un lavoro da parte del regista che elimini l’eccesso per mettere a fuoco l’essenziale».

Come attore invece non ti risparmi in quanto a pathos ed emozioni. Cosa accade quando si accendono le luci sul palcoscenico?

«A teatro mi faccio trascinare dalle emozioni ed accade sempre ad ogni replica, come se fosse la prima volta. Quando interpreto Don Chisciotte mi immergo totalmente nella sua realtà aiutato dai costumi di scena e dalle luci. Ad ogni debutto a teatro e come se avessi dentro di me un impulso chagalliano in cui il reale e l’ immaginario convivono e si mescolano senza forzature e preconcetti. In quel momento non esiste nient’altro che la scena…».

Il Don Chisciotte è un testo di ideali cavallereschi e di gesta eroiche. Nel mondo contemporaneo attanagliato dalle molteplici crisi si può ancora parlare di ideali da perseguire?

«Sicuramente, è ormai indiscutibile che il mondo in cui viviamo stia attraversando un periodo di crisi che non è solamente di tipo economico. Io credo che proprio per questo si debba parlare di ideali, sopratutto oggi. In un momento storico in cui i valori sembrano essersi persi e in cui si è in ginocchio è possibile risollevarsi ricostruendo la propria identità e difendendo le proprie idee».

Quali sono i tuoi mulini a vento con cui ti sei ritrovato a combattere?

«Il mio ideale resta quello di tener fede alla passione e ai sogni senza mollarli mai nonostante la vita si ponga certe volte in contrasto. Per farlo però bisogna avere un gran coraggio…».

Il coraggio nella tua vita non è mai mancato, hai lasciato un impiego stabile presso la Polizia di Stato per inseguire una passione che è diventata una professione…Come ci sei riuscito?

«La curiosità è il motore della mia vita. Sono sempre stato attratto da tutto ciò che era nuovo e da ciò che non conoscevo. Mi piace il mio mestiere d’attore proprio per questo motivo, non c’è mai ripetitività ed hai la possibilità di confrontarti con mondi diversi e sfide sempre nuove. Dal set al teatro è come se cambiassi vita ogni volta che interpreto un nuovo personaggio, devo continuamente indagare e conoscere una realtà nuova…».

La conoscenza è necessaria e richiede sempre impegno, investimento, sforzo…

«Certo ma cosa c’è di più bello tra te e me che ci siamo appena incontrati e non ci conosciamo? Conoscerci! Io non ti conosco ma alla fine di questa intervista potremmo dire di esserci un po’ conosciuti entrambi e di aver aggiunto un tassello in più. Questo è il bello della vita, è sempre un occasione di arricchimento e questo vale per ogni cosa che puoi fare viaggiando, conoscendo altri luoghi ma sopratutto confrontandoti con le altre persone…questo credo che sia essenziale non dimenticarlo».

A proposito di conoscenze recentemente per le fiction tv ed il cinema hai avuto modo di confrontarti con personaggi realmente esistiti come Enrico Piaggio, Walter Chiari, Giacomo Puccini e Caravaggio e recentemente Giorgio Ambrosoli…Cosa ti ha lasciato questa esperienza?

«Non è semplice interpretare personaggi realmente esistiti, è una grande responsabilità, perché sei ingabbiato e non hai la facoltà di creare un’ alternativa d’interpretazione. Vestire i panni di Walter Chiari è stato particolarmente difficile, su internet su di lui c’è tutto e non è stato facile essere credibile nel suo modo di parlare e di camminare che il pubblico conosce e si aspetta, è stata una bella sfida. Con Caravaggio invece è andata diversamente perché ho ricostruito i personaggi partendo dai suoi dipinti ed alcune biografie che descrivevano il suo carattere particolarmente irascibile. La stessa cosa è accaduta con Giorgio Ambrosoli, uomo dalla grande rettitudine morale, Giacomo Puccini ed Enrico Piaggio, sono personaggi che ho approfondito a partire dalle testimonianze che mi hanno restituito un grande patrimonio umano, si tratta di vere eccellenze che hanno segnato la storia del nostro paese. Al contrario nei panni di Matteo Carati della “Meglio gioventù” scritto da Sandro Petraglia e Stefano Rulli ero più libero perché si tratta di un personaggio inventato che si poteva prestare ad un’interpretazione personale…».

