Rosanna Banfi, quando parla del suo passato è diretta e risolutiva «Si, ho avuto il cancro. Molte si vergognano, non riescono a nominare questa parola invece bisogna far capire che la malattia, in questa società che ci vuole perfetti e vincenti a tutti i costi, non è una colpa». L’attrice pugliese, figlia del celebre Lino Banfi, non usa mezzi termini quando racconta la sua personale battaglia contro il tumore al seno iniziata nel 2009 e resa pubblica ai suoi fan per aumentare la consapevolezza collettiva sulla malattia. Oggi Rosanna, guarita dal male che l’aveva colpita, non ha dimenticato il suo impegno per gli altri ed è diventata madrina di Komen Italia,organizzazione in prima linea nella lotta ai tumori del seno, dedicandosi alle campagne di prevenzione per aiutare le altre donne colpite dal cancro come la “Race of cure” la più grande manifestazione al mondo per la lotta ai tumori. Oltre a questo la Banfi ha scritto una nuova pagina della sua vita lasciando i set cinematografici per i fornelli aprendo a Roma, nell’esclusiva zona Prati, l’Orecchietteria Banfi” un ristorante ispirato alla cinematografia del “nonno d’Italia” dove trionfano sapori e colori della Puglia musa ispiratrice per l’ambiente del locale, che rimanda al candore trulli, tipiche costruzioni coniche tradizionali simbolo della tradizione contadina, e per le tante specialità preparate con prodotti originari della terra del sole che prendono il nome dai film più iconici della carriera di Lino Banfi. Noi di Domanipress abbiamo avuto il piacere di ospitare nel nostro salotto virtuale Rosanna Banfi ed abbiamo parlato con lei di prevenzione e di tabù da abbattere con il sorriso.
Dopo la tua personale lotta contro il cancro sei diventata ambasciatrice per Komen, organizzazione basata sul volontariato, in prima linea nella lotta ai tumori del seno. Anche quest’anno sei protagonista della maratona della prevenzione”Race of the cure”, come si articolano questi eventi?
«Sono tutte giornate di partecipazione e collaborazione attiva ma soprattutto di grande allegria e coinvolgimento; la prima tappa della “Race for the cure” è partita da Bologna e Pescara, ma quest’anno il tour della prevenzione si è anche allargato verso altri orizzonti con le tappe di Brescia e Matera, inoltre ci saranno delle iniziative parallele anche in Lazio, Campania, Abruzzo, Basilicata e Marche…Komen cerca di arrivare ovunque per trasmettere il messaggio che “prevenire è meglio che lottare”. In tutti questi appuntamenti è presente un presidio che offre uno screening gratuito ed una consulenza rivolta alle donne di ogni colore, razza e religione, anche a chi non dispone di permessi o documenti. Ogni volta mi piace invitare tutti, compresi gli uomini, perché molti credono che sia qualcosa di strettamente medico e che, trattandosi di giornate dedicate ad una delle malattie più severe, siano vissute come un momento triste di commiserazione…».
Ed invece…?
«Invece la “Race for the Cure” è un occasione di dialogo e di confronto pieno di gioia di vivere e di allegria; si ascolta la musica, si canta, si fa sport, si impara a praticare yoga e soprattutto si fa prevenzione, ma con il sorriso; in Italia è ancora poco presente la “cultura della prevenzione” e c’è sempre ostilità verso questi temi, se ne parla poco. Quando viene diagnosticato il cancro la prima sensazione che si prova è quella di sentirsi spaesati e soli al mondo. Io ci sono passata, posso dire di aver provato sulla mia pelle questo stato d’animo. Quando ho incontrato l’associazione Komen ho capito che quello che mi stava capitando era già successo a tante altre donne, che non era una colpa e che si poteva continuare a vivere la quotidianità, nei limiti delle difficoltà che comporta la malattia, senza piangersi addosso e senza perdere mai la speranza di guarire e sopratutto la consapevolezza di poter lasciare alle spalle questo brutto male».
Ancora oggi, soprattutto nello showbitz parlare di tumore sembra essere ancora un tabù…
«Si, lo è stato per molto tempo, sopratutto in Italia, ma ultimamente nel mondo dello spettacolo sono in tante a parlarne e a rompere questo muro, io sono stata forse una delle prime e sono felice di aver sdoganato questo argomento. Quando mio padre nel 2009 nel pomeriggio di Rai1 alla “Vita in diretta” annunciò che mi era stato diagnosticato il cancro fu un momento molto difficile per tutti, ma anche un modo per liberarsi…Alcuni giornali erano già pronti a pubblicare foto rubate e pagine di gossip che mi riguardavano, quindi ho pensato di giocare d’anticipo e di essere sincera con il pubblico che mi ha amato e seguito per tanti anni con grande affetto».
