«Vorrei trasferire tutta la passione che ho per il mio lavoro e continuare a diffondere cultura». Quando parla della sua carriera, Stefano Fresi uno dei volti più amati del grande schermo del cinema italiano, attore nominato al David di Donatello, compositore e doppiatore con oltre trenta film all’attivo, che lo hanno visto protagonista sotto la direzione di registri illustri come Riccardo Milani, Michele Placido, Walter Veltroni e l’amico di sempre Edoardo Leo, si illumina e come un fiume in piena alza le spalle, sorride e precisa che anche lui a sua volta è stato “contagiato” dal germe positivo dell’arte. Forte di questa consapevolezza, l’attore di “Smetto quando voglio” e di “C’è tempo” ha recentemente partecipato al progetto“Cinema per la Scuola”,patrocinato da MIBACT e MIUR, per includere nelle scuole il linguaggio cinematografico come strumento educativo, organizzando momenti di incontro tra gli studenti e gli attori più richiesti del momento. Fresi Laureato in lettere, amante della filosofia e della storia, ha risposto con la sua naturale simpatia alle curiosità dei giovani film-maker su i segreti, i trucchi ed i retroscena del mondo del cinema, condividendo anni di esperienza fatta di studio e di gavetta sudata sui set cinematografici e guadagnata quotidianamente a teatro. Ed è proprio il palco teatrale il suo luogo eletto, oltre il cinema, dove tutt’oggi si esibisce, in coppia con Alessandro Benvenuti, riponendo in chiave moderna il Don Chisciotte di Cervantes denunciando sul filo dell’ironia i contrasti di un mondo sempre più contraddittorio e il nostro modo di confrontarci con la realtà.
Noi di Domanipress abbiamo avuto il piacere di ospitare nel nostro salotto virtuale Stefano Fresi e di parlare con lui di cinema, valore della cultura e mulini a vento da combattere.
Recentemente hai dato il tuo contributo per il progetto nazionale siglato dalla sinergia tra il MIBACT ed il MIUR chiamato “Cinema per la scuola“. Perchè è importante portare il cinema a scuola?
«Nelle scuole è importante parlare di tutto per il bene degli studenti e di arte cinematografica per il bene del cinema stesso; è fondamentale che i ragazzi, in fase di crescita, siano stimolati ed abbiano davanti a se una prospettiva chiara di tutte le opportunità di lavoro che possono esserci nella vita, ed il cinema per alcuni di loro può essere una di queste. Nell’immaginario comune quando si parla di film si pensa subito agli attori che sono al centro della scena ma dietro la macchina cinematografica, in realtà, ci sono una grande quantità di mestieri e possibilità che è bene far conoscere a chi nella vita vuole perseguire una carriera in questo settore. In una produzione cinematografica c’è sempre una sinergia tra figure professionali diverse come i costumisti, i truccatori, i produttori, i registi o chi si occupa di fotografia; il cinema è sempre un lavoro di squadra ed è giusto parlarne e farlo conoscere anche ai più giovani per stimolare la loro curiosità».
Secondo le statistiche, sette italiani su dieci non vanno al cinema mentre i giovani fruiscono i film spesso dalla comodità del salotto di casa attraverso l’utilizzo delle piattaforme digitali…
«Su questo è necessario lavorare ad un’inversione di tendenza. Bisogna convincere i giovani di quanto sia importante guardare un film nella sala cinematografica. Siamo costantemente bombardati dalle offerte delle varie piattaforme streaming, che è bene che esistano perché hanno reso il cinema fruibile a tutti e a qualsiasi latitudine in qualsiasi momento, producendo anche dei prodotti molto validi, come le serie tv di maggior successo; ma nonostante questo non bisogna dimenticare che l’atto cinematografico va consumato esclusivamente in sala. Bisogna educare i ragazzi ad andare nel luogo fisico del cinema dove l’impatto emotivo è molto più forte. Tra le poltrone del cinema ci si immerge completamente in una storia, non c’è la distrazione dello smartphone che squilla o del gatto che passa…Inoltre la sala cinematografica è anche un luogo di aggregazione, di fermento culturale dove si condivide l’esperienza con gli altri, ci si confronta e si dialoga».