Nella tua carriera hai avuto modo di recitare con attori internazionali e di incontrare i migliori registi italiani…Quali sono le collaborazioni che ricordi con più affetto?

«Sono legato a tutti i registi con cui ho lavorato, mi sento molto fortunato, ho avuto dei grandi maestri a cui devo tanto. Tra tutti te ne cito tre, uno di questi è il maestro Orazio Costa che mi ha tenuto a battesimo nell’Accademia Nazionale di Arte Drammatica con cui realizzai un saggio d’esame tratto dall’Amleto di William Shakespeare; lui è stato per me un maestro non solo di recitazione ma di vita. Poi non posso non ricordare l’incontro con Giorgio Strehler a teatro, ho lavorato con lui l’ultimo anno prima della sua scomparsa recitando nella sua riproposizione de’ “L’avaro di Moliere” ed è stata un’esperienza indimenticabile. Tra i registi di cinema ricordo con particolare affetto Marco Tullio Giordana perchè è stato il primo a credere in me, siamo molto amici, la sua collaborazione è stata uno spartiacque per la mia vita professionale. Con “La meglio gioventù” ho vinto premi e siamo andati a Cannes…è stato un incontro particolarmente fortunato».

Recentemente sei stato scelto da Adriano Celentano come presenza fissa nel suo show evento “Adrian, questa è la storia”. Com’ è nata questa partecipazione?

«Sono un grande ammiratore del molleggiato, lui mi ha chiamato e semplicemente mi ha chiesto di scrivere dei monologhi legati alla storia di Adrian che traghettassero lo spettatore da una puntata all’altra. Ci siamo incontrati ed ho subito capito perché è un artista così amato dal pubblico. Adriano Celentano è un uomo dall’empatia straordinaria, riesce a metterti a tuo agio, parlando con lui avverti la sensazione di dialogare con chi ti conosce da una vita, sa predisporsi al dialogo e sopratutto è un buon ascoltatore. Questa è una dote rara, sopratutto per chi, come lui, ha avuto un successo planetario. Spesso i grandi miti sono concentrati su se stessi, si parlano inconsapevolmente addosso…invece lui è sempre pronto al confronto e all’ascolto. Celentano preserva lo spirito di un giovane con la voglia di stupirsi del mondo».

Eppure nel suo ultimo show Celentano ha tuonato verso il pubblico dicendo: “Non avete capito Adrian“. I dati d’ascolto sebbene risultino incoraggianti rispetto alla media non hanno particolarmente premiato il cartone animato…A te è mai capitato di non essere stato pienamente compreso?

«Succede a tutti, può capitare che il pubblico non sia pronto in quel momento esatto ad accogliere un progetto artistico. Adriano Celentano è sempre stato anticonformista ed è fondamentalmente un anticipatario dei tempi, fa parte della sua essenza; anche al cinema spesso un film non ottiene il successo immediato al botteghino ma poi con gli anni può essere rivalutato e capito. Questo meccanismo fa parte anche della storia dell’arte; pensa a Caravaggio e a Van Gogh erano dei geni incompresi che sono stati apprezzati e compresi molti anni dopo la loro morte. Cosa fanno i geni in fondo? Anticipano i tempi, anche alla prima della Boheme alla gloriosa “Scala” di Milano Giacomo Puccini fu fischiato…direi che fa parte del rischio di essere artisti».

Questo per te è un momento particolarmente positivo anche a livello personale, a Marzo diventerai padre; come affronti questa fase della vita?

«Con grande serenità, quando tutto avviene spontaneamente non hai bisogno di prepararti troppo. Lavoro molto è sono sempre in giro ma se ci sarà bisogno di fermarmi per mio figlio lo farò senza problemi…vorrei concedermi il privilegio di essere un padre presente».

Come ultima domanda parafrasiamo sempre il titolo del nostro magazine e chiediamo come vede il “Domani” Alessio Boni, quali sono le tue speranze e le tue paure?

«Mi viene in mente una sola parola per il Domani ed è Resilienza. Bisogna sempre trovare un barlume di luce anche nell’oscurità più profonda…bisogna farlo sempre».

Intervista esclusiva a cura di Simone Intermite

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