Dalla confessione in tv com’è cambiata la tua vita?
«Per prima cosa ho smesso di nascondermi, in quel periodo stavo perdendo i capelli, a causa della terapia, ed ovviamente ero cambiata anche fisicamente. Dopo aver rivelato la verità in tv ho ricevuto chiamate telefoniche, messaggi sui social network e lettere di ammiratori che mi hanno dato una grande forza nell’andare avanti e che sono stati testimoni dei miei progressi e delle mie cadute. Anche nella vita quotidiana, il mio fruttivendolo di fiducia o tutte le persone che incontravo per strada, avevano verso di me un atteggiamento di protezione che mi ha fatto sentire accolta ed amata».
Non senza qualche polemica però…
«Si, quella rivolta ai giornali che si sono interessati a me dopo aver appreso la notizia. Ricordo che ho pensato “mi doveva venire un tumore per essere riconosciuta come attrice?”, ma da personaggio dello spettacolo ho capito che fa parte del gioco ed ho sfruttato i riflettori puntati su di me per parlare di prevenzione ed essere utile agli altri».
Non tutti scelgono di condividere e raccontare un percorso terapeutico così doloroso non solo a livello fisico ma anche psicologico e spirituale.
«Non giudico chi decide di vivere in maniera più riservata la malattia. Quando si sceglie di rendere pubblico qualcosa che ti riguarda, non solo la malattia, prendi una scelta che parla di te e del tuo carattere. Io mi sentivo di farlo, ma non è detto che lo si debba dire per forza. Per la mia esperienza confessare di avere il cancro non deve mai essere un motivo di vergogna…essere malati non lo deve essere mai. Credo le cose per cui un uomo si debba vergognare sono ben altre, quindi perché vivere con un peso maggiore?».
Un altro tabù con cui ti sei scontrata è stato quello anagrafico. Superato la soglia dei quarant’anni per un’attrice ottenere un ruolo è più difficoltoso. Perché accade?
«Da attrice, dopo l’ultima stagione della fiction Rai “Un medico in famiglia” ho trovato difficoltà a ripropormi per altri ruoli. Succede semplicemente che il telefono non squilla più e che le occasioni per dimostrare l’esperienza maturata negli anni diventano sempre più rare. Per un uomo avere qualche ruga in più significa aver acquisito fascino, esperienza ed eleganza, per una donna invece non è così e questo comporta un abuso della chirurgia estetica che mira a farci apparire belle e giovani a tutti i costi. Anche per questo bisognerebbe combattere, andare oltre il cliché dell’attrice che non invecchia mai. D’altronde quali emozioni può interpretare e trasmettere chi ha il volto paralizzato dalle iniezioni di botulino? Purtroppo per i produttori l’anagrafe vale di più dell’emozione, per questo motivo da un paio di anni ho mollato la presa e ho cercato di impegnarmi in un’avventura nuova, la ristorazione, che mi sta regalando tante nuove soddisfazioni».
Hai aperto da due anni un’ orecchietteria a Roma in zona Prati chiamata orgogliosamente “Orecchietteria Banfi”. Anche in questa scelta si legge un’intenzione artistica oltre che culinaria…Il cibo può essere definito arte?
«Si, l’orecchietteria è totalmente ispirata ai film di papa e ai sapori della nostra amata puglia. Il cibo è da sempre una fonte inesauribile di ispirazione per l’arte in tutte le sue forme, dalla pittura all’architettura, inoltre è anche un elemento che unisce culture diverse tra di loro. Ciò che caratterizza i nostri menù è la tracciabilità con un occhio sempre attento alla scelta delle materie prime che arrivano direttamente dalla loro terra d’origine, perché sono i sapori autentici che fanno la differenza. Penso ai nostri capolavori “made in sud” come le mozzarelle di Andria o i pomodori, quelli veri, che profumano di autenticità ricordando le atmosfere ed i colori di una volta, che si vivevano nelle aie e nei cortili delle case di campagna quando d’estate si faceva la salsa».
A proposito di ricordi della Puglia, sei più ritornata nei luoghi della tua infanzia?
«Sono sempre travolta dagli impegni, manco dalla Puglia da due anni e mi manca tanto. Vivendo a Roma da tanti anni non abbiamo più un appoggio a Canosa e non sempre è facile conciliare le ferie per tornarci. Papà invece ritorna spesso ed è andato a trovare questa estate amici e parenti…lui ha un attaccamento viscerale per la sua terra».