Qual è il tuo rapporto con le piattaforme di streaming video?
«Non sono un integralista, anzi ho un buon rapporto con le piattaforme digitali, mi piace guardare le serie tv sono nate per questo tipo di modalità, hanno un linguaggio innovativo ed avvincente. Non mi piace però vedere film studiati e pensati per il grande schermo del cinema a casa, è come se si togliesse parte della magia, soprattutto alla prima visione, si perde sempre qualcosa».
A proposito di scuola, che tipo di studente eri?
«Io ero bravo a scuola, un secchione primo della classe, ma per motivi di pura convenienza. Cercavo di stare sempre attento durante le lezioni per mettere a frutto il tempo passato tra i banchi, a casa mi piaceva dedicarmi allo studio del pianoforte. Spesso anticipavo i compiti per poi avere il pomeriggio libero da dedicare alla musica…».
Quali erano le tue materie preferite?
«Sono sempre stato più interessato alle materie umanistiche, l’interesse per la speculazione scientifica e la matematica si è sviluppata solo dopo in età adulta. Amavo le ore passate a studiare la storia, la filosofia e letteratura. Credo che siano state la base per quello che poi ho fatto nella vita».
Da studente modello ad attore di successo…Quale percorso hai seguito?
«La musica mi ha portato a diventare pianista di scena ed ho incontrato il teatro, che è diventata per me una passione, di cui sono tuttora innamorato perdutamente. Una volta terminato il liceo decisi di studiare Lettere all’ Università La Sapienza di Roma e nello stesso tempo di lavorare. Sono stati anni di grande formazione».
Sei stato diretto da grandi registi tra cui Michele Placido, Walter Veltroni, Edoardo Leo, Massimiliano Bruno e Riccardo Milani solo per citarne alcuni…Con quale ti sei sentito maggiormente a tuo agio?
«Sono stato molto fortunato perchè fino ad ora ho lavorato con molti amici e ti confesso che tra Edoardo Leo e Massimiliano Bruno è una bella lotta! (ride), perché oltre alla stima reciproca, ci lega anche una profonda amicizia e c’è sempre una discussione su cosa si deve fare, niente è lasciato al caso. Poi sono due persone di cui mi fido molto, non solo a livello artistico, quindi con loro le collaborazioni sono sempre piacevoli».
E andando oltre l’amicizia e le affinità personali?
«Ho avuto una bella esperienza con Riccardo Milani, lui come regista è sempre disponibile al dialogo con l’attore lasciando anche un margine di libertà e di fiducia, i grandi lavorano così».
Con Edoardo Leo hai anche condiviso l’esperienza del doppiaggio per il film “Re Leone” targato Walt Disney…Com’è stato ritrovarsi in sala di doppiaggio?
«Per me è stato un processo riabilitativo importante, l’anno scorso ero stato additato da tutti i figli più piccoli dei miei amici come il “cattivo” che combatteva la Befana nel film con Paola Cortellesi “La befana vien di notte” (ride)…Ero un villain allergico alle buone maniere e alla consecutio temporum. Essere Pumba mi ha divertito molto, oltre a poter andare nuovamente a cena con gli amici senza spaventare i bimbi, posso dirti che interpretare Pumba mi ha divertito molto. Disney l’abbiamo tutti nel cuore, collaborare con il loro mondo è stato un piccolo sogno che si è avverato ed un esperienza estremamente appagante. Fiamma Izzo, la direttrice del doppiaggio, è stata davvero eccezionale ed ha svolto un lavoro meticoloso sulla scelta e la direzione di tutte le voci del film».
La versione originale del Re Leone è approdata al cinema venticinque anni fa ed è stata una pietra miliare… È stato difficile confrontarsi con un passato così ingombrante?
«Si, ricordo che rimasi colpito ed emozionato dalla voce inconfondibile di Vittorio Gassman che doppiava Mufasa, il padre di Simba, attribuendo al personaggio un tono avvolgente e paterno. Poi devi sapere che in studio di registrazione a seguirmi per la nuova versione del Re Leone c’era Ermavilo, direttore del doppiaggio musicale di tutti i film della Disney più importanti e grande maestro che ha dato la voce a Pumba nell’edizione originale. Questo mi ha portato ad avere un timore referenziale e mi ha aiutato a dare il meglio».