In questo tripudio di sapori, ricordi e colori, qual è il vostro piatto irrinunciabile?
«Il nostro piatto forte sono le orecchiette fresche declinate con gli ingredienti esclusivamente di stagione come le cime di rape o gli involtini di carne. Come ti dicevo i nomi dei piatti sono tutti ispirati alla filmografia e al lessico di Lino Banfi. Sorrido quando i clienti, con qualche imbarazzo, ordinano le “Porca Putténa”, una specie di puttanesca con un crumble di friselle e curcuma. Nel locale si respira un aria familiare, ci siamo io, mio marito, mia figlia Virginia e mio fratello…Tutti dicono che lui somiglia molto a papà».
Ma all’Orecchietteria è possibile incontrare anche Lino Banfi?
«Ovviamente si, una volta a settimana congiuntamente con i suoi impegni, papà si organizza per venire qui a darci un mano e a salutare i clienti più affezionati. Ogni volta scatta il momento selfie… ed è un esplosione di allegria e risate. Per lui tutto questo è motivo d’orgoglio, perché anche i più giovani lo ritengono “nonno Libero”, uno di famiglia, mentre i fan storici lo ricordano per i ruoli nei film cult che sono passati agli annali del cinema…Lui è diventato un’ icona della comicità italiana e ne sono molto orgogliosa.
Oltre ad essere un’ icona della comicità all’italiana, Lino Banfi è stato anche nominato Rappresentante del Governo nella Commissione Unesco con i complimenti del Presidente Conte e qualche polemica che ha animato i social.
«Si è creato tanto clamore inaspettato intorno a questa nomina. Mio padre ha semplicemente espresso il suo sogno di vedere sorridere anche mentre si fa politica. Io non mi occupo di equilibri politici e di polemiche social ma credo che se ne sia parlato anche troppo e a sproposito. Per adesso come Rappresentante di Commissione non ha partecipato a nessuna riunione operativa dell’Unesco e dal momento della nomina non ha avuto alcun impegno. In compenso sono arrivate richieste per far riconoscere patrimonio mondiale specialità alimentari e siti archeologici di qualsiasi tipo, in Italia abbiamo risorse infinite da tutelare e da far conoscere all’estero, ma purtroppo papà da ambasciatore non ha questi poteri…».
Oltre il suo ruolo di attore e di personaggio di spettacolo che tutti conosciamo, che padre è stato per te Lino Banfi?
«Ovviamente è stato un padre molto impegnato, sempre in viaggio per lavoro, a volte per la registrazione dei film mancava di casa per dei mesi e noi restavamo a casa con la mamma, ma posso dirti che nonostante questo non mi ha mai fatto mancare la sua presenza ed il suo supporto. Abbiamo sempre avuto un rapporto molto forte e mi è stato sempre accanto nei momenti più importanti della mia vita sia a livello umano che è professionale; è stato lui ad accompagnarmi ai primi provini per i fotoromanzi e a credere in me, e per questo gli sono immensamente grata».
Essere etichettata come la “figlia di Lino Banfi” ti è mai pesato? Essere figli d’arte è sempre un vantaggio?
«Se mi avesse dato fastidio essere etichettata come “la figlia di” non avrei esordito al suo fianco nel ’86 nel film “Grandi Magazzini”. Certamente essere figli d’arte ti può dare il privilegio di avere l’attenzione e la curiosità dei media e di conquistare qualche copertina in più ma alla lunga può diventare anche un boomerang perché non è sempre facile affrancarsi dal essere ritenuta “Quella con il padre famoso”».
Nella tua carriera oggi ti senti di esserti definitivamente liberata di questa etichetta?
«Ho ricevuto tante soddisfazioni nella mia carriera d’attrice dalla partecipazione al “Medico in famiglia” fino al film “Il padre delle spose” in cui ho interpretato il ruolo di una donna lesbica, portando in prima serata una tematica difficile da affrontare come l’omofobia, che mi ha fatto guadagnare diversi riconoscimenti. Mi piace partecipare a progetti che diffondono messaggi e valori importanti».
Come ultima domanda parafrasiamo sempre il titolo del nostro magazine e chiediamo come vede il “Domani” Rosanna Banfi, quali sono le tue speranze e le tue paure?
«Spero in un Domani sereno per tutti; nella vita è importante saper trovare sempre la propria strada nonostante tutti gli impedimenti materiali, fisici e morali. Io oggi sono felice per la mia nuova attività lavorativa e spero che continui ad esserlo anche in futuro».
Intervista esclusiva a cura di Simone Intermite