La tua carriera cinematografica è costellata da tanti successi e personaggi iconici, primo fra tutti quello di Alberto Petrelli in “Smetto quando voglio” , un chimico laureato che però è costretto a lavorare come lavapiatti, che ti ha fatto guadagnare una candidatura al David di Donatello…Ti sei mai trovato come il protagonista in un’impasse lavorativa senza uscita?
«Certo, come tutti soprattutto agli inizi della carriera, facevo le tournée teatrali e costavano più di benzina che di reale guadagno, quindi ero costretto ad inventarmi cameriere nei weekend per sbarcare il lunario, ma anche questo fa parte della gavetta e ti fa apprezzare maggiormente i successi quando arrivano. C’è da aggiungere che per un attore qualunque esperienza lavorativa o umana può essere utile, se dovessi interpretare un cameriere conoscerei bene le dinamiche del mestiere e sarebbe facile per me poter rendere al meglio il personaggio».
Dal cinema al teatro con Alessandro Benventi porti una versione moderna del Don Chisciotte… Nella vita quali sono i tuoi mulini a vento?
«I mulini a vento contro cui lotto nella vita sono esattamente quelli che ripropongo in scena durante lo spettacolo che riprende il Don Chisciotte prendendo ispirazione dallo spirito dell’opera di Cervantes, scagliando la simbologia di questo mito letterario contro la nostra contemporaneità. Io ed Alessandro Benvenuti con vesti sgangheratamente complottiste e una spiritualità naif ci scagliamo contro l’appiattimento culturale».
Il cinema, il teatro e la musica sono un modo per diffondere cultura?
«Si, perseguo con impegno questa missione, sono un avido lettore e mi piace divulgare nel mio piccolo tutto ciò che riguarda la letteratura, la storia e l’arte in generale. Lo faccio anche con mio figlio che oggi ha quasi sette anni. Secondo me è molto importante che si diffonda l’amore per la cultura in tutte le sue forme, affinché si “contagi” l’esigenza di amare l’arte. Io ho avuto la fortuna di incontrare chi, anche inconsapevolmente, mi ha fatto innamorare del teatro e della musica e gli devo dire grazie, mi hanno regalato una ragione di vita oltre che un mestiere. Oggi mi trovo in una posizione privilegiata e vorrei restituire il favore cercando di far innamorare le nuove generazioni comunicando la grande passione che ho per il mio lavoro».
Qualche tempo fa in merito alle polemiche social emerse per un outfit del ministro Giulia Bellanova si è parlato di discriminazione e di body shaming; da attore quanto conta avere il giusto physique du rôle?
«Adesso mi piacerebbe perdere un po di peso ma unicamente per motivi di salute e non per un velleità estetica. Quando sei giovane avere un fisico particolarmente morbido ed extra large non è un problema ma quando inizi ad essere più grande devi stare attento al peso e a mangiar sano…Non posso negare che nella mia carriera il fisique du role abbia concorso a farmi assegnare un ruolo piuttosto che un altro».
Caratteristica che condividi anche con l’attore Giuseppe Battiston con cui hai recentemente girato un film…
«Giuseppe Battiston è dimagrito! (ride) Recentemente abbiamo girato un film insieme che sarà presto disponibile nelle sale, ho recentemente visto l’anteprima e mi ritengo molto soddisfatto».
Come ultima domanda parafrasiamo sempre il titolo del nostro magazine e chiediamo come vede il “Domani” Stefano Fresi , quali sono le tue speranze e le tue paure?
«Per il Domani la speranza è che le paure siano sempre di meno. Per non avere paura è necessario prepararsi alla vita combattendola con la cultura studiando, leggendo ed avendo fame di conoscenza. Si ha paura di ciò che non si conosce, più si conosce meno si ha paura del futuro».
Intervista esclusiva a cura di Simone Intermite
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